da ilpuntosalute | 23 Ott, 2015 | Vino
Una piccola area collinare che comprende 19 comuni in provincia di Brescia è la terra d’elezione delle più famose bollicine italiane: la Franciacorta. Si distende tra filari di vigne che avvolgono morbidamente le colline, vecchi borghi antiche cascine, ville patrizie e castelli medievali delle famiglie patrizie bresciane.
La zona è delimitata a oriente dalle colline rocciose e moreniche, a occidente dalla sponda sinistra del fiume Oglio, a nord dalle rive del lago d’Iseo e dalle ultime propaggini delle Alpi Retiche e a sud dalla fascia pianeggiante e dall’autostrada che unisce Brescia a Bergamo.
La struttura geologica del terreno è calcarea e il clima temperato, anche per influsso del lago, questo la rende specialmente adatta alla coltura della vite, che infatti fu praticata fin dall’antichità da Etruschi, Galli, Cenomani e Romani.
La Franciacorta come zona principe della spumantistica nasce intorno agli anni ’60. Uno dei pionieri fu l’enologo Franco Ziliani della Guido Berlucchi. L’istituzione del consorzio di tutela nasce nel 1990, docg nel 1995. Nel 2008 è stato pubblicato il nuovo disciplinare, innovativo rispetto al 1995.
Secondo il disciplinare, questo spumante deve maturare più di 24 mesi, di cui 18 mesi in bottiglia. Deve essere prodotto con uve Chardonnay e Pinot nero ed è consentito anche l’uso del Pinot Bianco, fino a un massimo del 50% dell’uvaggio.
La vendemmia deve essere leggermente anticipata rispetto a quella dei vini fermi, per conservare nell’uva il corredo acido indispensabile a uno spumante di qualità. La raccolta delle uve è eseguita a mano in cassette di piccola capacità. Il raccolto viene tenuto diviso per vigneto e sottoposto a soffice spremitura e vinificato separatamente. I vini ottenuti contribuiranno alla creazione della Cuvée, una mescolanza di vini base Franciacorta, anche di differenti annate.
Si procede a una fermentazione in bianco a bassa temperatura (18/20) previa aggiunta di lieviti selezionati per un periodo massimo di 25 giorni.
Il processo di spumantizzazione o presa di spuma del vino base o del mosto vino consiste nell’attivare una seconda fermentazione in bottiglia.
Gli zuccheri, naturali o aggiunti, vengono metabolizzati dai lieviti selezionati, con formazione di una certa quantità di alcool e sviluppo di anidride carbonica.
Il gas, che non può disperdersi si scioglie nel vino legandosi a composti proteici e genera la spuma o perlage.
Formazione della Cuvée: si ottiene dalla miscela di vini in proporzioni stabilite dall’enologo per conferire al prodotto caratteristiche qualitative costanti.
Nella formazione della Cuvée è consentita l’aggiunta di vini di annate precedenti in percentuale massima del 30%, a esclusione di vini base destinati alla produzione di spumanti millesimati.
Il vino base viene posto in una bottiglia di vetro pesante che deve resistere alla pressione.
Affinché si possa verificare la rifermentazione, è necessario addizionare la liqueur de Tirage.
Tirage: aggiunta di uno sciroppo di zuccheri e lieviti attivi e piccole dosi di sostanze minerali e chiarificanti utili alla successiva eliminazione delle fecce, al vino messo in bottiglia, allo scopo di attivare una lenta rifermentazione naturale che sviluppa anidride carbonica con incremento di pressione fino a 5/6 ATM.
I lieviti del tipo Saccharomyces, devono essere resistenti alle basse temperature dei locali in cui viene realizzata la fermentazione (11/13) e alla pressione che essi stessi producono (5/6 bar).
Quindi le bottiglie vengono chiuse con un tappo provvisorio a corona (bouchon de tirage), con un cilindretto di polietilene detto bidule, destinato a facilitare la raccolta del sedimento finale, vengono poste orizzontalmente in cataste fermate da lunghi listelli di legno, in locali bui e freschi.
Le bottiglie rimangono accatastate per tempi di maturazione diversi a seconda della tipologia di Franciacorta.
Presa di spuma
Nelle cataste, nel giro di qualche mese si svolge la rifermentazione, questa fase deve terminare entro 120 giorni e all’interno delle bottiglie la pressione deve essere almeno 5 bar, misurata a 20 gr. A questo punto il vino è già spumante.
Maturazione sulle fecce
Quando i lieviti esauriscono lo zucchero, entrano in quiescenza e precipitano sulla parete della bottiglia, avviene la cosiddetta autolisi del lievito, dovuta alla morte e alla successiva rottura delle cellule del lievito stesso.
In questo modo si liberano nel vino molte sostanze aromatiche che a loro volta sono in grado di operare trasformazioni che conferiscono complessità e finezza allo spumante.
Al fine della qualità del prodotto finale è determinante il tempo di permanenza sulle fecce.
Periodicamente le bottiglie vengono rimosse (sbancamento delle cataste) e scosse per evitare che le fecce si incrostino sulle pareti e per favorire il contatto delle sostanze liberate per autolisi con tutta la massa liquida.
Remuage sur Pupitres.
Al termine della maturazione sui lieviti è necessario eliminare il sedimento naturale che si è depositato nelle bottiglie.
Questo si ottiene con il remuage e successivamente con il degorgement.
Le bottiglie vengono poste nelle pupitres, cavalletti in legno inclinati, caratterizzati da fori sagomati.
Dall’iniziale posizione orizzontale le bottiglie vengono ruotate a mano ogni giorno di 1/8 o di ¼ di giro, variandone gradualmente l’inclinazione fino a portarle quasi in verticale al termine di circa 30 giorni. Dopo questo periodo il sedimento si trova contro il tappo nella bidule, pronto x esere eliminato.
L’operazione del remuage può anche essere fatto con le famose Gyropallettes.
Sboccatura: dopo che le spoglie dei lieviti si sono depositate nei colli delle bottiglie tramite il remuage, cioè a dire la roteazione e l’inclinazione di queste, avviene l’eliminazione delle stesse attraverso la ghiacciatura del collo della bottiglia e l’espulsione della bidule che li ingloba.
Il collo della bottiglia viene immerso in un liquido refrigerante a -25; parte del vino congela inglobando il sedimento, il freddo attenua la pressione, sufficiente però a eliminare il sedimento quando si toglie il tappo a corona
Lo spumante comincia a invecchiare da questo momento
Liqueur d’expedition
Il livello del vino nella bottiglia viene ripristinato con l’aggiunta di solo vino o dello sciroppo di dosaggio (vino base Franciacorta anche di annate, con aggiunta di zucchero, sovente con un goccio d’acquavite). Ricetta tenuta segreta dai produttori, poiche’ responsabile del gusto del prodotto e della maison
La Liqueur, in base alla grammatura di zucchero, determina la tipologia di gusto e la personalità del Franciacorta.
A questo punto le bottiglie possono essere tappate.
Prima della commercializzazione viene applicato il contrassegno di stato rilasciato dal Ministero delle Politiche Agricole.
Franciacorta. Le etichette recano solo questa dizione, un unico termine definisce il territorio, il metodo di produzione (doppia rifermentazione in bottiglia) e il vino.
Tempi di produzione
7 mesi dalla vendemmia – tiraggio per i Franciacorta non millesimati
18 mesi (minimo) di rifermentazione in bottiglia a contatto con i lieviti prima di poter passare alla sboccatura.
24 mesi x i saten e i Rosé NV
30 mesi x i millesimati
60 mesi per i Riserva (67 mesi dalla vendemmia)
Brut
Perlage finissimo e persistente, colore giallo paglierino intenso con riflessi verdi,
bouquet con nota della rifermentazione in bottiglia, sfumato ma deciso profumo di lievito, crosta di pane, arricchito da delicate note di agrume e di frutta secca (mandorla, nocciola e fichi secchi) e speziato.
Al gusto è sapido e fresco, fine, armonico.
Gradazione minima 11,5%
Pressione in bottiglia tra le 5 e 6 Atm.
Saten
Marchio registrato dal consorzio nel 1995.
È un Blanc des Blancs, con il Pinot Bianco (massimo 50%).
Pressione in bottiglia tra le 4 2 4,5 Atm, comunque minore di 5 Atm, che ne determina la peculiare morbidezza gustativa.
Lp si trova solo nella versione Brut.
Frutta matura, fiori bianchi, note tostate e frutta secca.
Rosé
Chardonnay, Pinot Bianco e Pinot Nero (minimo 25%)
Le uve bianche e rosse sono vinificate separatamente.
Può anche essere prodotto con PN vinificato rosé, oppure nascere dal suo assemblaggio con Chardonnay e/o PB.
Può essere dosato in tutte le tipologie di gusto.
Le uve del PN vengono fatte fermentare a contatto con le bucce per il tempo necessario a conferire al vino la tonalità di rosato desiderata.
Millesimato
È ottenuto da vini base di un’unica annata per almeno l’85%.
Ci vogliono 37 mesi dalla vendemmia per immetterlo sul mercato, 30 dei quali trascorsi in bottiglia a contatto dei lieviti per dare intensi profumi e aromi delicati e fini.
I vintage hanno una personalità sensoriale e gustativa che rispecchia le caratteristiche climatiche dell’annata e le espressioni qualitative delle uve di quella specifica vendemmia.
Franciacorta Riserva
Vintage, che può anche essere un Saten o un Rosé, che ha riposato 60 mesi sui lieviti, immesso quindi sul mercato dopo 67 mesi.
Tipologia: Pas Dosé, extra Brut, Brut, extra Dry, sec e Demi sec.
Conservazione:
Le bottiglie vanno tenute coricate affinché il tappo rimanga umido ed espanso e garantisca la tenuta, al buio al fresco a temperatura costante fra i 10 e 15 gradi.
Manlio Giustiniani
Sommelier FIS e Wine Consultant
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da ilpuntosalute | 1 Ott, 2015 | Vino
“La nostra attenzione al biologico è maniacale, tanto che tutta l’azienda è a conduzione biologica. Siamo una piccola realtà e facciamo tutto in casa: dalla coltura della vite fino all’etichettatura. I vigneti sono di proprietà e abbiamo così il controllo completo sulla catena produttiva”, afferma con orgoglio il giovane vigneron Joska Biondelli.
Siamo nella cantina Biondelli, a Bornato di Cazzago San Martino, nella parte della Franciacorta a Sud del Lago d’Iseo, dove i terreni sono certificati come biologici. I vigneti sono 5, e ognuno ha un proprio nome. Si estendono per 10 ettari coltivati a guyot, dei quali le bottiglie sono degli ambasciatori: Franciacorta Brut, Franciacorta Satèn e il Biondelli Brut Millesimato “Première Dame”.
“Non utilizziamo alcun additivo chimico, nessun trattamento che permei la pianta – precisa Biondelli –. Usiamo solo rame e zolfo. L’ultimo trattamento viene effettuato l’ultima settimana di luglio, e per un mese e mezzo, poi, l’uva non viene più trattata e le piogge la lavano. La raccolta viene fatta a mano come da Disciplinare. Le cassette, da 15 -16 kg al massimo, sono molto piccole ed è facile controllare che non ci finiscano dentro foglie o detriti, gli operatori, gli stessi da tanti anni, conoscono bene sia i vigneti sia il lavoro.
Secondo il metodo classico, in Franciacorta, così come in Champagne, pigiamo l’uva intera, non diraspiamo, quindi non rechiamo danno agli acini prima della pressatura. Le presse, poi, sono estremamente delicate e riescono a schiacciare gli acini senza rovinare il gambo. Nella cassetta prima e nella pressa poi non arriva nessuna traccia di sostanze chimiche e di prodotti non naturali. Alla produzione di uva biologica segue la vinificazione biologica. I lieviti che impieghiamo sono tutti biologici, non adoperiamo carbone, né filtri, né pvpp, cioè quello stabilizzante che previene o corregge gli inconvenienti dovuti ai processi ossidativi possibili nel corso della vinificazione e, soprattutto, della conservazione dei vini”.
Seconda fermentazione: sinfonia molecolare, presa di spuma, magia dell’effervescenza. Generalmente qualche giorno prima del tiraggio i produttori aggiungono in bottiglia lo zucchero che servirà come nutrimento ai lieviti per innescare la seconda fermentazione. La soluzione di vino, zucchero e lieviti viene messa in bottiglie, chiusa con una bidule e un tappo a corona in acciaio Inox. “Invece dello zucchero o del saccarosio noi utilizziamo il mosto refrigerato della vendemmia precedente: un procedimento laborioso, rischioso e costoso – spiega Biondelli –. Tutto ciò ci consente di affermare che il 99,9% del contenuto in bottiglia viene dal nostro vigneto in maniera naturale.
La sublimazione della genuinità dei nostri prodotti la troviamo nel Millesimato Première Dame, un vino nature, a cui non vengono addizionati né zucchero, né liqueur, né solfiti aggiunti. Raccomando, infatti, di bere la bottiglia entro 6 mesi, un anno dall’acquisto”. Questo Millesimato consente di conoscere un’annata scevra da assemblaggi (ndr: anche se il disciplinare permette di usare l’85% del vino della stessa annata per i Millesimati, Joska ne utilizza una percentuale del 100%).
Su Brut e Satin, invece, ci sono soltanto 15 ml per litro di solfiti aggiunti.
Nelle etichette create da Joska insieme al padre Carlottavio è presente lo stemma dei Biondelli. Le origini della famiglia si ritrovano, infatti, nel patriziato cittadino di Piacenza, ai tempi del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Durante il secondo conflitto mondiale Giuseppe Biondelli, Ambasciatore d’Italia, incrocia poi la Franciacorta. “La nonna Clemi veniva dalla famiglia dei Conti Maggi di Gradella, una famiglia bresciana da circa mille anni – racconta il giovane imprenditore con tono pacato e tanto aplomb –. La nonna Clementina si sposa con il nonno, Giuseppe Biondelli, un pesarese che aveva girato il mondo perché faceva il diplomatico. Lei non voleva andar via da Brescia, e così il nonno comprò la casa in campagna che lei non aveva più perché era rimasta al fratello.
La villa e il terreno agricolo, a Bornato, sono le stesse proprietà di cui mi occupo io oggi. Si può proprio dire che siamo arrivati in Franciacorta per amore e grazie alla nonna Clementina. Oggi continuiamo a coltivare la terra con passione tenendo vivo il ricordo dei miei nonni, tanto che uno dei miei prossimi vini sarà dedicato a uno di loro, conclude Joska Biondelli.
Clementina Speranza
La Franciacorta
Con la locuzione “curtes francae” venivano designate le comunità di monaci benedettini che nell’Alto Medioevo avevano sede nella zona collinare nei pressi del Lago d’Iseo. Questi luoghi godevano di franchigie, cioè dell’esenzione dal pagamento dei dazi legati al commercio, perché i monaci, con la loro opera, avevano apportato notevoli migliorie ai terreni mediante bonifiche e avevano istruito gli abitanti circa le varie tecniche di coltivazione. Le origini del nome Franciacorta, inoltre, affondano le radici nel 1277, quando il toponimo “Franzacurta” viene riportato per la prima volta negli annali del Comune di Brescia per indicare quella specifica zona situata tra i fiumi Oglio e Mella, a sud del Lago d’Iseo.
Nel 1570 Gerolamo Conforti, un medico bresciano, redige il “Libellus de vino mordaci”, uno dei primi testi al mondo a descrivere il processo di vinificazione dei vini a fermentazione naturale in bottiglia e dove viene riportato quanto fosse esteso il consumo di vini briosi e spumeggianti, che Conforti definiva “mordaci”.
Nel 1967 viene sancita la DOC Franciacorta, divenuta poi DOCG nel 1995, con due importanti primati: è stata infatti la prima volta che un vino prodotto esclusivamente con il metodo della rifermentazione in bottiglia (Metodo Classico) ha ottenuto la DOCG ed è anche l’unica denominazione in Europa (insieme a Champagne e Cava). Questa tipologia può fregiarsi di riportare in etichetta il solo termine “Franciacorta”, come onnicomprensivo di area territoriale, metodo di produzione e vino.
Nel 2008 il Disciplinare è stato sottoposto a una revisione.
Il 5 Marzo 1990 venne fondato il “Consorzio per la Tutela del Franciacorta”, che ha sede a Erbusco.
Nel 1992, per scelta e impulso dei produttori della Franciacorta, fu iniziato lo studio di zonazione da parte dell’Università di Milano sotto la guida del Prof. Attilio Scienza, e sono state rilevate 6 “unità vocazionali”, cioè tipologie di terroir che determinano specifici comportamenti vegeto-produttivi e che influenzano in maniera peculiare il profilo sensoriale dei vini.
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da ilpuntosalute | 20 Lug, 2015 | Vino
Cuore e passione di donna, in ogni gesto: dalla scelta del singolo acino alla creazione di vini che hanno conquistato la critica internazionale. Lei è Cinzia Merli, e la sua azienda, Le Macchiole, costituisce il frutto di una passione che dura almeno da 20 anni, una storia di donne che collaborano fianco a fianco. Alla minuziosità dello sguardo femminile, Cinzia ha, infatti, affidato il compito della doppia selezione dei grappoli e dei singoli acini: un’operazione che ogni anno viene eseguita da un team di sei donne che operano al tavolo di cernita, e che fa seguito alla raccolta manuale in vendemmia.
Le Macchiole è una delle prime aziende nate a Bolgheri, nella Costa degli Etruschi, circa 100 chilometri a sud di Firenze e a soli 5 chilometri dal mare. Borgo medievale amato da Carducci che, in “Davanti San Guido”, ne canta il viale di cipressi “in duplice filar”.
L’azienda, che si estende su appena 22 ettari, grazie alle capacità imprenditoriali di Cinzia, vera donna del vino, è oggi una realtà ben strutturata, dove ognuno ha un ruolo e dove si lavora per raggiungere un obiettivo comune.
Oltre che contare su uno staff affiatato, Le Macchiole si avvale di consulenti che le permettono di raggiungere risultati sempre più importanti, siano questi in cantina, nel vigneto o sul mercato. Le Macchiole è oggi una squadra di giovani innamorati del proprio mestiere, che lavorano sotto la regia di Cinzia per migliorare sempre un progetto in continuo divenire.
“Il mio vino ideale è vino che riesce a raccontarmi attraverso la degustazione le sfumature di un territorio e il carattere di chi lo produce”, puntualizza la Merli.
Le Macchiole esalta le caratteristiche del territorio producendo vini originali, frutto di continui miglioramenti in vigna e in cantina. Si è scelto di puntare tutto sui monovitigno e di esprimere le potenzialità del terroir bolgherese con uno stile diverso. La decisione è maturata nel tempo ed è stata frutto di molte sperimentazioni.
“Ho deciso di produrre solo vini monovarietali perché in questa parte della Toscana sono i vitigni internazionali a esprimersi al meglio e lo stile di Bolgheri è rappresentato da blend di essi – precisa la Merli –. Con questi presupposti la nostra idea è stata quella di raccontare il territorio con uno stile diverso, senza compromessi. Una sorta di fotografia, vendemmia dopo vendemmia, per comprendere il risultato di ogni vitigno.
I vini Le Macchiole sono 5: Paleo Bianco, Bolgheri Rosso, Paleo Rosso, Scrio e Messorio.
Oggi i vigneti dell’azienda hanno densità che raggiungono anche i 10 mila ceppi per ettaro e la viticoltura è condotta seguendo i principi della coltivazione biologica. “Anzitutto per rispetto di chi ci lavora”, chiarisce Cinzia Merli. Nei vigneti aziendali, seguiti da suo fratello Massimo, si applicano quindi i principi dell’agricoltura biologica con l’obiettivo di rendere sostenibile la viticoltura e sano e vivo il luogo in cui si lavora ogni giorno. Il principio è intervenire il meno possibile sulla pianta, per rispettarne l’equilibrio e permetterle di fortificarsi, come avviene in natura. In cantina, sotto la guida di Luca Rettondini, gli interventi sono ridotti al minimo e la ricerca è continua: dalle micro-vinificazioni per singolo vigneto fino ai diversi metodi di vinificazione e di affinamento. La grande fertilità naturale del suolo viene compensata con impianti fitti e portainnesti deboli, che portano ad una produzione naturale di soli 800 – 1000 gr di uva per pianta.
Tutte le fasi della lavorazione, dalla potatura alla raccolta, sono eseguite, con grande impegno, a mano. Ogni ettaro di vigneto richiede fino a 500 ore di lavoro per anno.
UN VINO E UN PROGETTO CULTURALE
Grafite, carbone, acqua, acrilico e smalto sono gli ingredienti di una etichetta che è un quadro e al tempo stesso tanti quadri. “Abbiamo deciso di dedicare a Bolgheri un’etichetta da collezione, realizzata dall’artista Stefano Tonelli: una vera opera d’arte, frutto di un progetto unico nel suo genere.
Si tratta, infatti, di un’unica tela sezionata in 48 parti, ciascuna delle quali diventerà l’etichetta che personalizzerà altrettante Mathusalem (6 litri) di Messorio 2004, il nostro Merlot in purezza”. Sono 48 le Messorio 2004 Special Edition Mathusalem che saranno vendute sui mercati esteri e sul mercato italiano.
Ogni bottiglia, realizzata manualmente con estrema cura, porta in etichetta un’opera d’arte che la rende unica e irripetibile, e custodisce un vino che può considerarsi un vero pezzo da collezione.
Con l’intero ricavato della vendita di queste bottiglie supporteremo il Comune di Castagneto Carducci e tutta l’area bolgherese in un progetto modulare per la valorizzazione del territorio attraverso l’installazione, nei luoghi cari a Giosuè Carducci, di “cornici” che “inquadreranno” il panorama Bolgherese mostrando il nostro territorio con gli occhi del poeta Premio Nobel. L’intento è creare percorsi e itinerari che facciano scoprire Bolgheri e Castagneto, permettendo ai turisti di tutto il mondo di ammirare i borghi e gli scorci che hanno ispirato le famose poesie di Carducci.
“Ogni collezionista in possesso di un Messorio 2004 Special Edition sosterrà un’iniziativa speciale. Tutti i luoghi dove saranno vendute le Mathusalem verranno riportati sulla pagina dedicata al Messorio sul sito de Le Macchiole – aggiunge Cinzia Merli –. Il nostro obiettivo è quello di avere una mappa completa della distribuzione di questa bottiglie, seguendole nel loro viaggiare attraverso il mondo, con l’intento di organizzare nel 2024 un evento dedicato ai 48 proprietari delle Mathusalem, piene o vuote che siano. Un incontro a Le Macchiole con lo scopo di ‘ricostruire’ il dipinto originale e celebrare insieme Messorio e Bolgheri”.
Messorio è la nostra personale interpretazione di uno dei vitigni più coltivati sul territorio Bolgherese: il Merlot.
Il nome Messorio ha origini antiche. Indica l’antica mietitura toscana ed è stato scelto per dare importanza al momento più importante della vita delle nostre campagne, una volta legato al grano, ora per noi, imprescindibilmente identificato con la vendemmia.
Una bottiglia speciale, un’etichetta unica e un progetto culturale dedicato interamente al territorio.
Per chi ama Bolgheri, il Messorio e la Poesia.
da ilpuntosalute | 30 Giu, 2015 | Vino
C’è un’isola immersa nel verde, all’interno della quale gli ospiti possono degustare vini rigorosamente biologici, pranzare, cenare e alloggiare in una residenza che vuole ricreare l’atmosfera di casa. Qui il vino non si versa solo nei calici, è nel paesaggio ricamato di vigneti in cui perdere lo sguardo, ma è anche impiegato per trattamenti corpo e viso con cui farsi cullare nella beauty farm, abbandonandosi ai piaceri della vinoterapia e ai benefici delle proprietà contenute nell’uva. Ci troviamo a circa quaranta chilometri a sud di Perugia, nella tenuta Roccafiore.
Sostenibilità è la parola chiave per la cantina Roccafiore. Produce, infatti, solo vini biologici, con certificazione UE, ottenuti da vitigni autoctoni: Grechetto di Todi, Trebbiano Spoletino, Sangiovese, Sagrantino e Montepulciano. Per l’azienda produrre vini naturali non rappresenta, un semplice vantaggio competitivo, ma costituisce una filosofia produttiva.
Immersa nel verde delle vigne e dei boschi, tra dolci colline in cui le coltivazioni si alternano a vigneti, oliveti e seminativi, Roccafiore è una vera e propria “riserva bionaturale”, che conserva la tradizione agricola del territorio di Todi e nello stesso tempo impiega le più recenti innovazioni tecnologiche, trasformandole in ulteriori strumenti di tutela dell’ecosistema esistente. “Il rispetto della natura deve essere un imperativo a 360 gradi”, afferma con convinzione Luca Baccarelli, classe 1984, alla guida di questa realtà voluta dal padre Leonardo.
È per questo che a Roccafiore la qualità dell’ambiente è considerata un fattore produttivo al pari di terra, clima, vitigno, scelte colturali. Lo è in ogni più piccola attività che si svolge all’interno della tenuta. Roccafiore è stata, infatti, tra le prime aziende vitivinicole in Italia ad adottare la scelta del fotovoltaico, con un impianto di 3 mila metri quadri che, con i suoi 191 kwatt, consente l’autoproduzione di energia e permette anche di risparmiare emissioni per circa 90 mila Kg di CO2 all’anno (equivalenti alle emissioni di 150 voli aerei sulla tratta Roma – New York).
Le vinacce esauste, poi, vengono utilizzate per fertilizzare in modo naturale i vigneti. La sensibilità nella conservazione del territorio e della sua biodiversità si concretizza anche in altre scelte orientate a un totale rispetto dell’ambiente, come l’utilizzo di bottiglie alleggerite, l’adozione di biocarburanti per i mezzi agricoli, la riduzione di consumi idrici e il riutilizzo delle acque. Tutto ciò si integra perfettamente in un sistema in cui la viticoltura biologica ed ecosostenibile è considerata una missione. “Abbiamo creato un’azienda che rispetta l’ambiente, e per fare questo abbiamo deciso di fare scelte drastiche: applicare l’agricoltura biologica a tutte le coltivazioni – afferma con orgoglio Luca Baccarelli –. Noi accompagniamo il vino nella sua vita, e dobbiamo intervenire il meno possibile, è questa la nostra filosofia. Chi stappa una nostra bottiglia deve avere la percezione che quel prodotto nasce tutelando l’ecosistema che lo circonda. Mi sono avvicinato all’uva quando ero ancora piccolissimo, vendemmiando a 6 anni nel vigneto del nonno. A 21 anni sono entrato in Roccafiore, con la prima vinificazione. Ho approfondito le mie conoscenze studiando il panorama vinicolo a livello internazionale, un passo che ritengo decisivo per essere competitivi nel mercato globale. Il mio obiettivo è quello di una costante ricerca della qualità, e la migliore palestra per conoscere questo mondo, a mio parere, è assaggiare il vino durante la sua evoluzione, vedendolo in prospettiva. È per questo che oggi seguo ogni fase della sua produzione con lo stesso entusiasmo con cui a sei anni cercavo di staccare i grappoli dalle viti”.
Il ristorante. L’anima green di Roccafiore si respira anche all’interno del ristorante Fiorfiore, che offre i sapori dei piatti tipici della cucina umbra privilegiando prodotti a chilometro zero. Anche all’interno del centro benessere e della Spa gli ingredienti di base sono tutti naturali, la stessa vinoterapia viene operata utilizzando esclusivamente i prodotti provenienti dall’agricoltura biologica.
La cantina. I vini di Roccafiore, che si fregiano della denominazione Todi Doc, nascono in 12 ettari, situati in collina, a 380 metri sul livello del mare. In essi si uniscono la valorizzazione dei vitigni autoctoni e l’esperienza di un enologo che proviene dalla parte opposta dell’Italia, l’altoatesino Hartmann Donà. “Roccafiore è stata la prima azienda presa in consulenza – spiega Hartmann -. Quando sono arrivato e ho visto questa splendida collina, ventilata e ben esposta, ho capito che si potevano realizzare grandi vini nel rispetto della natura”.
Il vigneto è, sin dalla fondazione dell’azienda, un laboratorio a cielo aperto. Lo dimostra il vino “Prova d’Autore”, ispirato alla passione di Leonardo Baccarelli per l’arte e alle sperimentazioni dell’enologo Hartmann che si avvale di tutte le espressioni del territorio.
La cantina, che sorge tra i Monti Martani, è un edificio moderno e costituisce un omaggio all’arte. Già all’ingresso, infatti, il visitatore è accolto dall’aquila di Rolf Jacobsen, uno dei principali scultori che operano in Umbria, si incontrano poi opere di Bruno Ceccobelli, che danno ulteriore prestigio a una struttura architettonica ideale anche per l’organizzazione di eventi. All’interno, si trovano: la Sala Francesca, un moderno spazio, ampio e luminoso; la sala degustazione; l’affascinante cantina di produzione e di affinamento. E vi è poi la terrazza panoramica che si affaccia sugli spettacolari vigneti. La cantina è un puro oggetto di design, la cui architettura s’inserisce armoniosamente nel paesaggio.
A coronare l’immersione in quest’oasi verde sono le colture di seminativi, legumi e cereali, gli oliveti, e un piccolo allevamento di maialini di cinta senese. Chi giunge a Roccafiore entra in uno scenario agricolo che non è fatto solo di vigneti. In quest’angolo dell’Umbria, dove si scorge sullo sfondo il profilo della cittadina medievale di Todi, si coltivano anche due ettari di uliveto con le varietà leccino, moraiolo e frantoio. In questa vallata, la famiglia Baccarelli ha creato un microcosmo ispirato ai principi dell’agricoltura biologica e ha aperto le sue porte a tutti. Durante la bella stagione, infatti, i turisti possono prendere parte al safari in vigna, alla scoperta di Jurassic Pork. Si tratta di un avventuroso tour a bordo di fuoristrada attraverso i vigneti, con visita all’allevamento dei suini di una razza pregiata, dalle origini antiche. Un divertimento per grandi e piccini e un’occasione per fuggire dalla città e respirare gli spazi di una campagna incontaminata.
Per chi vuole fermarsi qualche giorno, la tenuta Roccafiore offre un resort circondato da 90 ettari di giardini, vigneti e uliveti, da scoprire passeggiando per i sentieri pedonali che restituiscono colori e atmosfere diverse in ogni stagione. Le 13 camere della residenza sono arredate con gusto e ricercatezza, ciascuna con design differenti. Ogni stanza è ispirata a un’auto prestigiosa, altra passione che la famiglia Baccarelli coltiva.
L’utilizzo di prodotti locali genuini e la ricercatezza degli accostamenti hanno permesso al Ristorante Fiorfiore di ottenere ottime recensioni dalle guide enogastronomiche italiane. “Riconoscimenti da Guida Michelin, Gambero Rosso, Ristoranti d’Italia de l’Espresso, I Ristoranti di Bibenda e I Ristoranti di Veronelli, sono giunti per il nostro ristorante – precisa Luca Baccarelli –. Molti degli ingredienti sono a chilometro zero: prodotti dell’azienda agricola Roccafiore, come vino, olio, verdure e legumi. Carni, formaggi, tartufi vengono invece acquistati in zona. A interpretarli, nel rispetto della stagionalità, è lo chef Carlo Grimaldi con un mix di ricette antiche e nuove interpretazioni”.
La ricerca del contatto con la natura raggiunge il suo culmine all’interno del Centro Benessere Roccafiore, un piccolo eden di tranquillità e di armonia psico-fisica, immerso in uno dei più spettacolari paesaggi dell’Umbria. Ingredienti principali sono gli stessi vini dell’azienda, protagonisti della vinoterapia, che sfrutta la capacità antiossidante dell’uva, con il suo alto contenuto di polifenoli. Qui si effettuano trattamenti idroterapici, massaggi olistici, terapie del colore e degli aromi che sono gli ingredienti utilizzati dalla Spa per amplificare i benefici del relax, rigenerare la vitalità, eliminare tossine e stanchezza. A questi si aggiungono la sauna romana, il massaggio terapeutico dell’acqua, il bagno di vapore, massaggi tradizionali e orientali.
“Credo che oggi il vino debba avere un approccio moderno, che unisca il rispetto della vocazione del territorio all’ascolto delle esigenze del mercato. Credo che fare i vini semplici sia la cosa più difficile. Questo impegno ci sta ripagando e oggi siamo presenti nelle carte dei vini di alcuni dei migliori ristoranti d’Italia e del mondo. È la dimostrazione che, se si lavora con serietà, nulla è impossibile”, conclude Luca Baccarella.
da ilpuntosalute | 25 Mag, 2015 | Vino
Nell’aria si respira qualcosa di magico. Il sole estivo inizia a fare capolino all’orizzonte e non è facile resistere al richiamo del mare, delle onde e della spiaggia. Le strade, i borghi e le piazze si trasformano in un palcoscenico a cielo aperto e il mare diventa il luogo d’incontro per consumare aperitivi.
“In occasione della stagione estiva, l’azienda propone una linea di blend aromatici – afferma Antonino Spezia, presidente della Cooperativa Agricola Terre di Giafar –. Bevande fresche, realizzate principalmente con vini bianchi e pensate per aperitivi e wine bar. Nero d’Avola/Merlot, Catarratto/Inzolia e Grillo/Zibibbo sono i tagli aromatici maggiormente richiesti e che, bevuti a temperature intorno ai 12°C, attraggono il target più giovane”.
Il bianco di Nero d’Avola è la novità presentata dalla cantina. “L’uva integra è portata in cantina all’interno delle cassette, in modo che non ci sia contatto con il mosto – riferisce Antonino Spezia, detto Nino –. È schiacciata delicatamente e attraverso l’utilizzo del secondo pressato, di color bianco, viene poi fermentata a temperatura bassa (15/16 gradi per esaltare gli aromi della varietà), mentre il vino rosso viene fermentato intorno ai 22-25 gradi. Nasce in questo modo il bianco di Nero d’Avola”. Il Nero d’Avola vinificato in bianco offre così la possibilità di degustare i tipici aromi delle uve Nero d’Avola in un vino bianco di gradevole beva.
LA STORIA
“Il nome Terre di Giafar è un tributo alla contrada Misiligiàfari – spiega il presidente –. Significa: manzil di Giafar, letteralmente luogo di sosta in cui si scende da cavallo. In passato, durante la dominazione araba in Sicilia, la contrada era appartenuta all’emiro Giafar”. Si tratta di una zona particolarmente vocata alla produzione di vino, che si trova nel cuore della provincia più vitata d’Italia: Trapani.
La struttura è sorta nel 1967. “L’architettura è tra le più antiche di Trapani – precisa Spezia –. Oggi la cantina, totalmente rinnovata e arricchita con moderne attrezzature tecnologiche, ha una capacità di stoccaggio pari a 60 mila quintali di uva”. Nel 2008, nasce la Società Cooperativa Agricola “Terre di Giafar” per volontà di 14 imprenditori trapanesi. “La cantina è stata sottratta all’usura, alla speculazione e alla mafia – racconta il presidente della Cooperativa Agricola –. Ora, l’azienda è rappresentata da un garante nominato dal Tribunale di Trapani per far rivivere una cantina che costituisce un bene del territorio”. Il sostegno della magistratura, inoltre, ha salvato la struttura dal vandalismo e dall’incuria.
I fondatori si sono dati un ordinamento interno e hanno scelto i Consiglieri del Consiglio di Amministrazione che ha a capo il presidente Antonino Spezia. Lo scopo della cantina è di “fondere” in un unico corpo le singole aziende conferitrici e abbattere i costi di gestione tipici delle piccole imprese, per realizzare un reddito pro capite competitivo con gli operatori privati del settore.
LA PRODUZIONE
“A bordo di trattori, l’uva è trasportata in azienda e viene pesata su una bilancia collegata elettronicamente a un computer interno alla cantina, che indica il peso lordo – precisa Nino –. Dopo la pesatura, con un braccio elettronico si preleva un campione d’uva per calcolarne il grado Babo, il grado zuccherino che permette di stabilire la tipologia di lavorazione”. L’uva è poi scaricata in tre vasconi, chiamati tramogge di scarico, che hanno il compito di spostarla e passarla all’interno diraspa-pigiatrici che separano gli acini dai raspi. “I raspi vengono eliminati da un nastro trasportatore – spiega Antonino Spezia –. Poi, in base alla tipologia d’uva, si decide il processo di lavorazione. “La fermentazione è l’unico passaggio lavorativo che differenzia il vino bianco, dal vino rosso – chiarisce il presidente Spezia –. Per ottenere il vino rosso è fondamentale far macerare il mosto insieme alle bucce: sono quest’ultime che conferiscono la tipica colorazione”.
Il vino rosso è posto in fermentini di macerazione, mentre il bianco è pressato. Come funziona la pressa? “All’interno della pressa è presente un polmone in lattice che preme dolcemente sull’acino facendo uscire il mosto – specifica il presidente della Cooperativa Agricola –. Tale tecnica enologica si chiama pressatura soffice”. La macerazione e la fermentazione avvengono contemporaneamente e sempre a temperatura controllata, in periodi di tempo che variano da un minimo di 10 giorni, a un massimo di 15/20 dì.
“I silos interni ed esterni della cantina sono comandati digitalmente da un pannello che controlla la temperatura e le doppie bande refrigeranti permettono di mantenerla stabile – spiega Nino Spezia –. All’interno dei silos avviene la tecnica del rimontaggio, che consiste nel pompaggio di mosto liquido da una valvola posta nella parte inferiore della vasca, e la parte solida che si crea con le bucce dell’uva (cappello) viene poi irrorata dall’alto. Durante il periodo di macerazione, due operai vanno di vasca in vasca a effettuare i rimontaggi per assicurare un’omogeneità del prodotto”. Terminata la macerazione, si procede alla svinatura, la separazione della parte liquida da quella solida. La massa liquida è trasportata in altri silos, mentre la parte solida viene schiacciata.
Inizialmente, vengono imbottigliati i vini bianchi e successivamente i rossi. La cantina è dotata di una linea di imbottigliamento quasi interamente meccanizzata che permette di produrre 2.500 bottiglie all’ora. L’imbottigliamento avviene con una macchina industriale semi manuale: bottiglie sterilizzate e lavate con vapore, posizionate su una banda che scorre, vengono riempite e tappate. Successivamente, le bottiglie entrano nell’incapsulatrice; la capsula è il sigillo di garanzia posto su ciascuna di esse. “Sopra ogni capsula è riportato il logo, che ci permette di essere riconosciuti in tutto il mondo e che consente agli enti di controllo di risalire a noi – chiarisce Antonino Spezia –. Senza capsula non ci è consentito imbottigliare”. Si passa infine all’etichettatura. “L’etichetta costituisce una sorta di carta d’identità del vino, in quanto contiene tutti gli elementi necessari per identificare il prodotto a cui si riferisce – precisa il presidente della Cooperativa Agricola –. L’etichetta può essere doppia, oppure unica, come quella che utilizziamo noi”.
Oltre a realizzare i propri vini, la Cooperativa, offre il un servizio produttivo e d’imbottigliamento per aziende terze differenziando così l’attività e aumentando gli introiti che vengono poi ripartiti tra i soci.
I VINI
La scelta aziendale è di puntare più sui vitigni storici tipici siciliani e poco sui vitigni internazionali, con lo scopo di valorizzare le produzioni autoctone. Punta di diamante della cantina è il Grillo vendemmia tardiva ottenuto raccogliendo a mano uve Grillo appassite in pianta e successivamente vinificate con accorgimenti simili a quelli utilizzati per i vini passiti.
Attualmente la Cantina offre due linee di vini in bottiglia: una linea “élite”, che presenta un packaging ricercato, e vini monovarietali quali Nero d’Avola, Syrah e Merlot come rossi, e Grillo, Catarratto e Grillo vendemmia tardiva come bianchi, e una linea base, presentata in una veste coloratissima, costituita da blend aromatici quali Nero d’Avola/Merlot come rosso, e Catarratto/Inzolia e Grillo/Zibibbo come bianchi, e, inoltre, la particolarità di un Nero d’Avola vinificato in bianco.
La cantina Terre di Giafar fornisce prodotti aromatici, fruttati, intensi, robusti e di carattere. Prodotti che esaltano “il gusto di Sicilia” in ogni stagione. Come afferma Mario Soldati: Il vino è la poesia della terra.
Clementina Speranza e Simone Lucci
da ilpuntosalute | 14 Apr, 2015 | Vino
L’anidride solforosa (solfiti, SO2), da sempre ritenuta un additivo insostituibile in enologia per le sue proprietà antiossidanti, viene utilizzata, in quantità più o meno elevate, per il controllo dei processi fermentativi del vino e per la sua chiarificazione e stabilizzazione.
La presenza nel vino di anidride solforosa costituisce però un problema per il suo potenziale altamente allergenico nei confronti di una parte dei consumatori: circa cinque su mille. E può provocare, anche in persone non allergiche, effetti sgradevoli come gonfiore addominale, mal di testa, infiammazione degli occhi, orticaria, infiammazione gastrointestinale.
Nel vino i solfiti sono presenti da anni, in piccole quantità per non nuocere alla salute.
I solfiti sono addizionati, in virtù delle loro proprietà antiossidanti e antimicrobiche, anche a numerosi altri alimenti: crostacei freschi o surgelati, biscotti, farine, ortaggi sott’aceto e sott’olio, funghi lavorati o secchi, frutta secca, marmellate, zucchero, birra, snack a base di cereali, e patate, sbucciate, disidratate, o in forma di gnocchi.
I solfiti sono originati dai processi naturali di fermentazione in concentrazioni comprese fra 6 e 40 milligrammi per litro. In Italia l’anidride solforosa è l’unico antisettico permesso in enologia, e la legge fissa dei limiti massimi, che nei vini destinati al consumo diretto sono di:
200 mg/L per i vini bianchi secchi,
250 mg/L per i vini bianchi e rosé dolci,
300 mg/L per i vini dolci passiti (in particolare nei Sauternes francesi il limite massimo è di 400 mg/L),
150 mg/L per i vini rossi secchi,
250 mg/L per i vini rossi dolci,
185 mg/L per gli spumanti di qualità.
Per il loro potere allergizzante, da alcuni anni, nel mercato americano prima e in quello europeo dopo, nei casi in cui è superata la soglia di 10 milligrammi per litro, è obbligatorio indicare sull’etichetta delle bottiglie di vino la dizione “Contiene solfiti”, “Contiene anidride solforosa”, “Contains sulfites”. Indicazione che vale ovviamente anche per i vini provenienti dall’estero.
Negli ultimi anni i produttori hanno limitato l’utilizzo dell’anidride solforosa sia nella vinificazione che nella stabilizzazione dei vini, e c’è pure chi ha incominciato a produrre vini senza solforosa aggiunta per presentare il vino come prodotto del tutto naturale, riportando in etichetta l’indicazione “Senza solfiti aggiunti” oppure “Contiene solfiti naturali”. Cresce infatti, giorno dopo giorno, la richiesta di alimenti “naturali”, ottenuti con il minimo uso e contenuto di prodotti chimici. Si va sempre più alla ricerca di cibi sani, che non abbiano controindicazioni per la salute e per il benessere della persona.
SPUMANTE METODO CLASSICO, MADE IN SICILY E SENZA SOLFITI
Fervide bollicine spumeggianti. Bollicine frizzanti e stuzzicanti che scivolano in gola. Bollicine briose che racchiudono il sole di Sicilia. Una sinergia tra pubblico e privato, avvalendosi di poche risorse economiche, ha dato vita a uno Spumante metodo classico solfiti free che porterà benefici alla filiera vitivinicola e, soprattutto, ai consumatori allergici alla solforosa.
Per la prova di micro-vinificazione è stata utilizzata uva di varietà Grillo, allevata a contro spalliera e fornita gratuitamente dai soci della Cantina Colomba Bianca.
La raccolta è stata fatta manualmente e i grappoli sono stati posti in cassette, in modo da arrivare in cantina il più possibile integri. “Particolare cura è stata dedicata all’igiene della cantina e delle attrezzature utilizzate – spiega Gaspare Signorelli, Enologo Funzionario Direttivo Unità Operativa Specializzata Marsala, Centro Innovazione Filiera Vitivinicola –. Nella tecnica è previsto il lavaggio dell’uva, prima di dare inizio alla vinificazione. Tale procedimento ha numerosi vantaggi: la riduzione dei quantitativi di zolfo presenti nel grappolo, dovuti ai trattamenti, e la riduzione dei lieviti naturali responsabili della generazione di solfiti ‘naturali’.
L’uva, dopo la pesatura, è stata diraspata e pigiata; alla massa ottenuta è stato aggiunto l’enzima e si è proceduto alla decantazione a freddo. Dopo 24 ore si è spillato il mosto pulito e si è aggiunto il lievito selezionato, opportunamente idratato e acclimatato, su tutta la massa, e successivamente sono stati immessi i nutrienti per i lieviti. La temperatura di fermentazione è stata mantenuta entro i 20°C”. Ottenuto il vino base spumante si è passati al tiraggio, che consiste nell’aggiunta di lieviti e 24gr/L di zucchero, per rendere il prodotto frizzante”. Dopo circa 3 – 4 mesi le bottiglie, grazie all’utilizzo di lievito in biglia, sono state agitate e rovesciate in modo da favorire al lievito e all’eventuale residuo feccioso di localizzarsi in prossimità del tappo. Dopo almeno nove mesi dal tiraggio, come prevede la normativa, è stata effettuata la sboccatura, che consiste nel ghiacciare il contenuto dell’estremità del collo della bottiglia facendolo fuoruscire. Si è provveduto poi a sostituire il liquido mancante prelevandolo da un’altra bottiglia e si è proceduto alla chiusura definitiva della bottiglia con tappo in sughero, gabbietta ed etichettatura.
“Ottenuto lo spumante è necessario effettuare nuovamente le analisi della solforosa totale per essere sicuri che il prodotto finito sia al di sotto della soglia di 10 mg/l – precisa Gaspare Signorelli –. E in questo caso le analisi ci hanno confermato che l’obiettivo è stato raggiunto: 1,5 mg/l di solforosa totale”.
Un lavoro di squadra fra Tecnici Agronomi ed Enologi che hanno creato un protocollo di vinificazione, hanno utilizzato le biotecnologie e hanno escluso dal protocollo convenzionale l’utilizzo di additivi chimici quali anidride solforosa, acido ascorbico, lisozima, caseinato di potassio, albumina e gelatina. Additivi permessi dalla legge anche per vini che si fregiano delle denominazioni DOC e DOCG.
E adesso un brindisi: alla Sicilia, alla salute, e senza mal di testa.
Clementina Speranza
Gruppo di lavoro:
Assessorato |
IRVOS |
Cantina Colomba Bianca |
Giuseppe Spartà |
Giuseppe Russo |
Filippo Paladino |
Vito Falco |
Salvatore Sparla |
Carlo ferracane |
Diego Genna |
Giuseppe Genna |
Mattia Filippi |
Antonio Parrinello |
Dina Giglio |
Antonio Pulizzi |
Giuseppe Bilello |
|
Nicola Mangiapane |
Gaspare Signorelli |
|
Fabio Barraco |
|
|
Giorgia Vento |
La cantina Colomba Bianca fondata nel 1970, con sede in provincia di Trapani, nella parte sud-occidentale della Sicilia, è gestita da una cooperativa di viticoltori. È tra le più grandi cantine siciliane: 2.167 soci che coltivano circa 8.100 Ha. di vigneti tra le province di Trapani, Palermo e Agrigento; 5 sedi distribuite su tutto il territorio; 33.244 Km di filari, che ospitano 29 varietà di uve autoctone e internazionali.
da ilpuntosalute | 23 Giu, 2014 | Vino
In Sicilia un gruppo di enologi e agronomi, l’Assessorato all’Agricoltura, la Cantina Colomba Bianca e l’Istituto Regionale Vini e Olio di Sicilia hanno avviato un progetto sperimentale in cui si è pensato di utilizzare i racemi per valorizzare la doppia produzione. “La prova consiste nel raccogliere i grappolini che maturano nel mese di ottobre, una produzione che generalmente si perde sulla pianta – spiega l’enologo Gaspare Signorelli –. La produzione principale si raccoglie a fine agosto e i racemi in quel periodo non sono ancora maturi. I racemi sono il secondo frutto di alcune varietà (Zibibbo, Grillo) e si sviluppano in quantità sulle femminelle (ca. 1 Kg/pianta), cioè i germogli che nascono dalle gemme dei nuovi tralci”.
Risultati del progetto? “In questo primo anno di attività i dati analitici relativi a contenuto zuccherino, acidità totale e acido malico nel mosto e nel vino base sono stati ideali per ottenere un vino base spumante – risponde Signorelli –. Dalla vendemmia sperimentale dei racemi si ottiene uno spumante “metodo classico” che può competere con i migliori spumanti francesi, avendo delle caratteristiche uniche e inimitabili”.
L’utilizzo di questa seconda produzione permette di essere vincenti sul mercato con un prodotto che ha caratteristiche particolari valorizzate dal territorio di produzione.
“Il territorio dove la cultivar del Grillo si presta a ottenere lo spumante da racemi è la provincia di Trapani, nei territori dei Comuni della fascia costiera: Petrosino, Marsala, Mazara del Vallo, Salemi. L’obiettivo è quello di far diventare questi luoghi una zona vocata anche per la produzione di spumante metodo classico”, precisa Signorelli.
Clementina Speranza
La Cantina Colomba Bianca, fondata nel 1970 come cooperativa tra viticoltori, è la più grande cantina siciliana, con 2.118 soci che coltivano circa 8.100 Ha. di vigneti, tra le province di Trapani, Palermo e Agrigento,
quindi nella zona occidentale della Sicilia. Si tratta di vigneti con una vasta diversità pedoclimatica che iniziano dalla zona costiera, giungono sino ad un’altitudine di 600 m s.l.m. e comprendono circa 33.244 Km di filari. Le Cantine distribuite su tutto il territorio sono cinque.
I principali vitigni a bacca bianca sono: Grillo, Catarratto, Grecanico, Inzolia, Chardonnay, Viognier, Zibibbo, Fiano e Sauvignon Blanc; i rossi sono rappresentati da: Nero d’Avola, Syrah, Merlot, Cabernet Sauvignon, Frappato, Sangiovese, Perricone e NerelloMascalese.
Il quantitativo di uva prodotta e lavorata è pari a 70 milioni di Kg.; parte di quest’uva viene raccolta e conferita in piccole casse per fare in modo che arrivi integra in cantina.
Tutte le varie fasi, dalla potatura del vigneto fino alla raccolta in cassetta, sono sottoposte a scrupolosi controlli durante tutto l’anno e sono seguite dall’agronomo della cantina e dai viticoltori che fanno parte del progetto qualità.
Il vino è esportato in Inghilterra, Austria, Germania, Svezia, Olanda, Finlandia, USA, Cina.
Il progetto si prefigge alcuni obiettivi prioritari:
– utilizzare la varietà Grillo, che si presta particolarmente bene alla produzione dei racemi;
– delineare e validare un protocollo di gestione del vigneto orientato alla produzione dei racemi;
– trasferire il knowhow delle microvinificazioni effettuate utilizzando un protocollo di vinificazione che consente di ottenere uno spumante di qualità con l’utilizzo di lieviti per la presa di spuma che permettono di ridurre i costi di produzione e la tempistica;
– diversificazione produttiva dei vini prodotti;
– attivare strategie di marketing e di comunicazione per promuovere questa innovazione di prodotto per tutto il territorio di produzione.
Strumenti e metodologie
La Cantina e i partner del progetto hanno articolato il piano seguendo le linee di seguito indicate:
– Scelta delle aziende dei soci coltivate con la varietà Grillo che si presta alla produzione dei racemi;
– Individuazione degli areali migliori per la produzione della varietà Grillo per l’ottenimento dello
spumante metodo classico;
– Curve di maturazione e analisi completa delle uve e dei mosti;
– Individuazione del periodo di raccolta delle uve;
– Protocollo di vinificazione per la preparazione del vino base;
– Stabilizzazione e filtrazione del vino base;
– Scelta del lievito selezionato per la presa di spuma;
– Presa di spuma;
– Sboccatura e colmatura della bottiglia;
– Confezionamento.
Partner del progetto:
Assessorato Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea – Dipartimento Regionale dell’Agricoltura
Servizio V Interventi per lo Sviluppo Agricolo e Rurale
Dott. Agr.Spartà Giuseppe
Dott. Agr.Genna Diego
F.D.Agr. Bilello Giuseppe
F.D. P.A. Parrinello Antonio
F.D.Enol. Signorelli Gaspare
Istituto Regionale della Vite e dell’Olio
Dott. Agr. Russo Giuseppe
F.D.Enol. Sparla Giuseppe
F.D.Enol. Genna Giuseppe
Enol. Morsello Rosanna
Enol. Giglio Dina
Cantiniere Pipitone Ignazio
Cantiniere Parrinello Giuseppe
Colomba Bianca
Presidente Taschetta Leonardo
Dott. Agr. Paladino Filippo
Enol. Ferracane Carlo
Enol. Filippi Mattia
Enol. Pulizzi Antonio
Enol. Mangiapane Nicola
Enol. Vento Giorgia
Enol. Abate Marino Nicola
Enol. Asaro Francesco
Enol. Tumbarello Gianni
Enol. Caprarotta Carlo
Dott. Agr. Saladino Mariella
I soci della Cantina della Colomba Bianca che hanno aderito alla Vendemmia Sperimentale per la realizzazione del progetto:
Azienda Asaro Michele, De Vita Patrizia, Vinci Antonio, Caradonna Caterina, Giglio Francesca, Angileri Giancarlo, Anselmi Michele e Tumbarello Ignazio.
Tutti i Partner (pubblico- privato), con i rispettivi gruppi di lavoro composti da esperti del settore viticolo ed enologico (Enologi, Agronomi, Viticoltori etc.), si ritengono fiduciosi che nel breve periodo nel territorio della fascia costiera dei comuni (Marsala, Petrosino, Mazara del Vallo) lo spumante metodo classico ottenuto dai racemi di Grillo possa diventare una realtà produttiva con grandi riscontri per il mercato globale, consentendo la valorizzazione del territorio siciliano e un aumento del reddito per tutti gli attori della filiera del comparto vitivinicolo siciliano.
da ilpuntosalute | 6 Giu, 2014 | Vino
I vigneti che digradano dolcemente verso il mare, quasi fino a confondersi con la sabbia, il sole e l’acqua cristallina del Mediterraneo, fanno da cornice al fazzoletto di terra su cui sorge Menfi, paesino prevalentemente agricolo che fonda la sua economia sulla coltivazione della vite. Siamo in Sicilia dove Greci, Romani, Arabi, Normanni e Sicani hanno abitato e hanno reso le terre fertili e generose. Siamo in provincia di Agrigento, famosa per l’area archeologica della Valle dei Templi.
Era Inycon l’originario nome greco di Menfi, e il legame del vino con la sua storia è antico: Stefano di Bisanzio, narrando dell’antica città di Inycon, primo insediamento urbano risalente all’epoca della Magna Grecia, pone l’accento sull’eccellenza dei suoi vini. Inycon diventa anche il nome di una rassegna enogastronomica, oggi giunta alla 19/esima edizione. Così, da venerdì 20 a domenica 22 giugno, Menfi attirerà intenditori e semplici amatori che animeranno le sue strade in una tre giorni di degustazioni, mostre, approfondimenti e tour alla scoperta delle cantine del comprensorio.
Menfi e i comuni di Santa Margherita Belice, Contessa Entellina, Montevago e Sambuca costituiscono il distretto delle Terre Sicane, che vanta 7 mila ettari di terreno e raccoglie alcuni dei vitigni storici della Sicilia. I vini bianchi provengono dai vitigni: Inzolia, Grecanico, Grillo, Fiano, Chardonnay e Catarratto. I rossi da: Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, e NerelloMascalese.
Tra le cantine storiche, la Settesoli che nel 1995 ha inaugurato Inycon, in collaborazione col comune di Menfi, con l’intento di valorizzarne il territorio. È una cooperativa formata da 2 mila soci che coltiva ben 6 mila ettari. C’è poi Planeta, con una accogliente foresteria in cui si offre ai turisti la possibilità di degustazioni, visite guidate nei vigneti e corsi di una scuola di cucina. E ci sono le Cantine Barbera, che puntano tutto su agricoltura biologica e vinificazione naturale, nel pieno rispetto dell’ambiente.
La manifestazione è promossa dal Comune di Menfi in collaborazione con l’associazione Si.S.Te.Ma.Vino. “Il territorio di Menfi è la sintesi dell’anima poliedrica della Sicilia, questa Terra con un clima così favorevole, coi suoi paesaggi incontaminati e anche un po’ selvaggi. Sicilia vuol dire cultura dell’eccellenza, far sentire le persone come a casa propria grazie al calore con cui vengono accolte. Un’esperienza irripetibile in altri luoghi, perché è impossibile ritrovare gli stessi sapori, sorrisi, profumi e tramonti”, spiega Roberta Urso,
Responsabile Pubbliche Relazioni e Comunicazione della Cantina Settesoli.
La gastronomia, semplice ma nutritiva e saporita, proporrà i piatti tradizionali: la pasta con i tenerumi, con la salsa di pomodori e melanzane, il macco di fave con i gamberoni, la spatola in agrodolce e gli spiedini alla brace di sarde infilate in particolari canne locali; non mancheranno la Vastedda, tipico formaggio a pasta filata, e la Nfigghiulata, un pane preparato con il lievito madre, ripieno di acciughe, pomodoro, cipolle e formaggio. I cibi di stagione verranno accompagnati dalla degustazione di vini bianchi, rossi e da meditazione, contemporaneamente ci saranno presidi Slow Food, nonché musica, arte e danza, e l’artigianato esibirà i manufatti della zona, .
Sono molti i motivi per cui vale la pena di fare un tuffo nelle acque cristalline di Menfi. “Terra, mare e vino – afferma decisa Valentina Barbera, Assessore del Comune di Menfi e proprietaria dell’omonima cantina –. In Sicilia abbiamo paesaggi incontaminati e naturali. Un mare pulito e limpido, tanto che le tartarughe Caretta caretta, ormai in via d’estinzione, vengono sulle nostre spiagge per deporre le uova. Un popolo caloroso che accoglie e fa sentire tutti a proprio agio”.
Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 12 Mag, 2014 | Vino
Al giorno d’oggi non si mangia più solo per vivere, ma per apprezzare i profumi e i sapori delle preparazioni, che sono sempre più curate in ogni dettaglio.
I Romani sono stati i primi a bere il vino durante i pasti, ed è da allora che si può parlare di vera e propria nascita dell’enogastronomia, l’arte e la scienza di preparare cibi raffinati e di accompagnarli all’unica bevanda in grado di esaltarli al meglio: il vino.
Il termine enogastronomia è la fusione delle parole eno (vino) e gastronomia, che significa “scienza che regola le funzioni dello stomaco”. Il vino si abbina al cibo per esaltarlo, per farlo apprezzare, ed esercita una funzione di supporto liquido.
In un perfetto abbinamento, gli alimenti ed il vino debbono essere l’uno al servizio dell’altro senza sovrastarsi. Se si desidera la loro massima valorizzazione e la giusta armonia, si dovrà scegliere un vino che esalti le caratteristiche del piatto senza mettere in secondo piano le proprie.
Gli abbinamenti standard sono: tradizionale, psicologico, a tema.
L’abbinamento tradizionale si ispira alla cucina regionale, secondo la quale i piatti e i vini locali vengono accoppiati tra loro, seguendo abitudini che si tramandano di generazione in generazione.
L’abbinamento psicologico si basa sulle particolari preferenze del cliente, che magari ordina un vino a prescindere dai piatti che andrà a degustare.
L’abbinamento a tema è quello più semplice, perché il cliente ordina in anticipo il vino e su quel vino si costruisce il cibo.
In un corretto abbinamento il vino dovrà armonizzarsi con il cibo contrastandone le sensazioni, siano esse riferite a un singolo alimento quanto alla preparazione del piatto nel suo complesso.
Il metodo di abbinamento comunemente riconosciuto si basa su due criteri specifici:
il contrasto e l’analogia.
Contrasto perché alcune sensazioni del vino, o del cibo, bilanciano gli squilibri dell’altro. Analogia perché in alcuni casi le sensazioni mantengono lo stesso rapporto, la stessa tipicità.
Mettere in contrasto cibo e vino significa sostanzialmente cercare un equilibrio proprio dal punto di vista fisico, della struttura. Se un vino è troppo ampio, intenso e persistente e abbiamo un cibo povero di sensazioni, il vino lo sovrasterà completamente.
Quando si parla di analogia dobbiamo cercare invece le affinità utili per costruire l’armonia gusto-olfattiva.
L’abbinamento gastronomico dei vini non può prescindere dalla conoscenza delle loro caratteristiche chimiche e organolettiche, in grado di influenzare le sensazioni degustative percepite al momento dell’assunzione del cibo.
L’abbinamento più piacevole si ha quando il vino esprime caratteristiche opposte a quelle del cibo. Fanno eccezione i dolci che, contendo zucchero, vanno abbinati con vini che vantino un residuo zuccherino.
Tendenzialmente il corpo del vino deve essere proporzionale alla struttura del piatto.
Un piatto leggero e delicato non dovrà essere coperto da vini troppo importanti o dotati di una pronunciata componente aromatica, ma si sposerà a un vino leggero e giovane.
Un piatto complesso, che necessita di una preparazione elaborata dovuta al tipo di cottura, alla quantità degli ingredienti, va abbinato a un vino altrettanto complesso e robusto, di buon invecchiamento, che possa non essere sovrastato dalla personalità del cibo.
Lo scopo del vino è quello di pulire, di nettare il palato, per prepararlo al boccone seguente.
Manlio Giustiniani Master Sommelier AIS
PREMI E CULTURA ENOGASTRONOMICA MADE IN SICILY
Gran Medaglia d’Oro al Vinitaly per il vino Zibibbo e per il Moscato. Medaglia d’Oro alla Selezione del Sindaco (Concorso Enologico Internazionale) per il Marsala Supiore Garibaldi dolce e per il Moscato I.G.T. E poi, Medaglia d’Oro in Germania all’Internationaler Spirituosen Wettbewerb per il Cremovo, un Marsala Fine D.O.P. con tuorlo d’uovo, aromi e caramello. E anche: Diploma di Gran Menzione al Vinitaly con Baglio Baiata, il Marsala DOC Vergine.
Vini nati tutti dalla passione della famiglia Alagna che porta fino al bicchiere il sapore della natura, del sole e della terra di Sicilia. Le uve prodotte nei suoi vigneti, che si estendono per circa 50 ettari nei territori di Marsala, Trapani e Salemi, danno vita a vini pregiati.
Lo specifico dell’impresa della famiglia marsalese sono stati per decenni i vini liquorosi, i vini da tavola sfusi, e gli aromatizzati: crema di mandorla, di uovo, di caffè.
Nel 2004 nascono il Grillo e il Nero d’Avola, i primi vini da tavola imbottigliati con la griffe Alagna. “Un bianco e un rosso, entrambi da vitigni simbolo dell’identità culturale del territorio siciliano – precisa Ercole Alagna, Direttore tecnico dell’azienda –. Con un piano triennale di investimenti sono stati ammodernati la vecchia cantina e gli impianti di lavorazione, è stato potenziato il sistema di imbottigliamento prima tarato per i soli vini liquorosi, ed è stato ampliato lo stabilimento, che occupa una superficie di 5 mila metri quadri”. Nella cantina, ricavata da antiche cave di tufo, è possibile effettuare visite guidate, tra storia e innovazione, degustazioni e prodotti tipici. “Organizziamo le visite in cantina, si tratta di un’esperienza enogastronomica che consente di degustare 12 vini abbinandoli a prodotti tipici siciliani – spiega Ercole Alagna –: il pane bagnato nel mosto cotto con il nostro Marsala Garibaldi, l’uva passa di Zibibbo con il Moscato, il Marsala fine servito fresco (8°-10°gradi) insieme ai tagliancozzi con le mandorle, la marmellata di arance spalmata sul pane e il vino Zibibbo, i biscotti Regina con il Moscato, il salame piccante col Marsala Vergine, le olive con il Nero d’Avola o il Grillo.”
I vigneti sono allevati in parte ad alberello marsalese, altri a contro spalliera, e non si irriga. Per i vini Marsala si coltivano le varietà del Grillo, Catarratto e Inzolia, per lo Zibibbo I.G.T. e il Moscato I.G.T., l’uva zibibbo, chiamata anche Moscato di Alessandria, e il Nero d’Avola per l’omonimo vino, orgoglio della viticoltura siciliana. Questi nettari dell’Isola del Sole producono così 4 tipologie di Marsala, 2 liquorosi, 4 aromatizzati e 2 vini da tavola. Ma qual è il vino che dà più soddisfazione? “Non c’è una risposta. È come chiedere quale figlio si ama di più”, risponde Ercole Alagna.
Le origini della ditta Alagna si perdono in un
passato in cui i viticoltori di Marsala tramandavano di padre in figlio la loro passione e le loro conoscenze tecniche per garantire una continua produzione di uve e vini di qualità. Il fondatore è Giuseppe Alagna, classe 1895, agricoltore e imprenditore. Il figlio Antonio, uno dei protagonisti del mondo enologico siciliano, studia ad Alba per conseguire il titolo di Enotecnico e nel 1946 torna a Marsala per fondare l’azienda. “Voleva registrarla col nome di Giuseppe Alagna, ma ne esisteva già una denominata così, per cui opta per Giuseppe Alagna fu Antonio – racconta Ercole Alagna -. Poi, nel 1976, io conseguo il titolo di Enotecnico e continuo la strada intrapresa da mio padre e mio nonno”. Un curriculum di tutto rispetto il suo: oltre a essere Enotecnico, Enologo, Maestro assaggiatore dell’ONAV (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino), insegna Chimica Agraria ed Enologica all’Università di Udine e all’Università di Palermo, nella sede distaccata di Marsala.
E per il futuro? “Tenete d’occhio il Marsala. Sono in atto diverse sperimentazioni tra cui quella del Marsala senza aggiunta di solfiti, che ci vede impegnati insieme all’enologo Gaspare Signorelli”, risponde con orgoglio Alagna.
Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 17 Mar, 2014 | Vino
I BENEFICI DEL VINO
Il vino in quantità moderate fa bene e con un solo bicchiere a pasto se ne ottengono tanti vantaggi.
È l’accompagnamento perfetto della dieta mediterranea, un alimento più che una semplice bevanda.
Un numero sempre maggiore di studi, dimostra come possa essere inserito, a buon diritto, nella lista degli alimenti che allungano la vita. Il vino è ideale per il cuore, la pressione, previene i tumori, ha effetti anticancerogini e anti-alzheimer. Accelera l’eliminazione del colesterolo cattivo, è antiossidante e previene i disturbi circolatori. Questo nettare ha un ruolo protettivo contro i rischi di malattie cardiovascolari. Grazie all’azione dell’alcol, che è un solvente, si ha un effetto “sgrassante” sul sangue. Oltre che dall’alcol, il nostro organismo trae beneficio anche dai polifenoli presenti in grande quantità nel vino rosso: antociani, acidi idrossicinnamici, tannini, acido gallico e resveratrolo (uno degli antiossidanti più importanti contenuti, che da anche colore e profumo al vino). Alcune di queste sostanze dilatano i vasi e favoriscono la circolazione, contrastando la formazione di trombi.
Nel vino si celano 500 componenti tra quelli organici e inorganici (per lo più acqua ed etanolo).
Non più di 60gr al giorno, cioè mezzo litro di vino. È questa secondo i medici, la dose quotidiana di alcool da non superare e per le donne 45/50gr., perché il loro fegato produce una minor quantità di enzima alcol-deidrogenasi (trasforma l’alcol in acqua e anidride carbonica, favorendone lo smaltimento da parte dell’organismo).
Bere troppo vino, invece, fa male! Intossica il fegato, aumenta il rischio di tumore a laringe ed esofago e fa impennare i trigliceridi nel sangue danneggiando le arterie.
Manlio Giustiniani Master Sommelier AIS
IL VINO NATURALE? PASSIONE E RISPETTO PER LA TERRA
In Sicilia sull’Etna, sua maestà il vulcano, zona di millenaria tradizione vitivinicola, si trova la cantina di Alberto Aiello Graci.
Alberto coltiva soltanto vitigni dell’Etna: Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Carricante e Catarratto. Le densità di impianto sono tra i 6 mila e i 10 mila ceppi per ettaro. “Il nostro vino è artigianale e prodotto in regime di agricoltura biologica. Limitiamo al minimo gli interventi in vigna e in cantina. Non pratichiamo diserbo chimico per non alterare l’equilibrio irripetibile e l’energia creativa della nostra terra. Le vigne, senza impianto di irrigazione alcuno, in parte a piede franco (cioè senza portainnesto), vengono coltivate senza impiegare erbicidi o prodotti sistemici. Unici trattamenti: zolfo e rame. Non utilizziamo barriques, ma soltanto tini e botti grandi prodotte con legni di lunghissima stagionatura. Non controlliamo le temperature per avere più estrazione in vinificazione e perché il vino è libertà. In poche parole, cerchiamo nel vino la purezza.
Tutto il nostro lavoro è teso ad assecondare la personalità delle nostre vigne mantenendo intatta la diversità tra un’annata e l’altra. Comanda la terra, non noi. Crediamo che solo rispettando la naturale espressione del nostro territorio, si possano avere grandi vini”, afferma Alberto Aiello Graci.
All’età di 29 anni, Aiello inizia l’attività di vitivinicoltore e nel 2004 nasce la sua azienda, sul versante nord dell’Etna, con l’acquisto di 25 ettari di terreno, dei quali fanno parte i 17 ettari di vigneto a Passopisciaro in contrada Arcuria. Viene poi comprato il grande palmento, della metà del 1800, in cui è stata realizzata la cantina. Nel 2006 viene acquistata una vigna centenaria, a 1000 metri di quota sul livello del mare, in Contrada Barbabecchi. “Da lì l’idea di chiamare il vino prodotto con quei vitigni ‘Quota 1000’ – precisa il giovane imprenditore –. La vigna è una delle più alte d’Europa e ogni inverno è coperta di neve; raccogliamo l’uva a Novembre (cioè veramente tardissimo) e ogni lavorazione è fatta a mano.
È una vigna pre-filossera.” La filossera è stata, una delle calamità naturali più gravi dell’agricoltura: si tratta di un parassita che, giunto dal continente americano agli inizi del secolo scorso, si diffuse rapidamente in tutta Europa distruggendo letteralmente i vigneti. Le poche vigne che si salvarono rappresentano oggi veri e propri monumenti viventi.
Nel 2011 sono state autorizzate dal ministero Pol. Agricole e inserite nel disciplinare della DOC Etna le menzioni geografiche aggiuntive che in Francia vengono chiamate CRU. “Questa è una cosa molto importante, perché nelle grandi zone del mondo, ogni vigna ha la sua unicità – precisa con passione Aiello –. Il sistema serve a identificare legalmente le contrade e a certificare la provenienza del vino. Per questo motivo abbiamo deciso di vinificare i vini separatamente e di indicare quelli che rappresentano la migliore espressione col nome della zona in cui sono prodotti. Si tratta di una certificazione dell’origine particolarmente forte perché testimonia che il vino proviene da quella determinata vigna”.
Quindi oltre a:
Etna Bianco Doc
Etna Rosato Doc
Etna Rosso Doc
ci sono i CRU rossi:
Etna Rosso Doc Arcurìa
Etna Rosso Doc Feudo Di Mezzo (prodotto da una vigna di novant’anni)
e il CRU bianco:
Etna Bianco Arcurìa
“Tutto quello che faccio nasce dalla passione e dal rispetto per la terra”, conclude così Alberto Aiello.
Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 5 Feb, 2014 | Vino
“Eternity was in our lips and eyes”, scriveva così William Shakespeare. È quasi San Valentino e l’amore è nell’aria, sentori di frutta matura, confettura e ciliegia, e frasi romantiche rendono un brindisi speciale.L’azienda veronese Gerardo Cesari affida a uno dei sui vini, il Mara Valpolicella Ripasso Superiore, il messaggio d’amore Shakespeariano e lo propone sul tappo che sigilla la bottiglia. Il tappo, che racchiude un pensiero romantico da dedicare alla propria metà, ha pure un’applicazione per dire «stop» alla contraffazione nata dalla ricerca IDCORK per tutelare il vino di qualità e garantirne l’autenticità grazie a una rintracciabilità a 360 gradi.
La trama del sughero è come un’impronta digitale: i fori naturali che la compongono la rendono unica e irripetibile. La tecnologia studiata e brevettata dall’azienda Brentapack del gruppo Labrenta tutela così il consumatore e il produttore.
Tramite l’apposita app il consumatore può visualizzare una serie di servizi: zona e periodo di estrazione del sughero, dati sulla lavorazione del tappo, nome della cantina e caratteristiche del vino (annata, uvaggio e codice della bottiglia). Chiunque può utilizzare questo sistema direttamente dal cellulare, scoprendo tutto quello che c’è da sapere su ciò che acquista o che gli viene servito al ristorante. Per farlo basta scaricare l’app gratuita dal sito www.idcork.com, poi, una volta avviata l’app, si potrà procedere al riconoscimento visivo del tappo grazie al confronto della sua trama con quella riprodotta nella foto. Successivamente si potrà inserire il codice stampato sulla chiusura e si apriranno le diverse schermate con informazioni sul tappo, sul vino, sulla cantina. “Ogni tappo è univoco e, con la tecnologia che adottiamo, abbiamo la possibilità di rintracciare la storia della bottiglia, la lavorazione e la produzione del vino – afferma Gianni Tagliapietra, amministratore di Brentapack -. Questo sistema è importante per tutelare il nostro made in Italy”. Pochi secondi e qualche click saranno in grado di assicurare che il contenuto della bottiglia non è un’imitazione.
Per rimanere in tema di buon vino, tecnologia e poesia, la newsletter Cesari avrà uno spazio curato direttamente dal Club di Giulietta (l’associazione che ogni anno risponde a migliaia di lettere provenienti da tutto il mondo, indirizzate alla protagonista dell’opera di William Shakespeare) dove si potranno leggere i messaggi d’amore più significativi arrivati a Verona nel corso degli anni, mentre la pagina Facebook dell’azienda ospita in bacheca le più belle frasi d’amore legate al vino che gli enonauti inviano via mail all’indirizzo amordivino@cesariverona.it.
La cantina Cesari di Cavaion Veronese, inoltre, diverrà un vero e proprio “ufficio postale di Giulietta”: chi vi farà visita potrà infatti usufruire di una speciale cassetta per spedire i propri pensieri d’amore indirizzati a Giulietta. Le lettere saranno consegnate al Club di Giulietta che giudicherà quali siano le migliori, meritevoli di partecipare al Premio “Cara Giulietta” dedicato alle missive d’amore, che si svolgerà nel febbraio 2014.
Clementina Speranza