Rosso rubino, borgogna, giallo ambrato, giallo dorato, giallo verdolino, sono i colori del vino e delle opere d’arte installate tra i vigneti dell’Azienda vinicola Poggio del Moro.
Arte e vino si daranno appuntamento in provincia di Siena, dal primo maggio al 30 giugno. L’azienda vinicola di Chianciano Terme sarà il palcoscenico di una mostra in cantina, una galleria a cielo aperto: si potrà, infatti, sorseggiare un calice di vino, ammirando le sculture.
Sculture senza tempo composte da tessuto e resina, plasmate dall’estro di Marco Rubbera ed Enrico Mancini, giovani artisti della PA.NOVA Gallery di Milano.
Le opere disposte all’interno di un’installazione progettata dalla scenografa Anita Accorsi, sono avvolte dai morbidi e pregiati tessuti di Biseta, azienda specializzata nell’elaborazione di jacquard e di tweed.
I testi che le accompagnano ogni opera, frutto della scrittrice Alessia Gandini, guidano i visitatori verso un percorso di riflessione, denso e introspettivo sul significato della femminilità, simbolo di eleganza, delicatezza, dignità, autorevolezza.
Obiettivo? Un viaggio emozionale che stimoli tutti i sensi.
Ad accompagne questa esperienza tra arte e natura “E Sicchè”, un vino giovane e dinamico, ultimo figlio di Poggio del Moro: blend di cabernet sauvignon, merlot, syrah, e sangiovese.
Ed è proprio la femminilità a fare da ponte tra arte e vino. L’idea della mostra in cantina nasce infatti dal genio creativo di due donne intraprendenti.
Olga Panova, proprietaria della Panova Gallery, a Milano. Una galleria che dà spazio a scultori, pittori, designer e fotografi provenienti da tutto il mondo.
Tania Kuznetsova, wine maker di Poggio del Moro e protagonista dell’Associazione Donne del Vino.
Poggio del Moro L’azienda, che si estende su 50 ettari, tra bosco, viti, ulivi e seminativi, è costituita da un corpo centrale dove si trovano la sala di affinamento, quella di invecchiamento, la vinsantaia e una suggestiva sala degustazioni per eventi sia privati, sia aperti al pubblico.
A Poggio del Moro si effettua una coltivazione biologica, eco friendly e nel rispetto dell’ambiente. 14 ettari vitati in cui sono allevate uve sangiovese, merlot, syrah, cabernet sauvignon, pinot nero, trebbiano rocanico, grechetto, malvasia toscana. Si possono ammirare lì un lago artificiale e un piccolo orto i cui frutti sono gustosi protagonisti di conserve: salse di pomodoro e marmellate. E poi ancora, un allevamento di api da cui nasce un miele goloso e nutriente, e 3000 ulivi che, grazie al frantoio interno, con cui le olive vengono frante appena raccolte, regalano un olio extravergine di altissima qualità.
Tutto questo nasce dieci anni fa dal sogno di Tania e Alex, originari di Mosca.
Tania, wine maker di Poggio del Moro, fa parte dell’Associazione “Donne del vino”, il più grande movimento femminile mondiale del settore enologico.
Pa.Nova Gallery Marco Rubbera ed Enrico Mancini sono due giovani artisti della PA.NOVA GALLERY di Milano, una piattaforma innovativa che mostra, espone e vende novità artistiche fuori dagli schemi e favorisce lo sviluppo degli artisti e del loro potenziale nelle realtà culturali italiane e internazionali.
È Pietro Palma ad aggiudicarsi il titolo di Ambassadeur du Champagne 2018 in Italia.
Dopo un’esperienza come imprenditore, Palma ha deciso di seguire la sua passione per il vino aprendo nel 2014 un’enoteca a Prato, dove conduce circa 30 lezioni e degustazioni all’anno sullo Champagne, da lui definito “un vino unico e inimitabile, sinonimo di vita, ingegno umano e creatività”.
La prova finale si è svolta presso il Park Hyatt di Milano. A valutare le capacità dei candidati sono stati chiamati i giornalisti Enzo Vizzari e Stefano Salis, l’affascinante Claudia Bondi e Bernardo Conticelli, ambasciatori rispettivamente nel 2013 e nel 2015, e Domenico Avolio, Direttore del Bureau du Champagne in Italia. Insieme a Pietro Palma hanno partecipato alla selezione il catanese Manlio Giustiniani e Daniela Guiducci.
Il concorso “Ambasciatori dello Champagne”, indetto dal Comité Champagne, giunto alla dodicesima edizione, ha l’obiettivo di riconoscere e valorizzare l’attività di insegnamento sullo Champagne e individuare i migliori formatori a livello nazionale ed europeo.
L’ambasciatore europeo dello Champagne 2018 è tedesco. Si chiama Stefan Metzner ed è il sommelier e formatore di Monaco di Baviera. Durante la finale dell’8 novembre, alla quale hanno preso parte nove finalisti in rappresentanza di Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Austria, Germania e Svizzera, Stefan Metzner ha convinto la giuria per la sua approfondita conoscenza dei vini di Champagne e la sua capacità pedagogica nel trasmetterla. Dopo il successo di Ingeborg Aug nel 2007, è la seconda volta che un candidato tedesco ottiene questo riconoscimento.
Il titolo di Vice-Ambasciatore è andato alla candidata belga Kristel Balcaen, sommelier, scrittrice e formatrice di Gand, mentre al rappresentante italiano Pietro Palma, enotecario e formatore di Prato, è stato conferito il Premio Speciale.
I due co-presidenti del Comité Champagne, MaximeToubart e Jean-Marie
Barillère, nonché il presidente della giuria Sébastien Moncuit, chef de cave di Champagne Mailly Grand Cru, hanno premiato i vincitori durante una serata di gala organizzata presso la sede di Mailly Grand Cru, alla presenza dei professionisti del mondo vinicolo della regione.
“Ambasciatori dello Champagne” è una selezione internazionale che premia le competenze formative dei professionisti del vino e che ha l’obiettivo di sottolineare l’importanza di un approccio pedagogico nella diffusione della cultura dello Champagne e delle qualità che lo rendono inimitabile. L’edizione di quest’anno ha visto i candidati confrontarsi sul tema del dégorgement e del dosage.
Ma di cosa si occupa esattamente il Comité Champagne? Dal punto di vista economico, mira a uno sviluppo armonioso della filiera. Organizza le relazioni tra vigneron e maison per l’acquisto e la vendita delle uve, registra tutte le transazioni e gestisce la riserva qualitativa regolando così il mercato e assicurando l’indispensabile equilibrio tra domanda e offerta. Il Comité Champagne gestisce le relazioni con le istituzioni amministrative francesi e della Comunità Europea, lavora per rafforzare la presenza internazionale dei vini di Champagne e lotta contro le barriere commerciali per facilitare le esportazioni in tutti i paesi del mondo.
I Servizi Tecnici del Comité Champagne sviluppano programmi di ricerca in viticultura e enologia all’avanguardia. Ogni anno vengono realizzate circa 200 sperimentazioni in tutta la regione che riguardano ogni settore: dalla climatologia alla lotta anti-parassitaria, dalle tecniche colturali ai progetti di zonazione e al controllo dei processi di fermentazione. I Servizi Tecnici operano sia con mezzi propri sia collaborando fianco a fianco con partner esterni, sostengono la filiera attraverso un’attività di consulenza ai vigneron e ai vinificatori e organizzano attività di informazione anche con la pubblicazione di documenti tecnici.
Un’altra delle missioni del Comité Champagne è la valorizzazione dei vini di Champagne e il rispetto della loro identità. Il dipartimento Denominazione e comunicazione crea e diffonde una molteplicità di strumenti per far conoscere i vini di Champagne: organizza eventi rivolti a professionisti del vino, giornalisti e formatori, e propone visite personalizzate per la stampa e per gruppi di professionisti.
Il Comité Champagne, caso unico nel panorama vinicolo, dispone di una rete di 15 uffici con sedi in varie parti del mondo che garantiscono le relazioni con i media e sviluppano azioni di comunicazione e di difesa della denominazione calibrate sui diversi mercati. La tutela della denominazione “Champagne” è una prerogativa fondamentale del Comité realizzata attraverso azioni sistematiche contro tutti coloro che ne compromettano la notorietà e l’identità.
Il Comité Champagne, un organismo creato dalla legge francese del 12 aprile 1941 per gestire e difendere gli interessi comuni dei viticoltori e delle Maison di Champagne, ogni anno lotta contro centinaia di usi abusivi del nome “Champagne” in ambiti che vanno: dagli spumanti, ai prodotti di bellezza, dalla birra, ai generi alimentari.
In un crocevia di strade con nomi suggestivi che raccontano di miti e che parlano la lingua di chi va per mare sorge Trapani. Dal 2005, anno in cui l’American Cup ha fatto tappa nella città di mare e di vento, il ristorante Le Mura di Daniele Fallucca accoglie i suoi ospiti. Circondato dalle case dei pescatori e “protetto” da uno degli antichi bastioni imperiali, il locale raffinato dai soffitti di pietra, con sale luminose ravvivate da quadri moderni offre prelibati piatti a base di pesce abbinati a vini e Champagne ricercati.
“Il re del menù è il pesce, ma in inverno realizziamo anche manicaretti a base di carne – precisa Daniele Fallucca –. Lo chef Rocco di Marzo si occupa della spesa al mercato che dista 5 minuti dal locale. Un paio di imbarcazioni ci forniscono materia prima fresca, di stagione e di qualità. Noi la rendiamo nobile e interessante al palato”.
La cucina, infatti, propone i piatti della tradizione creati con ingredienti pregiati: un piacere da assaporare fin dalla presentazione.
“Insalata di polpo, caponata di tonno, cocktail di gamberi con maionese, olive, panelle al nero di seppia e trito di capperi come antipasti. Il piatto Le Mura con pesce stagionale, gambero e julienne di calamari come primo, e tra i secondi il fritto di paranza con calamaro, cappuccetto, moscardini, gamberone e pesce di rete sono le portate che meglio identificano il ristorante”, riferisce Rocco di Marzo, chef formatosi all’Accademia dell’Arte Culinaria di Chioggia, membro della Federazione Italiana Cuochi, Ambasciatore della Cucina Italiana nel mondo nel 2012, e vincitore del premio Elimo nel 2013, come miglior chef della provincia Trapani.
La cucina siciliana del ristorante realizza anche portate rivisitate in chiave moderna.
“Il gambero rosso pescato a 15 miglia di ponente viene scottato in acqua e sottoposto a shock termico con il ghiaccio e poi abbinato a una maionese all’ostrica e all’olio extravergine delle valli trapanesi. Il prosciutto di pesce spada fresco marinato 14 ore con sale, zucchero e aromi, viene esaltato da scaglie di cioccolato e salsa d’arance. E poi ancora, orecchiette con vongole voraci e pesto di bottarga di tonno, formaggio, pomodoro, patate, foglie di sedano e scorzette d’agrumi, e infine una darna di Lampuga ricca di Omega3, cotta a bassa temperatura per 20 minuti a 80 gradi, a cui è stata fatta coagulare la proteina e poi scottata, abbinata a una purea di patate e alle lenticchie vulcaniche di Ustica: piccole, scure e ricche di ferro. Sono questi i piatti accostati allo champagne”, precisa lo chef.
Lo champagne è stato definito per secoli “il vino dei Re, e il re dei vini”. Non è tanto l’enfasi della supremazia rispetto agli altri vini che oggi colpisce di questa affermazione, quanto la definizione stessa e spesso dimenticata che lo champagne sia prima di tutto un vino. É da questa consapevolezza che Heres, distributore di champagne, ha trovato l’ispirazione per selezionare 5 differenti etichette a ciascuna portata. Champagne Jean Milan Blanc de Blancs extra brut G.C., Champagne Corbon Anthracite G.C., Champagne Juillet Lallement Brut Selection G.C., Champagne Saint-Réol-A’Ambonnay Elegance Brut G.C. 2004 e Champagne de Saint Gall Rosè 1er Cru.
Ogni bottiglia racchiude decine di decadi di gesti artigianali sapienti, dalla vigna alla cantina, che si sono evoluti nel tempo per rendere onore alla parola artigianalità stessa. Il Progetto Champagne Gran Cru di Heres propone una selezione che enfatizza l’originalità di un percorso alla scoperta del territorio della Champagne, viaggiando tra differenti cuvée che racchiudono uve e stili da alcuni dei soli 17 Grand Cru (4000 ettari su 33700), dove ogni bottiglia diventa un autentico e sublime mezzo di comunicazione per raccontarne la storia.
E saper accostare il vino a cibo è importante, interessante, e non così banale. È fondamentale ricercare il giusto equilibrio per non rovinare il piatto servito. I lieviti presenti nel cibo devono essere in totale armonia con il vino. “Ho frequentato il secondo e terzo livello del corso di sommelier perché conoscere l’accostamento tra cibo e vino quando si mangia rende l’esperienza a tavola un vero piacere – afferma lo chef di Marzo –. Il trucco è utilizzare le parti chimiche del vino (acidi, tannini, sali minerali, zuccheri, alcoli, polialcoli, CO2 delle bollicine) e non accostarle ai lieviti o alle clorofille presenti nei vegetali, in quanto vanno in contrasto senza creare un equilibrio”.
Qual è l’iter per abbinare correttamente il vino al cibo? “Solitamente penso al piatto da realizzare, conosco gli ingredienti, lo cucino, lo assaggio e accosto il vino, ma non subito. Mangio la pietanza, faccio riposare appena le papille e assaggio, in tal modo si può comprendere se l’equilibrio è esatto o errato”, dichiara lo chef.
In un’atmosfera di grande piacevolezza, dove aromi, sapori e un panorama incantevole si uniscono a creare un’armonia perfetta è possibile assaporare gustosi manicaretti e vini unici.
Simone Lucci
Le 5 cantine
Champagne Jean Milan
L’azienda di famiglia nasce nel 1864.Situata tra Avize e Mesnil-sur-Oger, nel cuore della Côte des Blancs, la tenuta è Oger Grand Cru, prestigioso vigneto di Chardonnay noto per l’esclusiva finezza e rotondità. Nel rispetto della tradizione, Caroline e suo fratello Jean-Charles sono oggi gli eredi di una passata conoscenza fatta di passione e rigore. I due fratelli, infatti, combinano la passione e la tradizione, condividendo le loro competenze con professionalità e creatività sorprendente. Essi offrono così una gamma di champagne eccezionali con delicatezza e freschezza, dove Chardonnay Grand Cru di Oger dominato per la sua eleganza.
Champagne Corbon
Claude e Agnès Corbon, padre e figlia, gestiscono i sei ettari di vigneto nel cuore della Côte des Blancs, ad Avize, 100% Grand Cru. La storia parte dagli anni Venti, quando Charles Corbon si traferisce ad Avize, lavora in una Maison e poi inizia ad acquistare i propri vigneti. Per lungo tempo si coltivano le uve per poi venderle alle altre case vinicole, ma è durante la crisi economica degli anni Settanta che si decide a trasformarsi in produttore e questa scelta avviene ad opera di Claude Corbon.
Dal 2006 lo affianca nell’opera la figlia Agnès. La loro idea di Champagne è semplice e chiara: niente filtrazioni o collaggi, nessuna aggiunta di additivi, tre anni di attesa prima di metterlo in commercio, a volte anche di più. Il risultato è quello di vini sinceri, vivaci, intriganti, per niente ovvi e scontati.
Champagne Juillet–Lallement
L’azienda di famiglia Juillet-Lallement è stata fondata agli inizi del XX secolo da tre partner: Paul Lallement, Arthur Lallement e René Juillet. Insieme creano il marchio R.JUILLET – P. & A. LALLEMENT, il primo marchio collettivo di champagne depositato presso il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (CIVC), che in seguito è diventatoJuillet-Lallement. Dal 1963, l’azienda è gestita da Pierre Lallement, figlio di Arthur Lallement. Ricco d’esperienza, promosso da suo padre e dalla famiglia, Pierre Lallement inizia a sviluppare vinificazione e commercializzazione dei suoi vini. Nel corso degli anni, l’azienda cresce e si modernizza, al fine di sviluppare i migliori vini della Champagne. Spinto dalla passione e dall’aspirazione all’eccellenza, Pierre Lallement aderisce al Club Trésors de Champagne nel 1973, l’associazione viticoltori champagne più antico e riconosciuto. All’alba del 2003, a sua volta, Pierre Lallement passa il testimone al figlio Giovanni che con la moglie Virginia, continuano la tradizione di famiglia.
Champagne Saint-Réol
Questa cantina sorge nel cuore della Montagne de Reims, ad Ambonnay, uno dei 17 villaggi Grand Cru della Champagne. L’azienda racchiude circa 150 vignerons, ognuno dei quali avente a disposizione in media un ettaro di vigneto. Sorta nel 1962, la realtà produttiva racchiude in sé l’anima di questa zona fantastica ed affascinante della Francia. La sua gamma è ampia e variegata. Importanti millesimi accompagnano bollicine rosate e champagne più freschi e semplici ideali per aperitivi o situazioni più informali. Tutte le uve provengono da appezzamenti Grand Cru, anche lo chardonnay, prodotto sia ad Ambonnay, sia in Cote de Blancs nasce e viene raccolto tra i filari dei più prestigiosi comuni. Saint-Réol una garanzia di tipicità e identificazione tra etichette e territorio.
Champagne De Saint Gall
Un marchio storico e importante, De Saint Gall è un’espressione unica tra tutte le cantine della Champagne. Nata nel 1972, questa realtà comprende circa 1258 ettari vitati e c 1860 famiglie di vignerons. Più della metà dei vigneti sono classificati Grand Cru e questo piccolo dettaglio ha posto fin dall’origine i presupposti affinchè De Saint Gall fosse un brand di fama e successo attraverso i suoi prodotti di qualità. Più di dieci sono i centri di produzione e raccolta delle uve, ogni parcella di ogni villaggio viene vinificata separatamente. Innumerevoli sono i vini di riserva e le possibili combinazioni che ogni anno lo chef de cave ha a disposizione per presentare in commercio prodotti sempre all’avanguardia e di grande impatto. Una cantina rinomata e conosciuta che colpirà il degustatore per la sua gamma ampia e i suoi importanti millesimati.
Il rito dell’aperitivo è ormai una moda irrinunciabile, una vera e propria occasione di incontro e socialità diffusa tra ogni fascia di età. Non c’è persona che, dopo una dura giornata di lavoro, non decida ogni tanto di concedersi un drink con amici o colleghi. Ciascuna città vive questo momento di piacere e di svago in modo diverso, senza dimenticare l’importanza del bere responsabile e in tutta sicurezza, dando così all’aperitivo una marcia in più.
Il bartender è una figura professionale fondamentale, che non si limita esclusivamente a preparare e a servire i cocktail, bensì è un punto di riferimento indispensabile tra il cliente e il prodotto servito. Proprio per tale motivo, Campari ha deciso di creare la Campari Academy, una scuola professionale, fondata nel 2012, che forma barman con lo scopo di realizzare cocktail indimenticabili e diffondere la cultura del bere responsabile.
“Unire il cibo e il consumo sano di alcool è un aspetto molto importante che differenzia la tradizione del bere in Italia dagli altri Paesi del nord e centro Europa – precisa Andrea Neri, Senior Marketing Director Gruppo Campari –. Per tale motivo lavoriamo spesso con mixologist e bartender qualificati sul brand Aperol e Campari”.
Campari si divide in tre gruppi. “Il principale è quello degli aperitivi, che rappresenta il mercato più importante in Italia con: Campari, Campari Soda, Aperol, Crodino e Crodino Twist – riferisce Andrea Neri –. I dopo pasto sono il secondo settore. Gli amari classici Averna, Braulio, e Cynar, o i più dolci come il Mirto Zedda Piras e le grappe sono i dopo pasto più diffusi nella penisola. Vodka Skyy, Barbon, White Turkey, Whisky Glend Grant, Rum Appleton, Gin Bulldog, Tequila Espolon sono i marchi della terza linea più classica: gli alcolici distillati e invecchiati”.
Ogni anno Aperol Spritz inaugura la stagione estiva con eventi legati alla socialità, al piacere di mangiare e di stare insieme con il sorriso. “Everybody’s Welcome, infatti, è una piattaforma di comunicazione che abbiamo lanciato nel 2014 con lo scopo di sovvertire l’idea degli eventi esclusivi, solitamente rivolti a poche persone – racconta il Senior Marketing Director –. Abbiamo scelto l’Anfiteatro romano a Lecce, il Maschio Angioino a Napoli, la Reggia di Caserta, il Teatro Greco nell’area archeologica di Segesta in provincia di Trapani, il Teatro Burri a Milano e li abbiamo aperti a migliaia e migliaia di persone. Everybody’s Welcome rispecchia l’anima inclusiva e sorridente dello Spritz”.
Aperol Spritz è uno dei cocktail più diffusi nel mondo, divenuto ormai un vero e proprio fenomeno culturale. Leggero, frizzante e rinfrescante, ha ricevuto la sua consacrazione in occasione dell’ultimo congresso annuale dell’International Bartenders Association (IBA) a Varsavia. La giuria di esperti ha infatti inserito lo “Spritz Veneziano” tra i cocktail più conosciuti e serviti dai barman professionisti di tutto il mondo.
Il nome Veneziano è legato all’origine stessa dello Spritz. “La sua nascita coincide con l’occupazione austriaca in Veneto durante il 19esimo secolo. L’origine del nome è riconducibile al verbo tedesco spritzen, “spruzzare”, che richiamerebbe il gesto di aggiungere l’acqua al vino – racconta Andrea Neri –. Soldati, commercianti, diplomatici e lavoratori dell’impero Asburgico d’istanza in Veneto, non erano a loro agio con la gradazione troppo elevata dei vini veneti rispetto al tenore alcolico a cui erano abituati. Per questo motivo veniva richiesto agli osti locali di spruzzare un po’ d’acqua all’interno dei vini per renderli più leggeri”. Se l’origine della parola Spritz è austriaca, l’abitudine di mescolare al vino un po’ d’acqua è un’usanza tipicamente veneta.
Una prima evoluzione dello Spritz è arrivata nei primi anni del 1900, con la diffusione dei sifoni per l’Acqua di Seltz. Il seltz, per definizione, è un’acqua molto gassata che si accompagna molto bene nella preparazione di cocktail. A differenza dell’acqua minerale gassata, nella quale le bollicine vengono aggiunte all’imbottigliamento, l’acqua di Seltz viene addizionata tramite una piccola bomboletta di gas collegata alla bottiglia. Grazie all’acqua di Seltz, proveniente dalla città di Selters era possibile rendere frizzante anche uno Spritz composto da vini fermi.
Intorno agli anni ’20 e ’30 del ‘900, tra Padova e Venezia, si è pensato di unire a tale usanza l’Aperol. Nasce, così, la ricetta originale di Aperol Spritz, immortale e fortemente radicata nel territorio veneto e oggi apprezzato in tutto il mondo nella sua bilanciata ricetta: 3 parti di Prosecco D.O.C, 2 parti di Aperol e una di soda.
“Dal Veneto, la cultura di Aperol Spritz si è imposta ormai in tutta Italia, ma non solo – afferma Neri –. Il basso contenuto alcolico, il gusto leggermente frizzante e rinfrescante e il colore arancio vivace, lo rendono il drink ideale da gustare con gli amici, prima di un pasto o all’ora dell’aperitivo. Solare e brioso, Aperol Spritz ha l’inconfondibile e gradevole sapore italiano che lo rende un aperitivo di culto anche all’estero. Lo Spritz è diventato un fenomeno internazionale e sociale”.
Dai Navigli milanesi ai locali con vista mare, i cocktail da gustare sono infiniti, ma come dichiara Andrea Neri “è meglio un drink in meno, ma di alta qualità. Fatto bene, con una storia e ingredienti ricercati”.
I viticoltori dopo una lunga giornata di lavoro in campagna arrivano in cantina con trattori e camioncini carichi di grappoli di Nero d’Avola, Catarratto, Grillo.
L’enologo Francesco Rigirello, dopo l’attento controllo sulla qualità delle uve, esegue delle analisi chimiche per indirizzarle verso il miglior processo di vinificazione che viene eseguito insieme al consulente enologo Vincenzo Leone.
La diraspatrice è in funzione e separa il raspo dagli acini. I raspi, poi, finiranno in campagna come fertilizzante, le vinacce, invece, in distilleria per produrre la grappa.
Tutto questo avviene a Terre di Giafar sotto la supervisione di Antonino Spezia, presidente della cooperativa agricola che è affiancato dall’energica moglie Monia, Direttrice della cantina.
Gli stabilimenti sorgono all’interno del centro urbano di Paceco, un territorio viticolo in provincia di Trapani. La cantina dispone di tecnologie all’avanguardia per la lavorazione delle uve, la fermentazione dei mosti e l’affinamento dei vini. I moderni serbatoi in acciaio inox e le tradizionali vasche di cemento, inoltre, consentono la realizzazione di pregiati vini che vengono lasciati affinare in barriques nei sotterranei.
Terre di Giafar lavora principalmente uve provenienti da vitigni autoctoni e il bianco di Nera uno dei vini più rinomati realizzati dall’azienda siciliana. Un vino dal colore bianco, ma che al palato evoca i tipici aromi delle uve rosse. “Ad occhi chiusi si avvertono i profumi e gli aromi del Nero D’avola – precisa Antonino Spezia, detto Nino –. L’enologo ha poi deciso di rendere il prodotto più brioso rendendolo più gradevole al palato dei giovani proponendo un vino leggermente mosso.
Portata in cantina all’interno di cassette in modo che non ci sia contatto con il mosto, l’uva integra è schiacciata delicatamente e attraverso l’utilizzo del primo pressato, di color bianco. Durante il processo di vinificazione la particolarità è quella di allontanare subito le bucce di nero d’Avola per non dare colore al vino. Il mosto ottenuto fermenta a temperatura bassa (15/16 gradi) – spiega Nino Spezia –. Nasce in questo modo il bianco di Nero d’Avola, un vino che attualmente si può definire elegante e di moda”.
Punta di diamante della cantina è il Grillo con uva tardiva, prodotto con frutti lasciati appassire in pianta e raccolti a mano a fine settembre e in certe annate anche a ottobre. “Quando giungono in cantina, le uve devono essere perfettamente integre, sane e non ammuffite per essere lavorate in pressa a bassa temperatura, ottenendo un mosto molto zuccherino che ci consente di ottenere un vino che ricorda molto i passiti, da abbinare con formaggi e prodotti tipici siciliani – precisa il Presidente della Cooperativa –. Il prodotto ottenuto dalla vendemmia tardiva grazie al colore, ai profumi e al gusto è molto apprezzato. In passato, era frequente creare vini con uve tardive, oggi molte cantine hanno abbandonato tale produzione per due motivi: la resa del vino è molto bassa, e non tutti gli anni si può vinificare, perché ci sono annate piovose e il frutto ammuffisce in pianta”.
Attualmente, Terre di Giafar produce, anche, due linee di vini in bottiglia: una linea élite che presenta un packaging ricercato e vini monovarietali quali Nero d’Avola, Syrah, Merlot, Grillo, Catarratto, e una linea presentata in una veste coloratissima con blend aromatici come Nero d’Avola/Merlot, Catarratto/Inzolia, Grillo/Zibibbo.
La scelta aziendale è di puntare per lo più sui vitigni storici tipici della Sicilia per valorizzare le produzioni regionali e tipiche dell’isola.
La Società Cooperativa Agricola “Terre di Giafar” nasce nel 2008 per volontà di 14 imprenditori trapanesi decisi a conferire la propria produzione secondo i crismi della mutualità sottraendosi così alla speculazione degli operatori privati del trapanese. Credendo negli stessi principi e con i medesimi obiettivi altri soci hanno successivamente aderito all’iniziativa cosicché la superficie totale coltivata a vigneto ammonta ad oggi a circa 200 Ha.
La Cooperativa prende in affitto dal Tribunale di Trapani la struttura confiscata alla mafia di una storica cantina sociale del comprensorio. Con il sostegno della magistratura è stato così possibile impedire che l’ennesima struttura confiscata andasse alla deriva preda del vandalismo e dell’incuria.
Nella logica imprenditoriale gli stessi fondatori si sono dati un ordinamento interno scegliendo tra i Soci fondatori tanto il proprio Presidente nella figura del Dott. Agr. Antonino Spezia che i Consiglieri del Consiglio di Amministrazione.
La mission è quella di “fondere” in un unico corpo e in un’unica anima tutte le singole aziende conferitrici abbattendo i costi di gestioni tipici delle piccole imprese realizzando un reddito pro capite competitivo con gli operatori privati del settore.
La struttura, sorta nel 1967 è oggi totalmente ristrutturata e arricchita delle più moderne e tecnologicamente avanzate attrezzature per la lavorazione delle uve ha una capacità di stoccaggio pari a 60 mila quintali di uva. Il conferimento totale degli attuali soci della Cooperativa, però ammonta a circa 10 mila quintali di uva altamente selezionata e che permette la produzione di vini di alto pregio.
La cantina è dotata anche di una linea di imbottigliamento quasi interamente meccanizzata che permette di produrre 2.500 bottiglie all’ora. La Cooperativa, oltre a imbottigliare i propri vini, offre il servizio di imbottigliamento per aziende terze differenziando così l’attività e aumentando gli introiti che vengono poi ripartiti tra i soci.
Sulle pendici del Monte Orfano sorge maestoso, il Castello Bonomi, un originale edificio in stile Liberty progettato alla fine dell’800 dall’architetto Antonio Tagliaferri, che dà il nome a una realtà aziendale dinamica: i vigneti di CastelloBonomi appartenenti alla famiglia Paladin.
I 24 ettari di vigneto, sviluppati a gradoni, recintati e circondati da un parco secolare, rappresentano l’eccellenza di questi luoghi densi di piccoli borghi e palazzi carichi di storia.
Siamo in Franciacorta dove, da anni, la famiglia Paladin è impegnata a ottenere un’alta qualità del vino, nel rispetto dell’ambiente, della salute dei consumatori e dell’etica sociale. “Nel 2000 con il supporto dell’azienda, con i consulenti agronomi dello studio Sata, con l’enologo Stefano Saderi che si occupa dei vigneti di Veneto e Toscana, tutti coordinati dal professore Leonardo Valenti dell’Università Statale di Milano, abbiamo iniziato un percorso a livello sperimentale legato alla sostenibilità della viticultura che coinvolge diversi aspetti produttivi e ambientali. Insieme vorremmo mettere a punto un nostro protocollo di sostenibilità e poi certificarlo”, racconta Luigi Bersini, Chef de Cave della Castello Bonomi.
Con il progetto Ita.Ca®, Castello Bonomi e altre 50 aziende in tutta Italia si impegnano a creare un calcolatore che valuta le emissioni carboniche e stima il saldo di anidride carbonica (CO2) dell’azienda.
“Produrre o sfruttare energia da fonti rinnovabili, utilizzare lampadine a basso consumo, diminuire il peso del vetro della bottiglia da 920g a 880g sono le strategie messe in atto per ridurre del 10/20% la produzione di CO2”, spiega lo Chef de Cave.
Un altro obiettivo è la conversione al biologico. “L’azienda Bononi svolge, infatti, una Viticoltura Ragionata. Il nostro Gruppo si propone di ridurre del 50% la quantità di anidride solforosa prevista dalla legge per tutti i nostri vini principali – precisa Bersini –. Noi poniamo una grande attenzione all’ambiente anche durante le fasi produttive. Le macchine effettuano una pressatura molto leggera che consente di estrarre meno del 60% di mosto previsto dal disciplinare”. Un altro aspetto della viticultura ragionata riguarda il consumo dell’acqua. “Secondo la nostra idea – spiega Bersini – la pianta si deve adattare all’ambiente in cui vive, e deve avere poca esigenza d’acqua. Nel 2000, 2001 e per diversi anni fino al 2007, insieme all’Università, abbiamo fatto alcune prove di irrigazione. È emerso che i vitigni hanno una forte adattabilità al cambiamento climatico e se li abituiamo al così detto “stress controllato”, cioè man mano che andiamo avanti irrighiamo sempre meno, arrivano a resistere, senza problemi, anche a un’annata caldissima come quella del 2015. Ovviamente, i vigneti vecchi hanno radici più profonde e riescono a estrarre più sostanze, più sali minerali. Se è necessario facciamo irrigazioni di soccorso solo sui vigneti giovani. Bisogna considerare, tra l’altro, che l’acqua non accresce la qualità”.
A Castello Bonomi c’è anche una “capannina metereologica” che registra temperature e millimetri di pioggia. “Così è possibile conoscere la temperatura, quanti millimetri di pioggia sono caduti, per quanto tempo la foglia è rimasta bagnata, se la bagnatura è stata notturna o diurna. È importante avere questi dati perché fino a un certo numero di ore non c’è pericolo di malattia e, qualora vi siano rischi, si può prevedere tempestivamente il tipo di patologia o fungo che potrebbe attaccare la pianta. Nel tempo siamo riusciti, così, a risparmiare 4/5 trattamenti all’anno”.
In cantina non sono utilizzati il caseinato di potassio e le proteine animali che provocano l’insorgere di allergie. “Possiamo consideraci, anche, vegani e facciamo solo chiarifiche e decantazione statica – afferma Bersini –. E poi utilizziamo lieviti non indigeni, ma selezionati. Quando termina la fermentazione, il lievito assorbe le tossine, per poi essere rimesso in sospensione ciclicamente, in base alle fasi, alla degustazione e all’esigenza. Quando lo si estrae, il lievito che in origine è di colore bianco/giallino risulta marrone perché ha assorbito molte delle sostanze che generalmente si eliminano con un caseinato o con l’albumina. I nostri vini, poi, si stabilizzano in bottiglia”.
Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco sono i vitigni della Franciacorta. “Le viti sono trattate con la quantità di rame annua prevista dal disciplinare e allevate senza consumo di acqua perché, come ho già detto, la pianta si deve adattare all’ambiente in cui vive – puntualizza Luigi Bersini –. Dal 2001 al 2007, abbiamo svolto delle prove di irrigazione, notando che i vigneti possiedono una forte adattabilità al cambiamento climatico e resistono senza acqua anche a temperature elevate. Inoltre, da 15 anni, siamo passati da una concimazione mista chimico/organica, a una concimazione totalmente organica senza nessun impoverimento del terreno”.
I vitigni sono anche monitorati da sensori presenti su trattori che forniscono le mappe di vigore. “Una zona vigorosa è ricca di piante con numerosi tralci e frutti ed è più soggetta ad attacchi di malattie funginee – spiega lo Chef de Cave –. L’obiettivo delle rilevazioni è, quindi, quello di ridurre il vigore in questi terreni e aumentarlo nelle zone meno produttive, in modo da uniformare la crescita delle uve”.
Tali interventi consentono la produzione di vini equilibrati, longevi, minerali, di carattere, con aromi complessi e una eccellente persistenza olfattiva e gustativa. Attualmente, l’azienda produce 150 mila bottiglie, quasi esclusivamente di Franciacorta, nelle varie tipologie.
“Abbiamo scelto di lavorare solo con Chardonnay e Pinot nero, e per alcuni Franciacorta arriviamo addirittura al Pinot nero 100%, con enormi soddisfazioni e riconoscimenti – riferisce Luigi Bersini –. Lucrezia Etichetta Nera 2004 ne è un esempio: un blanc de noir premiato come miglior vino spumante agli Oscar del vino 2014 di Bibenda (Fondazione Italiana Sommelier) e nello stesso anno i 5 grappoli della Guida Bibenda che riceve anche nel 2017 con il Lucrezia Etichetta Nera 2006”.
In una sala 4D con 48 posti a sedere, un divertente cartoon di 15 minuti viene trasmesso in tre lingue. Cinema 3D ed effetti speciali per raccontare la cantina siciliana Florio del Gruppo Duca di Salaparuta, appartenente oggi alla Illva di Saronno, più precisamente alla famiglia Reina.
È in questo originale spazio che avviene l’accoglienza degli oltre 53 mila visitatori annui all’azienda. “Qui riceviamo gli ospiti prima del tour in cantina e permettiamo loro di comprendere chi siamo oggi – precisa Maria Elena Bello, responsabile Hospitality –. Molti vengono a visitare le cantine Florio senza sapere che facciamo parte di un gruppo più ampio, come la Duca di Salaparuta, e quindi nel cartoon raccontiamo il passaggio da Florio a Duca di Salaparuta. Poi spieghiamo che il Gruppo Duca di Salaparuta appartiene oggi alla Illva di Saronno, più precisamente alla famiglia Reina, che vuol farsi conoscere perché finora si pensava che dietro alla Illva Holding ci fossero gli americani. Il video svela il mistero e narra di Augusto Reina, proprietario dell’Illva di Saronno insieme ai suoi tre fratelli, che innamoratosi della Sicilia decide di investire nell’isola.
Nel cartoon, due personaggi: un’etichetta e un tappetto si muovono raccontando dell’acquisto delle tenute storiche e di quelle sull’Etna; degli investimenti tecnologici in cantina e in vigna. Della macchina del freddo, una sorta di mega frigorifero con le ruote che si sposta in vigneto per non far surriscaldare l’uva nel momento del trasporto. Qui i grappoli vengono conservati a una temperatura intorno ai 5 gradi e riescono così a raggiungere la cantina integri, come se fossero stati appena raccolti.
Accanto alla sala 4D, fortemente voluta da Augusto Reina, c’è la cantina Florio. “Questa location rappresenta la storia, uno stile di vita, la belle époque palermitana. Florio è conosciuto all’estero non come brand ma come ‘il Marsala’”, afferma Maria Elena Bello.
Costruita a Marsala in pietra di tufo da Vincenzo Florio nel 1833, la cantina sorprende per la sua bellezza. Fu bombardata durante la seconda guerra mondiale, e nel 1943 fu danneggiata gravemente, ma i lavori di ricostruzione, lenti e faticosi, l’hanno riportata all’antico e maestoso splendore. 650 metri di lunghezza per ogni navata, e 104 arcate sotto le quali si allineano 1.400 caratelli e circa 600 tra botti e tini. Parte della cantina storica è ancora in uso e vengono utilizzati i fusti centenari.
I pavimenti in tufo, pietra locale facilmente lavorabile per le sue caratteristiche di media durezza, permettono all’acqua sottostante di infiltrarsi per capillarità, di evaporare rinfrescando l’ambiente ecologicamente, e di mantenere un grado di umidità di circa l’80%. Si ottiene così una temperatura costante che va dai 15° in inverno ai 26° d’estate, e che risulta ottimale per l’invecchiamento e la conservazione dei vini.
L’acqua s’infiltra attraverso il terreno che è in calcarenite (materiale molto poroso), arriva poi in superficie ed evapora, abbassa così la temperatura e crea umidità agevolando una termoregolazione naturale.
Contribuisce al fascino della cantina la sala Donna Franca. Il visitatore è accolto da una musica di sottofondo, e trova un lungo tavolo sul quale si svolge la degustazione esperienziale. Su uno schermo cinematografico viene, poi, presentato un video che descrive la degustazione e l’abbinamento di 4 vini (un Marsala Florio, un bianco Corvo, un rosso Duca di Salaparuta e un Marsala o uno Zibibbo Florio) a 4 cibi diversi. Un gioco sapiente di luci e ombre accompagna il ritmo della proiezione. Un’esperienza innovativa proposta a un massimo di 40 visitatori per volta.
Le degustazioni avvengono anche nella moderna Terrazza Florio, uno spazio elegante e romantico affacciato sul mare di fronte alle isole Egadi dove godere della luce, del vento e dei magici tramonti vi sono poi due terrazze contigue caratterizzate da un arredo essenziale e raffinato che si inserisce perfettamente nella splendida cornice naturale. Un’esperienza unica in uno degli angoli più affascinanti dell’isola.
La cantina si distingue, anche, per alcuni vini unici e ricercati. Nel caveau di tufo è custodita, infatti, Aegusa Limited Edition, un’aristocratica bottiglia di Marsala lanciata dall’azienda Florio in occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia.
Alla cura del design, pulito ed elegante, si aggiunge un tocco di classe, la storica azienda vinicola ha deciso di valorizzare ulteriormente il suo prodotto “ornandone il décolleté” con gemme dei colori della bandiera italiana: uno smeraldo, un diamante e un rubino. Ma non è solamente il packaging a essere prezioso, anche il contenuto di questa “signora bottiglia”, un Marsala invecchiato 70 anni, conferma le caratteristiche del suo aspetto esteriore.
“Il Marsala è stato ed è la nostra realtà, ne produciamo circa 2 milioni e mezzo di bottiglie all’anno. Negli ultimi tempi ai Marsala classici sono stati affiancati altri grandi siciliani: vini liquorosi e passiti di forte tradizione, figli di uve provenienti da territori quali Pantelleria e Salina, capaci di esprimere inimitabili picchi qualitativi grazie all’unicum straordinario che nasce dal connubio tra microclima, terreno e vitigno”, spiega Maria Elena Bello.
Per celebrare i 110 anni e le 100 corse disputate durante le imprese audaci e visionarie della mitica competizione automobilistica Targa Florio, l’azienda crea un’esclusiva Limited Edition di uno dei suoi Marsala Florio più amati: Targa Riserva 1840.
Il Marsala, ricavato esclusivamente da uve Grillo della costa del marsalese, è affinato per almeno otto anni in botti di rovere per conferirgli il caratteristico colore ambrato brillante con riflessi topazio.
Interamente realizzata a mano da un artigiano, una guaina in pelle color cuoio veste l’elegante bottiglia, richiamando alla mente i guanti utilizzati dai piloti col suo oblò frontale e con il bottone che la chiude intorno alla bottiglia. Realizzate con il punto da selleria, le cuciture si ispirano ai volanti in cuoio cuciti a mano delle auto d’epoca. La pelle di pregio, le cuciture accurate, le finiture precise e il metallo lucente del bottone, sono tutti dettagli che racchiudono una storia fatta di passione per la sfida, amore per la qualità e desiderio di creare qualcosa di unico.
La produzione Duca di Salaparuta si attesta sui 12 milioni di bottiglie all’anno: circa 10 milioni di bottiglie di vini da pasto (Corvo e Duca di Salaparuta), 2 milioni di bottiglie di vini liquorosi o dolci e liquori (Florio). Le etichette sono in totale 50: 10 etichette Corvo, 15 Duca di Salaparuta, 25 Florio. Tutti i vini sono esportati in 55 Paesi del mondo, soprattutto negli Stati Uniti, in Brasile, in Inghilterra, in Estremo Oriente, in Cina e in Australia.
In una terra vocata al vino, la cantina Florio racchiude la storia, l’innovazione e la qualità del settore vitivinicolo siciliano.
Clementina Speranza e Simone Lucci
È il 1824 quando, in Sicilia, Giuseppe Alliata, Principe del Sacro Romano Impero e Duca di Salaparuta, anziché cedere a terzi le uve dei suoi possedimenti in contrada “Corvo” (Casteldaccia), decide di vinificare in proprio e imbottiglia le prime 5.000 bottiglie di “Corvo Bianco”. Inizia così la storia di Corvo e Salaparuta che s’intreccia con quella delle cantine Florio: Illva Saronno Holding S.p.A. (proprietaria di grandi marchi del settore spirits), dopo aver acquisito nel 1998 il controllo dell’intero pacchetto azionario della S.A.V.I. Florio, nel 2001 acquista anche la Casa Vinicola Duca di Salaparuta. Dalla fusione di quest’ultima con S.A.V.I. Florio, nasce Duca di Salaparuta S.p.A., società della Holding che produce i brand Florio, Corvo e Duca di Salaparuta.
La società Duca di Salaparuta ha origine quindi dalla fusione di 2 aziende storiche del panorama enologico siciliano: la Casa VinicolaDuca di Salaparuta e la S.A.V.IFlorio& C.
La società Duca di Salaparuta S.P.A. dal 2003 gestisce 3 marchi: Duca di Salaparuta, Corvo e Florio.
Fave, piselli, lupini, trifogli, e fiori sono le piante inserite tra i filari di vite o tra un alberello e l’altro. Le loro radici mantengono il suolo poroso, consentono l’assimilazione dei microelementi, favoriscono i movimenti dell’acqua, donano un apporto nutritivo al terreno e rilasciano azoto. Tagliate e lasciate sedimentare, con il trascorrere degli anni, le piante sono poi inglobate nel suolo. Questa tecnica agronomica di concimazione lenta e progressiva, che si chiama sovescio, viene adottata dalla cantina Terra Costantino.
La concimazione, la coltivazione e l’allevamento sono attuati dall’azienda catanese con modalità che promuovono la fertilità e la vitalità del terreno e, allo stesso tempo, valorizzano le qualità tipiche delle specie vegetali. Terra Costantino si può definire una realtà biodinamica. “Non siamo certificati, ma seguiamo i vecchi dettami della natura – racconta Fabio Costantino, proprietario della cantina –. Alla prima luna di gennaio eseguiamo la potatura delle piante con la tecnica ad alberello: oltre al tronco centrale della vite, ci sono tre bracci/candelabri e a ciascun candelabro si lasciano due ‘occhi’ da cui spunta il tralcio con l’uva –. Questa potatura è praticata durante la stagione invernale, quando la vite è secca.
Dal 2002, la cantina ha ricevuto la certificazione biologica che garantisce un approccio molto dolce all’allevamento delle viti.
“Fare biologico significa stare nella vigna per molto tempo, curarla con tantissima attenzione senza utilizzare pesticidi, evitando l’invasione di insetti come il moscerino Suzukii – precisa Fabio Costantino–. Siamo in una zona ventosa, con un clima adatto, quindi riusciamo a coltivare i vigneti senza ricorrere alla chimica. Utilizziamo solo il rame e lo zolfo come si è sempre fatto”.
Castagni, ciliegi, susini, gelsi accompagnano la crescita dell’uva: una vasta biodiversità, caratteristica dei vigneti sorgono sul versante sud-est dell’Etna nel territorio di Viagrande.
“Il terreno della nostra vigna è composto da sabbia vulcanica, è quindi molto permeabile, e superficialmente non si raccoglie nulla. La vite, facendosi strada nelle fenditure, riesce a penetrare il basalto. Per schiacciare questa roccia servono cento tonnellate per centimetro quadrato, una pressione incredibile. La vite non trova il nutrimento nei primi 50 cm, che sono aridi, bensì più in profondità, nella terra cotta dal passaggio superiore della lava. Si tratta di lava di Blandano, che risale a un periodo tra il 100 a.C. e il 3000 a.C. – spiega Costantino –. Raggiunta la terra cotta, che ha trattenuto grandi quantità di acqua, le radici traggono nutrimento per tutto l’anno”.
Dalla vigna si ammira il mare e si percepiscono le note salmastre trasportate dal vento. Alle spalle c’è il vulcano, che protegge le piante dall’invadenza gelata della tramontana.
“Sull’Etna, la produttività per ettaro è la più bassa in assoluto, ci sono zone in cui si raccoglie un chilo a ettaro, qui siamo intorno a 40/50 quintali a ettaro che è una resa minima – riferisce il proprietario della cantina –. Quest’anno abbiamo fatto anche un diradamento per avere una qualità migliore”.
L’azienda coltiva esclusivamente vitigni autoctoni dell’Etna a bacca bianca, come Carricante e Catarratto, e a bacca rossa quali Nerello Mascalese e Nerello Cappuccino.
Contrada Blandano e De Aetna sono i vini di punta di Terra Costantino. “Tutti i vini contengono una quantità minima di solfiti, per ottenere un prodotto che sia il più pulito, elegante e fresco possibile”, puntualizza Fabio Costantino. Il nome De Aetna è ispirato al titolo di un saggio latino di Pietro Bembo del 1496. Una perfetta combinazione di uve Nerello Mascalese e Nerello Cappuccino dà vita al De Aetna rosso; le uve Carricante e Catarratto per il De Aetna bianco, mentre un’accattivante interpretazione del Mascalese per il De Aetna rosato.
Tutti vini Etna DOC, la cui produzione è consentita solo nella provincia di Catania, in una mezzaluna che circonda il vulcano da sud a nord e si alza fino a 1000 metri sul livello del mare.
Terra Costantino racconta il boscoso e il fertile territorio che circonda l’Etna. Attraverso i vini e le etichette, rivivono poi gli idilli di Teocrito.
Clementina Speranza e Simone Lucci
AGRICOLTURA BIOLOGICA
Il termine “agricoltura biologica” o “agricoltura organica”, come è in uso nei paesi anglosassoni, si spiega da solo, si tratta di una pratica agricola che ammette solo l’impiego di sostanze naturali, presenti cioè in natura, escludendo l’utilizzo di sostanze chimiche sintetizzate dall’uomo.
Dal suo apparire, risalente a circa 10.000 anni fa, fino a metà secolo scorso l’agricoltura poteva essere definita “biologica”. L’agricoltura biologica non è quindi una moda recente, propugnata da ecologisti fanatici, come alcuni suoi detrattori vorrebbero far credere, ma una pratica tradizionale che ha permesso la sopravvivenza e lo sviluppo dell’umanità per decine di millenni. Non si tratta di rinnegare il progresso se mai di imparare ad usare saggiamente gli strumenti che ci mette a disposizione, affinché non diventino, come purtroppo spesso accade, mezzi di distruzione. In agricoltura biologica si recuperano e si adottano pratiche agricole tradizionali che mantengono ancora la loro validità, ma si fa anche largo uso di nuovi prodotti e innovazioni che la ricerca scientifica mette a nostra disposizione.
La viticoltura biologica è orientata verso una più matura consapevolezza nella gestione agronomica in quanto basata su un’attenta osservazione della fisiologia e dei ritmi fenologici delle piante. Questa scelta è vincente solo se il vigneto viene realizzato su questi presupposti e con la cura di effettuare le operazioni necessarie in modo preciso e tempestivo.
AGRICOLTURA BIODINAMICA
L’agricoltura biodinamica è un modo di lavorare, osservare, di vivere la terra. Una filosofia di vita per apprezzare tutta l’armonia di un campo coltivato, il succedersi delle stagioni e del tempo. Con il metodo biodinamico, l’agricoltura è in sintonia con la natura, con la terra e con gli uomini. La concimazione, la coltivazione e l’allevamento sono attuati con modalità che rispettano e promuovono la fertilità e la vitalità del terreno e allo stesso tempo le qualità tipiche delle specie vegetali e animali. Il profondo legame con la natura e il completo rispetto dei suoi ritmi portano con l’agricoltura biodinamica, ad abolire l’utilizzo di fertilizzanti minerali sintetici e di pesticidi chimici, e a gestire il terreno seguendo i cicli cosmici e lunari.
La base ideale per creare un’unità biodinamica è l’azienda agricola con un allevamento di bestiame. Gli animali costituiscono infatti un elemento importante di questo organismo, fornendo prezioso fertilizzante, da usare dopo il compostaggio per incrementare la vitalità del terreno.
Secondo il metodo biodinamico, la fertilità e la vitalità del terreno devono essere ottenute con mezzi naturali: compost prodotto da concime solido da cortile, materiale vegetale come fertilizzante, rotazioni colturali, lotta antiparassitaria meccanica e pesticidi a base di sostanze minerali e vegetali. Rendendo vitale la terra ed aumentandone l’attività biologica, le piante crescono in modo naturale, nutrite dall’ecosistema del suolo. La concimazione e la cura del terreno sono quindi finalizzate all’ottenimento e al mantenimento di questo equilibrio.
L’agricoltura biodinamica è nata nel 1924 come risposta di Rudolf Steiner, un filosofo austriaco della prima metà del XX secolo, a un gruppo di agricoltori che si chiedeva indicazioni pratiche per risolvere i nuovi problemi di degenerazione delle loro colture causati dall’uso dei prodotti chimici nella concimazione e nella difesa delle piante, delle nuove tecniche di selezione e di intensivizzazione dell’agricoltura. Era il passaggio dell’azienda mista (che produceva tutto quanto le serviva per funzionare) all’azienda specializzata che dipende dall’importanza di input dall’esterno. Da più di ottanta anni in movimento di agricoltura biodinamica – diffuso con successo in tutto il mondo – con i suoi agricoltori e i suoi ricercatori lavora per garantire il risanamento della Terra, il rinnovamento dell’agricoltura e per offrire un alimento ricco di forze nutritive a uomo e animali.
Al centro della Sicilia occidentale si erge la città arabo-normanna di Salemi. Dal terrazzo merlato del castello è possibile godere di un panorama incantato valorizzato da distese di uliveti e vigneti. In questa zona dove il sole tramonta alle spalle delle isole Egadi, nasce la storia della famiglia Ardagna che ha portato a nuova vita Musìta, una vecchia cantina degli anni ’70 e che trae il suo nome dall’omonimo colle su cui vengono coltivati alcuni vigneti.
La passione vitivinicola di Don Ignazio, infatti, è stata tramandata di padre in figlio per cinque generazioni. Un’attività iniziata con pochi ceppi di Catarratto impiantati ad alberello, gestiti con infinito amore e tanta fatica, sino all’acquisizione di circa 50 ettari di vigneto coltivati con nuove tecniche attente all’ambiente, ma con l’entusiasmo del passato.
A un’altitudine che arriva fino a 500 mt. s.l.m., vengono allevati: il Catarratto, il Grillo, lo Chardonnay, il Cabernet Sauvignon, il Syrah e il Nero d’Avola. “Preferiamo i vigneti sulle colline di Salemi posti esattamente nelle vicinanze della cantina e della zona collinare che si espande attorno al sito archeologico di Segesta – precisa l’enologa Carmela Ardagna –. Compriamo, anche, uve da altri fornitori con cui abbiamo contratti pluriennali. Tali vigneti vengono controllati dalla potatura alla vendemmia e seguono il nostro protocollo”.
La raccolta di queste uve viene interamente svolta a mano e i grappoli vengono posti in piccole cassette da 15kg. “In tal modo, il frutto giunge integro in cantina dove una diraspatrice toglie il raspo senza schiacciare gli acini che vengono, successivamente, trasportati all’interno di vasche per mezzo di una pompa peristaltica. Uno strumento nato per il mondo medico e poi adattato al settore enologico”, spiega Carmela Ardagna.
La gestione della cantina e dei vigneti è completamente familiare, e ogni processo di lavorazione viene seguito da esperti agronomi ed enologi che mirano a valorizzare i vini e la terra siciliana. “In futuro, mi piacerebbe vedere la Sicilia come un’isola bio”, riferisce Dino Taschetta, presidente della cooperativa di Mazara Colomba Bianca e marito di una delle proprietarie della cantina Musìta.
All’azienda, infatti, sono state riconosciute: la certificazione biologica e il programma NOP (National Organic Program) per l’esportazione di vino biologico negli Stati Uniti. “I prodotti bio non sono ancora in commercio, ma stiamo lavorando a una linea di vini biologici in purezza con un focus sulle varietà autoctone: Grillo, Catarratto e Nero d’Avola – puntualizza Vito Amato, responsabile marketing e nipote dei proprietari –. Per il mercato americano, stiamo realizzando uno Zibibbo secco certificato NOP”.
Uno dei vini di punta della cantina Musìta è il: Passocalcara metodo classico, presentato per la prima volta con la guida del Giornale di Sicilia, aggiudicandosi nel 2015 il premio come Miglior Spumante della Sicilia.
Tutti i vini Musìta sono prodotti in un’azienda attenta all’ambiente e all’ecosostenibilità. “Abbiamo installato dei pannelli solari per il riscaldamento dell’acqua, abbattendo, così, i consumi – precisa Vito Amato –. E in futuro realizzeremo un impianto fotovoltaico per l’energia elettrica. Nel frattempo abbiamo un contratto con un fornitore di energia elettrica che ci garantisce energia prodotta da fonti rinnovabili, con una particolare sensibilità all’ambiente”.
In Musìta si fondono tradizione e tecnologia, storia e innovazione, dedizione e sapienza, sogno e realtà per creare vini dall’inconfondibile sapore siciliano.
Rubino intenso, rosso che va dal porpora fino al mattone, i colori. Sentori di fragola, prugna, pot-pourri, cannella, cioccolato, uva passa… In un calice di Rosso Mediterraneo ci sono la Puglia, la sua gente e i suoi valori.
Un video riassume e rappresenta i luoghi da cui ha origine il Primitivo di Manduria, terroir suggestivo e ricco di cultura.
Un viaggio emozionante, la poesia di un uomo che attraversa luoghi con panorami mozzafiato, vecchi vigneti, prodotti tipici, e incontra maestranze e saperi, per poi ritrovarsi appagato a brindare insieme alla famiglia con una bottiglia di Primitivo di Manduria.
Il filmato nasce per celebrare la magia del vigneto Puglia e di tutto ciò che esso contiene: le monumentali masserie imbiancate a calce, i muretti a secco, il rosso del Primitivo e gli insediamenti rupestri di Taranto e di Brindisi…
“Un progetto che vuole invogliare a visitare i nostri luoghi e le nostre cantine – spiega Roberto Erario, Presidente del Consorzio –. Il Primitivo di Manduria è più che un vino: è il suo territorio. Abbiamo la fortuna di vivere in una regione magnifica, tra gente autentica che ha voglia di crescere. Ringrazio gli attori, le imprese e le nostre aziende per aver permesso la realizzazione del video che sarà proiettato a fiere ed eventi internazionali”.
Nel filmato due parole: Rosso Mediterraneo. “Si rifanno al colore del Primitivo di Manduria: la tipica carica aromatica di bacca rossa e spezie, vestita di colore rubino, è la diretta proiezione di ciò che lo circonda. Ecco perché Rosso viene, in modo naturale, associato alla parola Mediterraneo”, conclude il Presidente del Consorzio.
Rosso Mediterraneo, in un calice di Primitivo di Manduria la semplicità della bellezza made in Puglia. Questo è il concept della nuova campagna del Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria ispirato al legame tra il grande vino pugliese e il suo territorio.
Clementina Speranza
Il Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria è composto da 27 aziende che vinificano e imbottigliano e da oltre 850 soci, viticoltori per passione. Sono circa 3.140 ettari i vigneti che costituiscono la denominazione del Primitivo di Manduria, e 18 i comuni, tra Taranto e Brindisi, che producono Primitivo di Manduria Doc.
Nel dicembre 2015, il Consorzio ha ottenuto dal Ministro delle Politiche Agricole e Forestali l’incarico di svolgere funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, vigilanza, informazione del consumatore e cura generale degli interessi di cui all’art. 17, comma 1 e 4 del d. lgs. 8 aprile 2010, n. 61 – Erga Omnes per la DOC Primitivo di Manduria. A tal fine sono già stati formati due agenti vigilatori che avranno il titolo di pubblici ufficiali e, in collaborazione con l’Istituto Centrale Qualità Repressione e Frodi, potranno effettuare controlli anche sui vini già posti a scaffale, per tutelare il consumatore e i produttori da irregolarità o anomalie relative al prodotto, e garantenire che esso rispetti i dettami del Disciplinare di produzione.
Il Consorzio nasce ufficialmente il 16 febbraio 1998 per iniziativa di un gruppo di produttori desiderosi di costituire un istituto giuridico in grado di tutelare il vino “Primitivo di Manduria”.
Trae ispirazione dalla legge n°164 del 1992, ed è su quel dispositivo che arriva il primo statuto, con la sottoscrizione di dieci aziende, tra cooperative e private, sicuramente tra le più rappresentative del territorio. Dopo questo primo, essenziale punto di partenza, ci si è impegnati per aumentare il numero di aderenti in modo da ottenere quel 40% della rappresentatività del prodotto oggetto di tutela, limite minimo richiesto dalla legge per il riconoscimento, finalmente ottenuto col Decreto Ministeriale del 5 aprile 2002.
In pochissimo tempo è stato grande il successo del Primitivo, grazie anche alla presa di coscienza dei produttori che hanno ridotto i quantitativi di uva per ettaro, hanno vinificato con l’uso delle più avanzate tecnologie e si sono impadroniti delle più opportune strategie di marketing, presentando così nel mondo un vino elegante e appagante. Un genio multiforme che, a seconda dei vari metodi di lavorazione ed affinamento, riesce a esprimersi con diverse sfumature e sensazioni di gusto, in un’armonia inimitabile di colore, profumo e sapore.
IL VITIGNO Il vitigno primitivo trae il suo nome dalla precocità della maturazione che lo rende, appunto, uno fra i primi vitigni ad essere vendemmiati a fine agosto. Caratteristica questa che, però, non impedisce agli zuccheri di aumentare la loro concentrazione, tanto che la particolarità principale dei vini ottenuti dal vitigno primitivo è la sua gradazione alcolica: il Primitivo prevede infatti una gradazione minima di 14 gradi per il Primitivo di Manduria secco Dop, 16 gradi per il Primitivo di Manduria Dolce Naturale Docg e addirittura 18 gradi per il Primitivo di Manduria Liquoroso Docg.
IL VINO Il Primitivo di Manduria si presenta alla vista con un rosso-violaceo, tendente all’arancione con l’invecchiamento; l’aroma è leggero e caratteristico, il sapore asciutto, pieno, armonico, tendente al vellutato con l’invecchiamento. Il Primitivo di Manduria Dolce naturale ha colore simile ma sapore dolce, caldo, pieno e armonico; proprietà che si riscontrano anche nel Primitivo di Manduria Liquoroso dolce, dove però la nota alcolica diventa evidente.
Abbinamenti consigliati: Il Primitivo di Manduria Secco è un vino da pasto che si abbina con piatti saporiti e strutturati come: salumi, formaggi piccanti, carni di maiale e primi a base di ragù, come le immancabili orecchiette. Il Primitivo di Manduria Dolce Naturale è un vino da meditazione che si sposa bene sia con pasticceria secca che con formaggi duri stagionati. Il Primitivo di Manduria Liquoroso Dolce, invece, si abbina meglio a pasticceria più elaborata come le torte a base di creme.
Mentre lo versiamo crepita, scoppietta. L’effervescenza sussurra, bisbiglia, freme, è un brivido, un fruscio. Le bollicine esplodono, risuonano.
Ai nostri occhi il liquido ribolle, vive, si agita. Le bollicine sono minuscole o medie, regolari, incolonnate, raggruppate, delicate, leggere, lente o veloci, nervose, vorticose, piroettanti. Gli occhi ne seguono il movimento, l’incessante ascesa, valutano la finezza e la bellezza della corona, il “collier di perle” che si forma in superficie giocando con la parete del bicchiere.
“Lo Champagne è un prodotto ormai ‘eternalizzato’ ma lo si può scoprire sempre da una nuova angolazione e lo si può condividere insieme ogni volta in modo diverso”, afferma Vincent Perrin, Direttore Generale del Comité Champagne, durante il 40° anniversario del Bureau du Champagne, l’ufficio che rappresenta in Italia la denominazione del celebre vino.
Il Bureau du Champagne è presente in 15 mercati. Insieme all’Italia, ne fanno parte: Germania, Austria, Belgio, Cina, Stati Uniti, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, India, Russia, Svizzera e Australia. In Italia, settimo mercato al mondo (Francia esclusa), nel solo 2015 sono giunte 6,3 milioni di bottiglie.
Il Bureau nasce nel maggio del 1976 su iniziativa del Comité Champagne, l’interprofessione che riunisce tutte le Maison e tutti i Vigneron della Champagne.
Le missioni fondamentali del Bureau, oggi diretto da Domenico Avolio, riguardano la difesa della denominazione e le attività di formazione in Italia. Nel corso di questi primi 40 anni, il Bureau ha mantenuto aperto il dialogo con i professionisti del vino, i formatori, i giornalisti, ed è diventato un punto di riferimento per quanti, anche tra gli appassionati, desiderano avvicinarsi al mondo dello Champagne.
Il Comité Champagne, con sede a Epernay, è un’organizzazione interprofessionale, strumento di sviluppo economico, tecnico e ambientale. Il Comité mette due professionalità, quella delle Maison e quella dei Vigneron, in relazione tra loro e conduce una costante politica di qualità e di valorizzazione del patrimonio comune. Dal 2015 Coteaux, Maison e cantine della Champagne sono parte del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
Cru, vini, annate, dosage, esprimono la diversità degli Champagne. Il cru, che corrisponde a un comune viticolo, identifica la particolare combinazione di vitigno, terroir e clima. Esistono 320 cru e 278 mila particelle che posseggono una specifica identità. “Lo Champagne è un frutto straordinario determinato da una variante di fattori – precisa Marco Chiesa, ambasciatore dello Champagne in Italia –. La denominazione di origine controllata Champagne è unica, ma i vini della Champagne offrono una moltitudine di sfaccettature. La diversità dei Cru, delle particelle, dei vitigni, dei millesimi, degli assemblaggi, dei tempi di maturazione permettono di creare stili differenti”.
L’anniversario del Bureauè stato celebrato il 13 dicembre, con un’originale degustazione e un brindisi, a Milano presso Palazzo Parigi alla presenza di Olivier Brochet, Console generale di Francia a Milano, Vincent Perrin e Thibaut Le Mailloux, rispettivamente Direttore generale e Direttore della comunicazione del Comité Champagne.La degustazione è stata magistralmente condotta da Marco Chiesa che con originalità ha pensato di associare i vari Champagne alla musica classica e rock, alle opere dei grandi pittori, agli stati d’animo, ai paesaggi. Così, ad esempio, L’Âme de la Terre di Françoise Bedel del 2004 sarebbe come la musica “impressionista” di Debussy, che traduce sulle tele e nella musica “le impressioni”. Il Saint Gall De Orpale Blanc de Blancs del 2002, persistente e con grande personalità, potrebbe richiamare un pezzo rock dei Pink Floid, e la Cuvée R. Lalou G.H Mumm del 2002, Champagne roccioso, solido e intenso, se fosse uno stato d’animo sarebbe passione, se fosse rock sarebbe Eavy Metal, se fosse musica classica sarebbe un brano di Bach: perfezione tecnica e sonorità austere. Il Piper-Hedisieck Rare del 2002 possiamo paragonarlo alle imponenti opere di Wagner, e il Bollinger R.D. del 2002, che ritorna in bocca ogni volta diverso, potrebbe essere accostato alla musica dei Queen.
Sotto il palato le perle cristalline dello Champagne esplodono, esaltano il loro sapore acidulato: gusti forti e soavi, profumati di fiori bianchi, di frutta matura, di legni esotici. Sono come i brani, o gli accordi di un’orchestra sinfonica che giocano sui tempi forti e poi su quelli lenti e dolci, eseguiti nella calma e nell’armonia. Sono come i diversi strumenti musicali di un complesso rock. Eccitazione, pienezza, calma, tre momenti che si sommano per un piacere puro. Lo Champagne chiama in causa tutti i nostri sensi.
“Noi Stasera non abbiamo bevuto Champagne, abbiamo vissuto un momento, un’atmosfera. Abbiamo viaggiato nel tempo e tra la musica… Alla prossima bottiglia di Champagne chiudete gli occhi e accendete la fantasia”, conclude così Marco Chiesa.
Clementina Speranza
ELABORAZIONE DELLO CHAMPAGNE
Il vigneto riposa su uno spesso strato gessoso, depositatosi nell’Era Secondaria. Questo gesso, di una qualità particolare, offre allo Champagne una culla incomparabile. Non solo perché il vino cresce nelle sue profondità, al riparo dalla luce e dal rumore, a una temperatura costante, in cantine la cui rete sotterranea si estende per oltre 250 km, ma anche perché esso dona alla vigna il meglio di sé: immagazzina per poi restituire il calore e l’umidità, nutre e protegge i ceppi delicati, regala grande originalità alle uve e in parte spiega il perché di un’elaborazione così complessa come quella del vino che ne risulta.
La temperatura media annuale della regione viticola non supera gli 11° C, limite massimo sotto il quale l’uva non matura più. Le vigne sono basse, la potatura corta: non si deve sprecare né calore, né linfa. Paradossalmente proprio queste condizioni difficili sono le più appropriate a dare grappoli di una qualità adeguata alle grandi esigenze dello Champagne.
Una lunga esperienza ha identificato il perfetto accordo di alcuni vitigni con il suolo e il clima della Champagne. Si tratta dello Chardonnay, che dona uve bianche, del Pinot Noir e del Pinot Meunier, che regalano invece uve nere. Il primo conferisce al vino leggerezza e freschezza; il secondo corposità e longevità e il terzo sentori di frutti e vivacità.
Questi tre vitigni sono i soli autorizzati dalla legge.
La vigna è delicata, esigente e pretende un’attenzione costante. Mille pericoli la minacciano: le gelate, i temporali, le malattie, i parassiti possono distruggere le speranze di un intero anno di lavoro. Malgrado le cure meticolose del vignaiolo, innumerevoli imprevisti possono causare una catastrofe, perché è necessaria la coincidenza di diversi elementi favorevoli per ottenere un buon raccolto.
Durante la vendemmia, i grappoli vengono raccolti a mano e trasportati alla pressa con estrema cautela. Da 4 mila chili d’uva si ricavano 2.250 litri di mosto, che corrispondono a 102 litri di succo per 160 chili d’uva.
Il vino nasce in cantina quando il mosto viene trasferito in fusti o botti. Una prima fermentazione avviene grazie alla trasformazione dello zucchero in alcol. Dopo alcuni mesi quando questa fermentazione è terminata e il vino è divenuto chiaro si compone la “cuvée”. L’abilità consiste nel creare un insieme armonioso ed equilibrato abbinando vini di annate, vitigni e cru differenti. Ogni maestro di cantina custodisce gelosamente il segreto delle proporzioni che danno al suo vino un gusto particolare e lo distinguono da quello dei colleghi. È straordinario notare come la qualità di questo felice assemblaggio sia sempre superiore alla somma delle qualità di ciascun componente.
Se il vino di un solo raccolto è davvero notevole, si può elaborare la cuvée con il solo vino di quell’annata: lo Champagne sarà allora “millesimato”. Se il vino è nato esclusivamente da uve bianche di vitigno Chardonnay, viene definito “blanc de blancs”. Se è nato solo da Pinot Noir e Meunier, sarà allora un “blanc de noir”.
Una volta creata la cuvée si procede all’imbottigliamento. Durante questa operazione, definita “tirage”, vengono aggiunti al vino lieviti naturali e una piccola quantità di zucchero. Le bottiglie vengono poi tappate e ha inizio la seconda fermentazione, molto più lenta rispetto alla prima. Poco a poco nel fresco silenzio delle cantine il vino fermo prende spuma e sviluppa i propri aromi.
La permanenza in cantina dura minimo 15 mesi, ma più spesso trascorrono diversi anni, che contribuiscono a determinare la finezza della spuma e il bouquet del vino.
Nel corso della seconda fermentazione, che dura dalle 6 alle 8 settimane, i lieviti consumano lo zucchero e liberano nel vino, oltre all’alcol e l’anidride carbonica, esteri e alcoli superiori, che contribuiscono anch’essi a definire le caratteristiche sensoriali del vino.
Durante la seconda fermentazione in bottiglia si forma un deposito che è necessario eliminare. Appoggiate sui “pupitre” (cavalletti) o su “palette”, le bottiglie vengono ruotate ogni giorno nell’arco di parecchie settimane. Quest’operazione, che prende il nome di “remuage”, fa scivolare progressivamente il deposito verso la superficie interna del tappo.
Con il “degorgement” si espelle questo deposito. Dal momento che l’operazione comporta l’uscita di un po’ di vino dalla bottiglia, si aggiunge un volume uguale di Champagne, contenente una piccola quantità di zucchero di canna, la cui proporzione varia a seconda del tipo di vino che si desidera ottenere (brut, sec o demi-sec). Infine la bottiglia è sigillata con un tappo definitivo, trattenuto da una solida gabbietta e vestita della sua etichetta, di un collare e di una capsula costituita da un foglio di stagno.
Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne
Il Comité Champagne è un organismo creato dalla legge francese del 12 aprile 1941 per gestire e difendere gli interessi comuni dei viticoltori e delle Maison di Champagne.
Il Comité Champagne organizza le relazioni tra vigneron e maison per l’acquisto e la vendita delle uve, registra tutte le transazioni e gestisce la riserva qualitativa regolando così il mercato e assicurando l’indispensabile equilibrio tra domanda e offerta. Il Comité Champagne gestisce le relazioni con le istituzioni amministrative francesi e della Comunità Europea, lavora per rafforzare la presenza internazionale dei vini di Champagne e lotta contro le barriere commerciali per facilitare le esportazioni in tutti i paesi del mondo.
I Servizi Tecnici del Comité Champagne sviluppano programmi di ricerca in viticultura e enologia all’avanguardia. Ogni anno vengono realizzate circa 200 sperimentazioni in tutta la regione in ogni settore: dalla climatologia alla lotta anti-parassitaria, dalle tecniche colturali ai progetti di zonazione, dal controllo dei processi di fermentazione. I Servizi Tecnici operano sia con mezzi propri ma collaborando fianco a fianco anche con partner esterni, sostenendo la filiera attraverso un’attività di consulenza ai vigneron e ai vinificatori e organizzando attività di informazione anche con la pubblicazione di documenti tecnici.
Un’altra delle missioni del Comité Champagne è la valorizzazione dei vini di Champagne e il rispetto della loro identità. Il dipartimento Denominazione e comunicazione crea e diffonde una molteplicità di strumenti per far conoscere i vini di Champagne. Inoltre organizza eventi rivolte a professionisti del vino, giornalisti e formatori organizzando visite personalizzate per la stampa o gruppi di professionisti.
Il Comité Champagne dispone di una rete, caso unico nel panorama vinicolo, di 15 uffici in tutto il mondo che garantiscono le relazioni con i media e sviluppano azioni di comunicazione e di difesa della denominazione calibrate sui diversi mercati. La tutela della denominazione Champagne è una prerogativa fondamentale del Comité Champagne attraverso azioni sistematiche contro tutti coloro che compromettono la notorietà e l’identità della denominazione. Ogni anno, il Comité Champagne lotta contro centinaia di usi abusivi del nome Champagne: dagli spumanti ai prodotti di bellezza, dalla birra ai generi alimentari.
Il 13 dicembre la Chiesa festeggia santa Lucia. Una ricorrenza che a Trapani è particolarmente sentita e che continua a mantenere vive alcune tradizioni. Si narra che in quella data, nel 1646, nel porto di Palermo approdò una nave carica di grano che pose fine a una grave carestia. Per poterlo consumare immediatamente, il grano non venne macinato, ma bollito.
In ricordo di quell’evento, per Santa Lucia, i siciliani tradizionalmente non consumano cibo a base di farina, ma cuccìa e arancine di riso. Il termine “cuccìa” sembra derivi da “còcciu”: cosa piccola, chicco. L’usanza vuole che questo dolce sia distribuito a familiari, amici e vicini di casa, e le briciole vengano lasciate sui tetti per gli uccellini.
La cuccìa è a base di grano bollito e ricotta di pecora o crema di latte, bianca o al cioccolato. Viene guarnita con zuccata, cannella e pezzetti di cioccolato. Nel trapanese, al frumento bollito viene aggiunto il cosiddetto “vino cotto”: un Mosto di uve caramellizzato, il più antico dolcificante della storia, chiamato anche Sapa o Saba. “Il mosto cotto è un dolcificante naturale che si ottiene dalla lenta cottura del succo d’uva non fermentato e non contiene alcool. Diventa una glassa che si può mettere su pane, frittelle, gelato, frutta secca e fresca. Il mosto cotto si ottiene dalle uve Grillo, Catarratto, Inzolia e da quelle previste dal disciplinare di produzione”, spiega Ercole Alagna, proprietario della cantina Baglio Baiata Alagna.
L’azienda siciliana in questione produce anche il vino della Santa Messa, cioè quello utilizzato per celebrare l’Eucarestia. Vinificato in bianco e rosso, è diffuso nei luoghi dove la pratica religiosa è molto forte. “Con una gradazione alcolica di 16° e di tipo liquoroso, questo vino è rigorosamente ex genimine vitis (Vino Genuino) nel rispetto delle prescrizioni del diritto canonico, ed è prodotto sotto il controllo del vicario foraneo con l’autorizzazione vescovile – precisa Alagna –. L’autorizzazione è sigillata attraverso un particolare procedimento tecnico da parte di esponenti della Santa Sede, che vengono in azienda e chiudono le vasche prima dell’imbottigliamento”. I vini da messa sono pochi, e le cantine nazionali che li producono, dotate dell’autorizzazione delle curie vescovili del territorio, sono diventate fornitrici storiche. Il vino eucaristico deve attenersi ad alcuni parametri dettati dal Codice di Diritto Canonico “vinum debet esse naturale ex genimine vitis et non corruptu” (il vino deve derivare naturalmente dal frutto della vite e non essere corrotto). È necessario dunque che sia realizzato con ‘uva pura’, non contaminata in alcun modo, e la sua genuinità è garantita con dei controlli su campioni da parte di un vicario foraneo, cui segue il sigillo della Curia. Il retro etichetta del vino Santa Messa dell’azienda di Alagna riporta: ‘Preparato, imbottigliato e sigillato secondo i dettami del canone 924§3 del Codice del Diritto Canonico: sotto il controllo del Direttore dell’Ufficio Liturgico della Diocesi di Mazara del Vallo. Il vino per uso sacramentale è frutto della vite (cfr. Lc 22,18), naturale e genuino senza aggiunta di sostanze estranee’.
Il cromatismo del vino non viene menzionato dal diritto canonico. Tuttavia, sugli altari, si è assistito a un cambiamento: il rosso di un tempo, simbolo del sangue di Cristo, è stato gradualmente sostituito dal bianco per motivi pratici: le eventuali macchie sulle tovaglie di lino dell’altare, se rosse, sarebbero troppo evidenti.
“La curia consiglia la vendita di questo vino a chiese, comunità, privati, enoteche. La vendita ai supermercati non è vietata, ma non è auspicata, per evitare abbinamenti inopportuni o ‘volgari’ sugli scaffali”, precisa Ercole Alagna.
Nata nel 1943, con Antonio, padre dell’attuale proprietario, e il solo nome di Alagna, l’azienda è una costruzione agricola antica realizzata sotto forma di balium circolare con all’interno una cappella. “Si erge tra stupende colline, a circa 10 km dal centro di Marsala, dove si trova il territorio più idoneo per questi tipi di vitigni, e si chiama Baglio Baiata, detto anche Baglio Spanò”, precisa Ercole Alagna.
I vigneti sono coltivati su una superficie di 60 ettari di terreno distribuiti nei comuni di Marsala, Salemi, Mazara e Trapani. Crescono qui i vitigni necessari per la creazione di: Zibibbo, Nero d’Avola, Grillo, Catarratto, Inzolia e Damaschino. Tutte uve locali che hanno bisogno del particolare microclima della provincia di Trapani e sono lavorate utilizzando un mix di tecniche tradizionali e moderne, con sistemi di raccolta sia meccanici sia antichi. L’intera produzione minimizza l’impatto ambientale e preserva il patrimonio naturalistico della zona.
La cantina Baglio Baiata Alagna, che si trova a Marsala, è stata creata all’interno di cave di tufo, e possiede, quindi, pozzetti interrati e gallerie sotterranee che facilitano l’invecchiamento del vino e lo proteggono dalle alte temperature tipiche del territorio.
La cantina è specializzata nell’ideazione di vini dolci, di prodotti invecchiati, e di articoli di nicchia, venduti in Italia, Cina, Australia, Brasile e Polonia. Diversi sono i premi ottenuti. “Medaglie d’argento, medaglie di bronzo, e da quest’anno le 5 stelle sono i riconoscimenti che arricchiscono il nostro medagliere – afferma Ercole Alagna –. Abbiamo partecipato a concorsi nazionali e internazionali, siamo stati in Polonia e in Germania”.
Qual è l’ultimo premio vinto? “Le 5 stelle. Il massimo premio enologico internazionale, ricevuto al Vinitaly per il nostro Moscato”.
Tramandate da padre in figlio, la passione e le conoscenze vitivinicole di Baglio Baiata Alagna danno vita a vini divini, pluripremiati e di qualità.
A seguito delle glaciazioni nella fascia prealpina, in un’area dolcemente collinare lambita da un clima mite, si è formata la verdeggiante e rigogliosa Franciacorta. In questo territorio a sud dell’azzurro lago d’Iseo, nasce Brut Green Vegan, il primo Franciacorta certificato secondo la filosofia e i criteri della qualità Vegana ideato da Mario Falcetti che dal 2008 dirige Quadra, azienda di proprietà della famiglia Ghezzi.
Vestito con una provocatoria etichetta verde, Brut Green Vegan non è esclusivamente un vino, bensì una visione, un modo di produrre, un’attenzione all’ambiente, l’unione tra tradizione e innovazione. “Il Vegan di Quadra è un vino, un’etichetta, un concetto rivoluzionario, almeno nell’attuale ambiente enologico, che a pochi mesi dal suo lancio occupa il 7% delle nostre vendite – riferisce Mario Falcetti, direttore della cantina –. Vegan rappresenta una maschera, un personaggio in cerca d’autore in cui ciascun individuo vede quello che vuol vedere. Un vino innovativo che solitamente è classificato di moda oppure estremista. In realtà, le motivazioni alla base di Green Vegan sono più profonde, articolate e complesse di quanto appare a prima vista”.
Il Franciacorta vegano è la naturale evoluzione e concretizzazione di un pensiero di Falcetti che ha adottato un percorso enologico a basso impatto ambientale e che rispetta i tempi della natura. “Non ho mai utilizzato chiarificanti, in particolare quelli di derivazione animale come albumina, gelatina, caseina, colla di pesce che hanno la capacità di fissare le proteine disperse nel vino, renderle più pesanti in termini di massa, e separale dal vino. Si parla di chiarifica perché si sottraggono le parti sospese all’interno della bevanda, migliorando il colore del vino – precisa l’enologo –. Il metodo vegano rende i nostri Franciacorta immediati, di notevole piacevolezza ed eleganza, ma soprattutto adatti ai palati più esigenti, anche in termini di sensibilità a determinati allergeni”.
Lavorare secondo tali principi e raccontarlo nella massima trasparenza ai clienti, ha suggerito all’azienda la possibilità di certificare il prodotto.
“Il mercato domestico è quello che noi gestiamo in maniera prioritaria – racconta l’enologo –. Quando affermavo che i vini sono privi di chiarificanti, sempre più acquirenti mi chiedevano una certificazione, così, mi sono rivolto al CSQA che mi ha consigliato di scrivere un disciplinare interno, certificato insieme al prodotto, dove anziché certificare delle negatività, attesto un concetto in positivo. Nasce, così, l’idea del vegano”.
Sempre a Falcetti si deve una lunga battaglia per la valorizzazione della tipologia Satèn, accompagnato da scelte comunicative audaci come il Gioco delle Cuvèe che ogni anno chiama esperti e critici a creare il proprio vino. “Satèn è un vino che rappresenta l’amore, un sentimento forte, costantemente alimentato, che travolge tutto, ma che possiede un equilibrio tra la fase razionale e irrazionale – riferisce l’enologo –. Sono stato il primo a credere in questa tipologia, prodotta esclusivamente in Franciacorta, all’interno di botti acciaio, e rappresenta l’unione tra: finezza, eleganza e bevibilità”.
Dalla sua ricerca e sperimentazione è nato anche EretiQ, l’unico Franciacorta a non utilizzare nell’uvaggio lo Chardonnay, scegliendo invece il blend di PinotNero e PinotBianco. “EretiQ nasce dalla volontà di esaltare due vitigni delicati ed eleganti, ma difficili da far esprimere: il Pinot Bianco e il Pinot Nero – precisa il direttore della cantina –. Ciò è possibile perché Quadra è una tavolozza su cui posso lavorare senza condizionamenti, con creatività, e dove esprimere la mia esperienza trentennale”.
L’esperienza lavorativa di Mario Falcetti inizia con il ruolo di massimo esperto di zonazione presso l’Istituto di San Michele all’Adige e l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV). Successivamente, Falcetti si dedica alla vita aziendale, prima alla direzione di Contadi Castaldi fino al 2008, e poi direttore di Quadra dove l’enologo è riuscito a conciliare i due importanti elementi: la ricerca e la direzione d’impresa.
“Sono arrivato a Quadra per conciliare il mondo della sperimentazione e della ricerca a quello imprenditoriale – spiega Mario Falcetti –. Con Quadra ho trovato nella famiglia Ghezzi un partner ideale, che ha permesso di esprimere questo concetto”.
Grazie a un approccio romantico non finalizzato esclusivamente al business, l’azienda ha sviluppato molti progetti con l’obiettivo di riportare al centro il vino, e la sua essenza come espressione di un terroir, donando alla bevanda un’identità più autentica. In un vino, infatti, non deve mai mancare un progetto. “Un vino senza un’idea non è altro che una bevanda – riferisce Falcetti –. Credo che un vino debba regalare un’emozione a chi lo beve. Ogni primavera mi propongo di modellare una nuova materia, ma lo spirito segue l’istinto come ha scritto sapientemente Patrick Sünskind nel romanzo IlProfumo, dove il protagonista afferma… formula, formula… non ho nessuna formula. Ho la ricetta nel naso”.
Il vino deve essere progettato pensando al futuro, infatti, il pensiero di Mario Falcetti è già proiettato al domani, per dar vita ogni anno un figlio, così ama definire i suoi vini, unico per blend, un’idea a termine, sviluppabile solo in quell’annata, perché come dichiara lo stesso enologo: “Ogni vino ha la sua genesi, la sua storia, un posto nella mia testa e nel mio cuore. Ognuno rappresenta un tratto del mio tragitto”.
Pizze volanti, birre che attraversano il cielo, fotocamere tra le nuvole, previsioni in alta quota che annunciano il traffico nell’immediato futuro, romantiche proposte di matrimonio immortalate da vertiginose altezze sono azioni possibili grazie ai droni, dall’inglese drone, il maschio dell’ape. Gli aerei senza pilota si stanno rivelando strumenti utili per svariati scopi, una moda straripante che coinvolge sempre più persone e non solo.
La filiera vitivinicola toscana del Morellino di Scansano ha deciso di dar vita al progetto Phenodrone con l’obiettivo di mettere al lavoro un drone sentinella per monitorare i vigneti e proteggere le uve da parassiti e pesticidi, riducendo, così, l’impiego di fitofarmaci. La diagnosi precoce delle malattie dei vitigni e, di conseguenza, i tempestivi provvedimenti per eliminarle, permettono una qualità sempre più alta di vini rossi, bianchi e passiti.
La ricerca è portata avanti da Fabio Mencarelli e il suo team. Da una decina d’anni, il professore ordinario presso l’Università della Tuscia sta lavorando alla riduzione dell’ozono in cantina allo scopo di limitare o eliminare l’uso dei solfiti nel vino.
Come si arriva a mettere in bottiglia un vino sano e a usare metodi di coltivazioni sostenibili per l’ambiente? “Per ridurre l’uso di pesticidi abbiamo puntato alla diagnostica precoce delle malattie, grazie all’impiego della nuova generazione dell’Information Technology – riferisce il professor Mencarelli –. Attraverso pc di dimensioni di una carta di credito, collegati a micro sensori e distribuiti capillarmente nei vigneti, si possono rilevare per tempo malattie dei vitigni, stress della vite, tempi di maturazione dell’uva, etc…”.
All’iniziativa hanno aderito il Consorzio del Morellino di Scansano e la Fattoria Mantellassi, insieme ad altre realtà locali da sempre attente alla produzione di vini buoni e soprattutto salutari.
Fondata a Magliano in Toscana da Ezio Mantellassi e attualmente guidata dai figli Aleardo e Giuseppe, l’omonima azienda vanta 90 ettari di vigneti dove predomina la coltivazione del Sangiovese per la produzione del Morellino di Scansano DOCG, a cui si aggiungono vitigni esclusivi come l’Alicante.
L’azienda propone tre varietà di Morellino di Scansano:
Mentore è un vino rosso corposo, fresco e fruttato adatto a tutto il pasto.
San Giuseppe viene lasciato invecchiare per 6 mesi in barriques di rovere francese. La pluripremiata etichetta vanta numerosi riconoscimenti tra cui: morellino più tipico e il migliore Vinellando 2012. San Giuseppe, inoltre, ha più volte ottenuto il punteggio di 90/100 nella classifica di Wine Spectator, la prestigiosa rivista statunitense considerata una sorta di bibbia da intenditori, assaggiatori e collezionisti di tutto il mondo.
Le Sentinelle è una riserva prodotta in quantità limitata e che prende il nome dalla collina dove vengono raccolte le uve. È un vino che ha ottenuto significativi riconoscimenti in Italia e all’estero.
La Fattoria Mantellassi non è solo Morellino di Scansano. Tra i rossi troviamo Punton Del Sorbo, un Cabernet Sauvignon IGT vinificato in vasche d’acciaio a temperatura controllata, affinato per quattro mesi in vasca inox, dodici mesi in barrique di rovere francese e sei mesi in bottiglia.
Tra i bianchi:
Lucumone è prodotto a Magliano. La vinificazione avviene attraverso una pressatura soffice che consente una resa uva/vino di circa il 60%. Il suo nome è un tributo alla terra ricca di testimonianze etrusche e alla suggestiva città di Heba.
Scalandrino è perfetto con antipasti e primi piatti di pesce, insalate, fritture e grigliate di mare. Il vino è vinificato attraverso una pressatura soffice e fermentato in botti di rovere francese. La maturazione e l’affinamento avvengono con poche settimane in botti di rovere francese e due mesi in bottiglia.
L’azienda Mantellassi ha presentato a Vinitaly 2014: Maestrale e Oblò. Maestrale è un rosé fresco e profumato che sprigiona gli aromi di un bouquet fiorito e frutti di sottobosco come la ciliegia e il lampone, ricavato da un vitigno 100% ciliegiolo particolarmente diffuso in maremma. Oblò, invece, è un vino spumante di qualità 50% Vermentino e 50% Chardonnay che nasce da una fermentazione con una lunga permanenza sulle fecce, e affinato per sei mesi in bottiglia. Fresco, frizzante, vinificato con metodo Charmat è perfetto per aperitivi e per accompagnare piatti a base di pesce.
La Fattoria toscana non vanta esclusivamente la creazioni di vini. I fratelli Mantellassi possiedono oltre 500 ulivi curati con professionalità e passione. Le olive sono raccolte a mano tramite agevolatori a Magliano nei mesi di ottobre-novembre e successivamente portate nel Frantoio di Monticello di Amiata, dove vengono accuratamente defoliate e lavate prima della frangitura con spremitura a freddo. Dalla lavorazione delle olive nasce Fiordaliso, un olio extravergine biologico.
Tecnologie esclusive, studi scientifici, cura dell’ambiente e rigorosi controlli in campo e in cantina garantiscono la massima qualità del Made in Italy e del Made in Toscana.
Brinda e canta così compare Turiddu nella Cavalleria Rusticana.
Si apre il sipario ed ecco in scena le “opere” delle cantine Valenti:
Malavoglia (Grecanico 90%, Cataratto 10%), Norma (Nerello Mascalese 98%), Nerello Cappuccio 2%), Puritani (Nerello Mascalese 100%) ed Enrico IV (Carricante100%). “I nostri vini e le nostre etichette rappresentano la sicilianità: Vincenzo Bellini, Pirandello, Giovanni Verga. “Nulla è lasciato al caso – precisa Giovanni Valenti, proprietario della cantina -. I Malavoglia, il romanzo più conosciuto dello scrittore siciliano Giovanni Verga, si collega con Acitrezza e con i faraglioni. E quindi anche con Ulisse che ubriacò Polifemo per cavargli l’unico occhio e riuscire a fuggire: pure nell’Odissea si parlava dei vini dell’Etna! Le opere Norma e Puritani, poi, sono indissolubilmente legate a Catania, patria del compositore Vincenzo Bellini. E pochi sanno che nella prima metà dell’Ottocento i rivoluzionari siciliani avevano scelto proprio I Puritani come loro inno di battaglia. E poi c’è Enrico IV, commedia dell’agrigentino Luigi Pirandello che affronta il tema, caro all’autore, del rapporto, complesso e alla fine inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità”.
Nelle brochure, insieme alla scheda tecnica dei vini, c’è anche il sunto delle opere cui si fa riferimento. “Questa è una mia idea, per veicolare un po’ la cultura. Chi legge la storia di Enrico IV, ad esempio non può poi procurarsi il testo per andarsi a leggere tutta la commedia. Norma, molti ne parlano, ma pochi ne conoscono la trama, Non ho messo però il sunto dei Malavoglia perché è triste, troppo triste”.
L’idea di Giovanni Valenti nasce anche dalla sua passione per il teatro: ha lavorato nel Piccolo Teatro di Roma, e il fratello, noto scenografo, ha diretto parecchi teatri e ha partecipato a Siracusa all’allestimento delle rappresentazioni classiche.
Sulle etichette delle creazioni Valenti si fa riferimento al Liotro, l’elefante simbolo di Catania: ci sono due pachidermi che si fronteggiano e reggono la lettera A, che sta per Sant’Agata, vergine e martire, patrona della città.
La cantina è a Passopisciaro. I vigneti di proprietà si trovano sulle pendici dell’Etna, tra i 700 e i 1000 metri. I preziosi minerali e le sostanze nutritive presenti in questi terreni conferiscono ai vini un sapore e un aroma davvero caratteristici. “Il terreno vulcanico con presenza di detriti lavici danno ai nostri vini la mineralità. Il nostro vino si riconosce fra mille: degustando e odorando attentamente si avverte un sentore di fumo, come se questo Etna, questo vulcano, questa lava lasciassero un segno indelebile. Ginestra, alberi di noce, tutto è bello e fiorito intorno alla vigna: odori, sapori che si ritrovano nel vino”.
La raccolta dell’uva viene fatta a mano. “Non irrighiamo. Ci pensa il Signore, quando vuole. A volte stiamo 4/5 mesi senza acqua, ma va bene così. Abbiamo 26 ettari in totale e 4 impianti a uliveto. Le vigne sono 6 e quest’anno siamo arrivati a 140 mila bottiglie. Stiamo producendo parecchio Nerello Mascalese, ma puntiamo molto sul Carricante. Sull’Etna, il bianco è stato per tanti anni trascurato, e invece è il vitigno che oggi ha il maggior successo dopo il Nerello. La produzione è ancora poca. L’obiettivo entro tre anni e quello di superare le 50 mila bottiglie di bianco, e naturalmente crescerà anche il rosso, in proporzione. Abbiamo messo a dimora altre 6000 piantine che sono già abbastanza alte, le cresciamo con gli occhi, e abbiamo un impianto nuovo tutto di Carricante, a Contrata Arcuria, dove ci sono viti già di 7 anni che producono bene, poi ci sono quelle di 4 anni, quelle che ne compiranno 3 e andranno in produzione, quelle di 2 e quelle di 1. Ogni anno aggiungiamo altre 6/7 mila piantine e quindi la produzione è in continuo aumento. Per quanto riguarda l’olio, siamo già quasi arrivati a 4 mila litri, ma potremmo giungere intorno ai 12 mila. Pensiamo di incrementarlo ancora”.
“Nel 2010, abbiamo fatto il primo rosato: Poesia. Il nome vuole ricordare Quasimodo, e in particolare la più bella poesia che, secondo me, sia mai stata scritta: Ed è subito sera”.
La storia di Poesia ha origine da quello che sembrava un problema. “Dico sempre al mio enologo che la nostra uva è così buona che non c’è motivo di interventi strani. Bisogna lasciare che la natura segua il suo corso, senza modificarla. Fate la fermentazione, fate le cose tranquille e avremo i risultati. Avevamo impiantato una nuova vigna, eravamo al terzo anno, e c’era un po’ d’uva che per fare il rosso non andava. Così ho pensato al rosato. Il rosato nasce in realtà dalla ‘pistammutta’. Il nostro è particolare perché noi non pigiamo, non pestiamo, anche le bucce stesse non vengono schiacciate, e quindi il vino mantiene tutti i suoi profumi, e ha questo sentore di pesca che esce fuori dal bicchiere. Il nostro disciplinare dice che il rosato deve essere un vino rosa tendente al rosso rubino. Io sono riuscito a far modificare il disciplinare perché il mio è un velo di cipolla e non un rosso rubino.
Quando ho tentato di convincerli a prendere un po’ di uva e fare il rosato tutti cercavano di boicottarmi. Poi abbiamo prodotto le prime bottiglie ed è stato un successo incredibile.
Ultimo nato è Ciuri di Lava, un vino senza solfiti aggiunti. “Ciuri di lava è in catanese il nome della Ginestra. Questa pianta, con i suoi vivaci fiori gialli, cresce sulla pietra dell’Etna, va a risanare i terreni resi sterili dalla lava. I suoi fiori bellissimi, in passato, venivano raccolti dentro grandi sacchi dalle donne siciliane ed erano venduti alle industrie per fare i profumi. Mi è sembrato bello dedicare loro un’etichetta”.
Come nasce l’idea di un vino senza aggiunta di solfiti? “Molte donne non bevono il vino bianco perché, a causa dei solfiti, al mattino si svegliano con un cerchio alla testa. Negli anni avevo già prodotto vini senza solfiti per conto di terzi, erano vini buoni ma quasi acquosi, con poco corpo. Per Ciuri di Lava invece abbiamo utilizzato il Grecanico, un vitigno che nasce sopra Bronte, a 1000 m sul livello del mare. Lo abbiamo tenuto tre mesi sulle bucce, così da conferirgli una consistenza notevole, robustezza, corposità, e un colore oro”. Per sopperire all’aggiunta dei solfiti che eliminano i batteri cattivi è importante la scelta dei lieviti. “Perché ci sono dei lieviti che privilegiano alcuni saccaromiceti e sono quelli buoni. Se sbagli i lieviti vedi subito che il vino non va bene. Noi abbiamo imbottigliato questo vino dopo oltre un anno”.
I vini della cantina Valenti sono sottoposti a filtrazione con membrana a ceramica a cartoni e con filtro housing che rimuove i lieviti e i batteri. “Per i bianchi e i rosati lavoriamo con il terzo housing (0,40 micron). Vuol dire che non passa nemmeno un batterio, perché i batteri sono più grandi di 0,40 micron”.
I vini Valenti, oltre che in Europa, sono venduti nei 50 stati degli Stati Uniti (comprese le Hawaii), in Canada, Cina, Giappone e a Singapore.
E per il futuro? “Forse un nuovo vino, che potrebbe prendere il nome di uno dei protagonisti della Cavalleria Rusticana: compare Alfio o compare Turiddu – risponde Valenti -. E ci vedrei bene un’etichetta con i colori dei carretti siciliani”.
Rosso di Montalcino 2014, Rosso di Montalcino Rossofonte 2014, Brunello di Montalcino 2011, Brunello Vigna di Pianrosso Riserva S. Caterina d’oro 2010, Brunello di Montalcino Vigna di Pianrosso 1999: questi i vini in degustazione al ristorante Vun del Park Hyatt Milano.
Lui è Luca Gardini, si definisce “romagnolo verace” ed è il mattatore della serata e l’eclettico comunicatore dell’anima dei vini. Miglior Sommelier d’Italia nel 2004, Miglior sommelier d’Europa nel 2009 e Ambasciatore del metodo classico italiano in qualità di vincitore del premio Ferrari nel marzo del 2009.
Aveva ventinove anni ed era sommelier presso il Ristorante Cracco di Milano quando si è aggiudicato, al teatro Bella Artes di Santo Domingo, il titolo di “Miglior sommelier del Mondo 2010”, premio assegnato nel corso della serata finale del concorso promosso dalla WSA (Worldwide Sommelier Association).
Luca Gardini è stato iniziato ai segreti del vino dal padre Roberto (anche lui insignito del titolo Miglior Sommelier d’Italia, nell’edizione del 1993).
Luca Gardini non parla mai male dei vini, se non gli piacciono, piuttosto sta zitto. “Dietro a una bottiglia c’è lavoro, fatica, tanto investimento. Preferisco andare dal produttore e dirglielo di persona, aiutarlo a migliorare.
Ho grande memoria olfattiva. E istinto: un vino lo capisci nei primi 30 secondi, quelli che ci stanno a pensare tre ore brancolano. Poi ci vuole fortuna. Riconoscere alla cieca è la mia specialità, e la sfida mi piace. Quindi sono molto forte, anche se qualche volta sbaglio”.
Cosa mi dici in 30 secondi del Brunello?
Esemplare unico, coinvolge. Un po’ come una donna, vedi subito se è fatta per te. La chimica, la reazione. Quando assaggio il Brunello di Ciacci è amore a prima vista, pulizia, estremo rigore, estrema finezza, estrema territorialità. È come quando vedi una bella donna per la prima volta e dici: questa donna mi stimola, mi emoziona! Così come il Brunello che ti invoglia, che crea il desiderio, ti spinge ad andare su quel bicchiere. Questo è importante nel mondo del vino: la voglia di versarlo, berlo e interpretarlo.
Se il vino fosse donna, il Brunello che donna sarebbe?
Sarebbe quella donna che devono ancora inventare.
Chi produce il Brunello lo considera un’opera d’arte, come lo considera Luca Gardini? E se fosse un’opera d’arte, per te quale opera d’arte sarebbe?
L’arte è soggettiva. C’è a chi predilige uno stile, chi un altro. Il Brunello ha un grande stile, è un’opera d’arte unica e immensa, come La Gioconda.
Hai detto: “Io ho inventato abbinamenti tra cibi e sakè, tè, cocktail di frutta. Ma i pregiudizi e le fissazioni son cazzate: non ci sono vini che non stanno bene col carciofo o col cioccolato? Un’eresia. E il vino rosso col pesce è una gran cosa: provi delle ostriche crude col Pinot nero a 10-12 gradi”. Quale abbinamento, invece, stravagante consigli con il Brunello?
L’abbinamento perfetto non c’è. Il migliore bisogna crearlo, per esempio con una bella donna, il mare, il tramonto, due ostriche crude un Pinot nero o un Brunello di questa tipologia e con un corpo di grande eleganza. Per un abbinamento stravagante vedo il Brunello con un brodetto di pesce, una zuppa di pesce gustata con i piedi nel mare. Io mi emoziono con un grande Brunello e una grande zuppa di pesce. Sono originale come il Brunello! Ognuno poi ha il suo gusto personale, ognuno ha il suo palato e va rispettato, ognuno ha il suo prototipo di abbinamento.
E la temperatura del vino? Il Pinot nero lo consigliavi a 10/12 gradi, il Brunello?
Il Brunello a 15°.
Cos’è cambiato per te dopo aver vinto il Campionato del Mondo dei Sommelier?
Niente. Ho capito che le associazioni non contano niente.
Oggi di cosa ti occupi?
Dei miei 3 figli prima di tutto, delle mie amicizie, degli amici che hanno creduto in me sempre.
Quali sono i principi che guidano il tuo lavoro?
Apprezzo la gente che ama il vino per quello che è: la cosa più bella del mondo. Ognuno ha il proprio palato e va rispettato, quindi io cerco di non regolarmi solo su me stesso ma di considerare i gusti degli altri. Nel giudicare ci vuole rispetto anche perché dietro a un bicchiere di vino ci sono persone che vi si sono dedicate con sacrificio, amore e passione. Sono contro chi fa il “fenomeno”, il “professore”, perché uno deve bere quello che gli va di bere e quello che può bere.
Cresce il numero di vegani in Italia. Negozi, supermercati e ristoranti si stanno adattando per fornire prodotti a chi segue questa filosofia di vita. L’ultima frontiera? Il vino vegano prodotto con processi che escludono l’utilizzo di qualsiasi sostanza di origine animale e privo di sostanze di origine animale, materie sostituite con la bentonite, un minerale argilloso che chiarifica il vino.
Il vino vegano e in generale il vino biologico mantengono il gusto, l’aspetto, il sapore e il grado alcolico del vino tradizionale, quindi non si tratta di un vino analcolico artificiale. Tale tipologia di bevanda è ottima e apprezzata anche da chi non è vegano, in quanto è prodotta con uve coltivate in modo naturale senza ricorrere alla chimica.
IL VINO VEGANO E BIOLOGICO DELLE CAMPAGNE TREVIGIANE
Cinque generazioni di storia e di tradizione, un lungo impegno nella produzione enologica nel rispetto della naturalità e della massima qualità, sono le salde radici della cantina Pizzolato che, dal 1981 a Villorba (TV), produce esclusivamente vino biologico e vegano.
La cantina nasce trentacinque anni fa quando Settimo Pizzolato entra in azienda a fianco del padre Gino Pizzolato, intraprendendo la via del biologico. Nella pulita e incontaminata campagna trevigiana, la vite cresce e produce frutti equilibrati, naturali e biologici per l’appunto, poiché all’interno della cantina vige: il rispetto per i cicli della natura e il rifiuto di utilizzare chimica e fitofarmaci. Nel 1991, il produttore ottiene la certificazione ufficiale per realizzare i vini biologici, ele tecniche di vinificazione e di imbottigliamento sono regolamentate dal nuovo statuto europeo sul vino biologico. “Sono trascorsi trentacinque anni da quando ho affiancato mio padre al timone della nostra azienda agricola – racconta Settimo Pizzolato, titolare della cantina –. Il mio desiderio è sempre stato di convertire la produzione al biologico, per ritrovare il legame tra uomo e terra. Grazie alla mia determinazione, sono riuscito a realizzare questo sogno e a diffondere in tutto il mondo un vino rispettoso dell’ambiente. Oggi, il lungo percorso si corona con l’ideazione della nuova cantina, che rappresenta perfettamente lo stile di vita che perseguo e di cui i miei vini sono ambasciatori, in modo particolare il Malanotte “Il Barbarossa”, il Raboso Piave DOC e il Manzoni Bianco”.
Tutti i vini presenti nella cantina sono biologici e alcuni privi di solfiti aggiunti.
“Ci siamo dedicati alla produzione di una linea di vini senza solfiti aggiunti – riferisce l’imprenditore –. L’iter di produzione del nettare di Bacco prevede una particolare attenzione nelle fasi di vinificazione, in modo da ridurre i processi ossidativi, ovvero il contatto con l’aria per evitare fermentazioni indesiderate, casi questi che si accentuano con la mancanza di conservanti, quali sono i solfiti. Prosecco Spumante, Cabernet Sauvignon, Rosso Convento, Merlot e Convento sono i nostri vini senza solfiti, o di altri surrogati e tantomeno di chiarificanti di origine animale o chimica. Tali vini mantengono le caratteristiche originarie dei vitigni di provenienza, facendo riscoprire la fragranza, i profumi e i sapori dei vini d’altri tempi”.
Particolare è il processo produttivo del prosecco Spumante doc senza solfiti, che richiede maggiore attenzione rispetto ai rossi merlot, cabernet e rosso del convento, per l’aggiunta della fase di spumantizzazione, che consente di ottenere un prodotto dal perlage fine e delicato adatto agli aperitivi o in abbinamento a semplici stuzzichini o antipasti.
L’impegno ambientale è la filosofia della famiglia Pizzolato e coinvolge, anche, ogni aspetto del processo produttivo: dall’utilizzo di energia pulita, autoprodotta per il 50% grazie ad un impianto fotovoltaico posto sul tetto della cantina, alla riduzione degli sprechi tramite impianti di ultima generazione e a basso consumo energetico, dai sistemi di accensione e spegnimento automatico delle luci ai termostati localizzati, fino alla fitodepurazione e diminuzione del consumo di acqua in campagna attraverso la microirrigazione.
Sono molte le attenzioni che la cantina Pizzolato attua per la tutela dell’ecosistema, tramite piccoli accorgimenti e sistemi all’avanguardia per limitare l’impatto energetico e riutilizzare le risorse idriche depurate in altri processi. Un impegno che esprime una promessa mantenuta nel pieno rispetto dell’ambiente e della società.
Il futuro della cantina ha radici bio. Nel prossimo Vinitaly, la cantina Pizzolato si presenterà con un’immagine completamente rinnovata e uno spazio espositivo che racconterà l’anima biologica della nuova cantina trevigiana, che è stata realizzata con materiali a Km zero e verrà inaugurata ufficialmente il 29 maggio 2016.
Vinitaly sarà l’occasione per mettere in mostra il mondo in cui opera Pizzolato e la qualità dei vini, biologici, vegani e senza solfiti aggiunti. L’intera linea dei vini senza solfiti, con il Prosecco Spumante senza solfiti, ultimo nato, si potranno degustare anche presso il padiglione 8, stand 17, di Vinitaly Bio.
In uno straordinario paesaggio floreale circondato da verdeggianti colline, sorge l’antico feudo appartenuto ai principi Branciforti, acquistato nel 1906 dalla famiglia Cucurullo con lo scopo di donare un nuovo volto all’agricoltura siciliana. Francesco e Carolina, quarta generazione della famiglia, con l’aiuto del padre Salvatore promuovono e sostengono la coltivazione biologica di vigneti, uliveti e aranceti. “Dal 2000, pratichiamo l’agricoltura biologica e ci avvaliamo di certificazioni che attestano l’origine bio di uve e vini, una caratteristica apprezzata in Italia e all’estero – spiega Francesco Cucurullo, proprietario della cantina Masseria del Feudo –. La fertilizzazione avviene con concimi biologici, in particolare sfruttiamo i residui ottenuti dalla fermentazione, e per contrastare i parassiti utilizziamo zolfo, rame e prodotti di natura organica. Facciamo inerbimento con fauna biologica, il lavoro nei filari è quasi totalmente manuale e il diserbo non prevede l’uso di prodotti chimici, ma avviene con mezzi meccanici”.
La recente acquisizione di nuovi macchinari e strumenti tecnologici indica l’attenzione dell’azienda verso il progresso e l’ecosotenibilità. “Lo scorso anno, abbiamo fatto enormi investimenti per ammodernare il parco macchine – afferma Francesco Cucurullo –. Essere all’avanguardia e svolgere il lavoro con più efficienza permette di incrementare la coltivazione biologica, sostituendo i datati sistemi di lavorazione. L’installazione di pannelli solari e termici, poi, ci consente di produrre energia elettrica e acqua calda sia nell’agriturismo, sia nella cantina”.
L’anima della masseria è proprio la cantina, dove vengono trasportate le uve dopo la vendemmia per la produzione del frutto di Bacco, così era definita la bevanda alcolica nell’antica Roma. “Prima della vendemmia raccogliamo a mano 4/5 quintali di uva e la facciamo fermentare in modo spontaneo a temperatura ambiente, tale sistema è noto come: pied de cuve – specifica l’imprenditore –. È una pratica che permette lo sviluppo di lieviti indigeni, vale a dire nati dalla stessa varietà d’uva e sfruttati per innescare il processo di fermentazione”. Il pied de cuve evita all’azienda l’acquisto di lieviti, garantendo la genuinità e l’originalità del prodotto.
Dopo la vendemmia, i frutti subiscono una macerazione a freddo (8°/10°) senza fermentazione: la criomacerazione. Il processo è applicato alle uve bianche e nere, con il fine di estrarre gli aromi primari che provengo dalla vigna, regalando struttura al vino. Gli aromi sono di 3 tipi: primari, secondari e terziari. Le fragranze primarie si ricavano dalle uve, i profumi secondari provengono dalla fermentazione alcolica e i terziari si ottengono dall’invecchiamento in bottiglia.
“Dopo 2 o 3 giorni di criomacerazione, inizia spontaneamente la fermentazione a 18°/24°, temperatura limite del processo per evitare la perdita dei profumi e degli aromi – spiega Cucurullo –. All’interno della vasca, la fermentazione sulle bucce ha una durata di circa 15/18 giorni. Durante questo periodo pratichiamo i rimontaggi per irrorare e mantenere all’interno del liquido la buccia, che rappresenta il nostro tesoro. Dalla buccia, infatti, si estraggono tannini, polifenoli e flavoni: sostanze che donano ricchezza, eleganza e struttura al vino”.
La fase di svinatura e di pressatura prima e la micro-ossigenazione poi, infondono carattere e corpo al vino. “A differenza dei vini bianchi, i rossi prediligono la micro-ossigenazione all’interno di vasche di cemento ricoperte da resine epossidiche, dove piccole particelle effettuano uno scambio di ossigeno, permettendo al vino di evolvere – spiega l’imprenditore –. Nelle cantine industriali, il processo avviene con l’uso di bombole, mentre noi lo pratichiamo naturalmente”.
Gambero Rosso, BIBENDA Cinque Grappoli, DuemilaVini, Enopolis e Bruxelles sono alcune onorificenze conferite al Rosso delle Rose e a Haermosa, uno Chardonnay realizzato per la prima volta nel 2001 della Masseria del Feudo. “Con orgoglio posso affermare che la Masseria del Feudo è stata tra le prime aziende in Sicilia a sperimentare lo Chardonnay – dichiara il proprietario –. Il successo del vino è dovuto alla mineralità del terreno e al clima mite che subisce forti escursioni termiche soprattutto nei mesi estivi. Nel corso degli anni, abbiamo anche ridotto l’uso del legno e delle barrique, per il 30% il vino è conservato in botti di legno da 25 hl e il restante 70% in contenitori di acciaio inox”.
La viticultura è una delle 4 filiere open air esistenti in azienda. La famiglia Cucurullo si occupa anche di: frutticultura, seminativi e turismo. “Attraverso la ristrutturazione dei vecchi prefabbricati, abbiamo dato vita a un piccolo bed and breakfast per ospitare operatori del settore, giornalisti e turisti che vogliono approfondire le loro conoscenze in merito ai sistemi di: coltivazione, potatura, difesa antiparassitaria e riduzione di fitofarmaci – riferisce Francesco Cucurullo –. La clientela ha la possibilità di assistere ai processi di produzione vitivinicola, frutticola e dei seminativi”.
Il territorio siciliano consente alla Masseria la produzione di: pesche (600 tonnellate annue), prugne (20 tonnellate annue), albicocche e nettarine coltivate con una riduzione di antiparassitari e acqua. L’olivicoltura è una coltivazione di nicchia per la produzione di olio venduto ai mercati esteri.
Nell’antico feudo si è passati da un’agricoltura estensiva, con grandi latifondi destinati a seminativa, a un’agricoltura intensiva, tecnologica e moderna per fornire alle tavole italiane ed estere vini biologici e prodotti che profumano di Sicilia.
Simone Lucci e Clementina Speranza
ILTERRITORIO: I CASTELLI NISSENI
Il territorio vitivinicolo dei “Castelli Nisseni”, in provincia di Caltanissetta, si trova su colline dove antiche masserie e vaste coltivazioni dominano il paesaggio. In questa parte della Sicilia è antica la presenza della vigna, insieme alla coltivazione dell’olivo e dei cereali, e si deve agli arabi la prima razionalizzazione del sistema di coltivazione della vite.
L’altitudine si aggira intorno ai 600 metri e il clima è continentale, con temperature medie piuttosto basse durante l’anno, e condizioni atmosferiche che determinano inverni ventilati e rigidi. Le scarse piogge si concentrano nei mesi invernali, l’estate è lunga e calda, e l’aria si mantiene secca e asciutta; questo comporta un’escursione termica, sia tra le varie stagioni che tra il giorno e la notte, una caratteristica importante poiché permette una perfetta maturazione dei grappoli.
In queste zone sono state effettuate le prime sperimentazioni di impianto in Sicilia per le varietà autoctone di tradizione e per quelle internazionali, come lo Chardonnay.
L’abile gestione della coltivazione dei vigneti ha messo in risalto le qualità del terroir.
Grazie alla particolare composizione del suolo, terreni calcareo – argillosi, e alle caratteristiche pedoclimatiche il Nero d’Avola trova qui le condizioni ottimali di coltura, rivelando in produzione un altissimo valore organolettico e un’espressione tra le più apprezzate.
Nella storia e nella cultura aziendale de La Valentina il tema della sostenibilità è stato sempre fondamentale. “La nostra sfida è nell’idea di rendere sostenibile il prodotto migliorandone le prestazioni ambientali. Tutti i nostri vini sono certificati ‘Pesticide Free’ – precisa con orgoglio Sabatino Di Properzio, titolare della cantina -. Partiamo dalla valorizzazione della tipicità dei nostri vini, ottenuta grazie all’affrancamento delle viti dai condizionamenti chimici, e proseguiamo attraverso l’innovazione nei prodotti, nei servizi, nei metodi di lavoro, nei comportamenti, nei sistemi di gestione. Una sfida che pone come priorità la tutela del consumatore, il quale deve poter scegliere anche sulla base delle qualità di sostenibilità del prodotto. Utilizziamo solo energia elettrica prodotta esclusivamente da fonti rinnovabili, senza l’impiego di nessun combustibile fossile e nessuna emissione di gas serra in atmosfera”.
La Valentina nasce nel 1990 a Spoltore, sulle colline di Pescara. Nel 1994, dopo alcuni avvicendamenti, rilevano la società i fratelli Sabatino, Roberto e Andrea Di Properzio. Tra viti e cantina comincia la loro attività a stretto contatto con la natura e i suoi frutti. “Il nostro è un lavoro che permette alla vite di esprimersi e che garantisce il mantenimento della fertilità della terra – spiega Sabatino Di Properzio –. I vini di Fattori La Valentina sono prodotti dalla natura attraverso l’unicità dei terroir, che cerchiamo di rispettare anche in bottiglia”.
AUHA’ è il primo vino della cantina di Spoltore certificato ufficialmente come biologico. AUHA’ è una tipica espressione del dialetto abruzzese che significa ‘guarda qui’.
“L’espressione chiave de La Valentina è ‘non interventismo’. Sottolineo che Sabatino Di Properzio ha improntato il lavoro della sua cantina fin dall’inizio all’insegna del ‘non interventismo’, ovvero partendo dal massimo rispetto di tutto l’ecosistema nella convinzione che il vino è già ‘dentro’ al terroir – precisa Claudia Bondi, affascinante ed elegante sommelier –. L’uomo deve solo aiutarlo a venire fuori, deve proteggerlo, accudirlo, ma senza forzature, di nessun tipo: in generale, si interviene in maniera più incisiva solo quando è indispensabile per salvare le piante e i vigneti.
Il ‘non interventismo’ è in sostanza il modus che caratterizza il lavoro e la filosofia di molte cantine francesi, ci sono tanti esempi nella Champagne e in Borgogna…
Quello che comunque per La Valentina è sempre stato e sarà fondamentale è il rispetto dell’ecosistema sia in virtù di un’innata coscienza ‘green’ sia perché solamente rispettando completamente il territorio sarà possibile trarre da esso la sua vera essenza: la vocazione della cantina è quella di essere testimone del territorio di questa parte dell’Abruzzo”.
La Valentina esporta in 65 Paesi e i suoi vini sono pluripremiati in Italia e all’estero ormai da molti anni. Ha consolidato il suo status di eccellenza nell’ambito del made in Italy e dell’Abruzzo ottenendo da Slow Wine anche il riconoscimento ‘Bottiglia’, destinato alle aziende le cui etichette hanno mostrato un’ottima qualità.
“Il nostro ‘Spelt 2010’ Montepulciano d’Abruzzo ha conquistato il massimo punteggio nelle seguenti autorevoli pubblicazioni, che lo consacrano quindi di diritto nella élite dei vini del Belpaese”, precisa il produttore.
Spelt è prodotto interamente con il vitigno Montepulciano d’Abruzzo e nasce da una rigorosissima selezione attuata su circa 20 ettari vitati nell’area di Spoltore, San Valentino e Scafa. Dopo la fermentazione in acciaio, il vino è immesso in botti di rovere da 25 hl e in barriques, sia nuove sia di secondo passaggio, dove avvengono la conversione malolattica spontanea e il successivo affinamento per circa 16 mesi. Una volta effettuato l’assemblaggio finale, si passa alla sosta in botti di rovere da 25 hl, e poi un anno in bottiglia prima dell’immissione nel mercato.
Clementina Speranza
Ecco i principali riconoscimenti ottenuti da La Valentina negli ultimi anni:
Bellovedere 2008: 92/100 Wine Advocate – 90/100 Wine Spectator – Super Tre Stelle 94/100 Veronelli
Bellovedere 2007: 92/100 Wine Advocate – Super Tre Stelle 92/100 Veronelli – 93 pt. JS HK Tatler – 91 pt. Iwc
Bellovedere 2006: Due Bicchieri Gambero Rosso – Corona Vini Buoni D’Italia – Super Tre Stelle 94/100 Veronelli
Bellovedere 2005: Tre Bicchieri Gambero Rosso – Super Tre Stelle Veronelli – 94/100 Wine Advocate
Bellovedere 2004: Super Tre Stelle 93/100 Veronelli – 4 Bottiglie Espresso
Bellovedere 2003: 90/100 Wine Advocate – Super Tre Stelle 93/100 Veronelli
Binomio 2008: 92/100 Wine Spectator – 91/100 Wine Advocate – 5 Grappoli AIS – Super Tre Stelle 94/100 Veronelli – 93 pt. JS HK Tatler – 90 pt. Iwc – Due Bicchieri Gambero Rosso
Binomio 2007: 93/100 Wine Advocate – 5 Grappoli AIS – Super Tre Stelle Veronelli – 91/100 Wine Spectator
Binomio 2006: 90/100 Wine Advocate
Binomio 2005: 91/100 Wine Spectator – Super Tre Stelle Veronelli – 92/100 Wine Advocate – “Montepulciano dell’Anno” Il Mio Vino
Vini e Natale è un binomio che funziona, non solo al momento del pranzo di Natale o durante il cenone della Vigilia. Vini, distillati, liquori sono un perfetto regalo natalizio da trovare sotto l’albero e far scartare agli eno – appassionati.
L’Amarone Bosan della Gerardo Cesari è un vino che per Natale si propone in una veste festiva e gioiosa, una raffinata confezione in legno laccato che custodisce le tre annate più importanti di Amarone Bosan: 1997, 1998 e 2000. Tre vendemmie che racchiudono la qualità, la storia e l’esperienza di 80 anni di vita della Gerardo Cesari. Il Bosan è un Amarone che fa tesoro della tradizione produttiva e interpretarla in chiave moderna, che rispecchia la personalità della Gerardo Cesari, azienda storica nata nel 1936 in continua evoluzione, legata a filo doppio con la storia e il successo dell’Amarone. Equilibrio, eleganza, struttura, morbidezza e freschezza descrivono al meglio il vino rappresentativo della cantina Gerardo Cesari di Cavaion Veronese.
In occasione della festività la Distillerie Berta ha prodotto la grappa SoloPerGian. SoloPerGian è anche il nome della Fondazione no-profit nata nel 2015 a pochi mesi dalla prematura scomparsa di Gianfranco Berta, co-titolare dell’azienda. Il ricavato dalla vendita di ciascuna bottiglia serve a finanziare corsi di formazione e borse di studio per la salvaguardia dei mestieri ancora legati al mondo contadino e artigiano ma anche dei prodotti in via di estinzione, per contribuire allo sviluppo rurale del territorio astigiano.
Una bottiglia speciale da tre litri è la proposta di Natale firmata dalla cantina Terenzi. La cantina di Scansano propone il Cru più prezioso in una speciale edizione: custodito in una cassetta in legno personalizzata con l’inconfondibile logo della cantina. Il Madrechiesa Riserva 2012 si presenta in un’inedita versione che rappresenta il regalo ideale per gli amanti del buon vino e un perfetto abbinamento con i piatti della tradizione natalizia.
Sotto l’albero di Natale, AIS Veneto propone il vino più generoso dell’anno: Alba Vitæ, la magnum dedicata alla tutela dei bambini in difficoltà. Il vino è realizzato con uve merlot con un piccolo apporto di cabernet franc. Un vino importante che diventa un regalo dal doppio valore: un prodotto di qualità dedicato agli appassionati e un simbolo tangibile di impegno sociale. L’intero ricavato 2015 della vendita di Alba Vitæ verrà devoluto al Centro Missionario Diocesano di Padova, per sostenere l’attività missionaria della Mochongoi Catholic Parish in Kenya, nel distretto di Nyhaururu. In tale zona, i sacerdoti padovani si occupano di accogliere bambini con varie forme di disagio e disabilità nel centro St. Martin, una realtà di grande importanza per questo territorio tristemente noto per gli scontri post elettorali del 2007.
Un vino viene valorizzato grazie al processo di ossigenazione: la prima avviene quando si travasa il vino nel decanter, la seconda quando lo si versa nel bicchiere. iFavine consiglia agli un regalo tecnologico e originale: iSommelier, il primo “decanter intelligente” che permette di presentare al meglio un vino importante, magari di vendemmie rare e preziose, senza dover attendere i tempi della decantazione naturale.
Con iSommelier, infatti, un minuto di ossigenazione di un vino di qualunque annata corrisponde a un’ora di decantazione tradizionale, senza che le sue caratteristiche organolettiche vengano minimamente alterate. Questo il funzionamento: il vino viene versato nella caraffa e sul display si impostano le informazioni dell’etichetta (ad esempio, annata e tipologia). Con una prima fase di filtrazione dell’aria dall’ambiente circostante, vengono separati l’ozono e gli altri gas, eliminando potenziali fattori negativi come la polvere, l’inquinamento e gli odori, che potrebbero compromettere il vino. L’ossigeno viene poi insufflato nella caraffa dal basso verso l’alto, in modo che l’ossigenazione avvenga in modo omogeneo. Inoltre, una wine cloud connessa alla base e alla caraffa, calibra il processo in base ai parametri suggeriti dal produttore o alla scelta dell’utente. Si tratta di una novità estremamente valida sotto il profilo della tecnologia, della sostenibilità ambientale, dell’efficienza e delle modalità di fruizione per gli utenti. iFavine è l’innovativo gruppo internazionale guidato dall’imprenditore cinese Eric Li, nato a Bordeaux nel 2013.
Piemonte, Toscana, Veneto, Alto Adige, Sicilia, Puglia, Friuli… da nord a sud il nostro Paese offre una infinita serie di eccellenze enologiche con cui brindare. Che sia spumante, fermo, bianco o rosso… nei calici scegliamo comunque il vino italiano per brindare ad un 2016 ricco di soddisfazione.