da ilpuntosalute | 16 Nov, 2017 | Nutrizione
In Italia la produzione di zucche è in aumento, e nel 2017 si è attestata intorno alle 40 mila tonnellate, interessando una superficie agricola complessiva di circa 2.000 ettari. Sono in crescita anche le esportazioni, che hanno fatto registrare un aumento del 16%. Questi i dati di Assosementi, l’Associazione nazionale dell’industria sementiera, che precisa: “sebbene non si tratti di una coltura tipica della nostra tradizione e quindi i numeri non siano ancora paragonabili a quelli degli ortaggi più storici, i segnali registrati, oltre a confermare l’incremento avvenuto negli ultimi anni, spingono a ritenere che l’aumento continuerà anche in futuro”.
La superficie destinata alla produzione di sementi è passata in poco tempo da 17 a 27 ettari. Valori ancora contenuti se visti in termini assoluti, ma che rivelano tassi di crescita elevati. Lombardia ed Emilia Romagna sono le regioni leader per le sementi, mentre il principale sbocco per l’export dei semi di zucca italiani è rappresentato dall’Inghilterra.
L’apporto dell’attività sementiera non si limita alla sola produzione quantitativa ma, grazie all’attività di ricerca, contribuisce da un lato a valorizzare le varietà tradizionali (molto apprezzate nei piatti tipici regionali) e dall’altro a offrirne delle nuove, tutte con accresciute resistenze alle malattie e con miglioramenti in termini di produttività e gusto.
Molte parti della pianta sono edibili (frutto, fiori, semi), tutte con ottime proprietà benefiche per la salute grazie agli elevati contenuti in sali e vitamine. Secondo uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, per esempio, il consumo di semi di zucca contribuisce a ridurre i sintomi legati all’allargamento della prostata (WHO).
Inoltre, le foglie di zucca di colore verde scuro sono un’ottima fonte di vitamina A, importante nello sviluppo corporeo e nella difesa dalle malattie, e costituiscono anche una buona fonte di calcio, vitamina C, ferro e proteine. I semi, ricchi di vitamina A, ed anche di vitamina B1 (tiamina) e niacina, aiutano il corpo a trasformare i carboidrati in energia e calore (FAO, 1986).
Ma cos’è la zucca? È un ortaggio, e le tipologie esistenti sono molteplici. Da un punto di vista botanico, le zucche appartengono alla famiglia delle Cucurbitaceae e le specie più diffuse alle nostre latitudini sono la Cucurbita maxima Duchesne e la Cucurbita moschata Duchesne. Originarie dell’America centrale, non sopportano i climi freddi. La riproduzione avviene per seme (Ronchi, 1999).
La Cucurbita maxima ha frutti sferoidali che possono raggiungere dimensioni molto elevate, la polpa è di colore giallo e ha sapore dolce.
A questa specie appartengono, ad esempio, le caratteristiche zucche a “turbante”, ampiamente usate a scopi ornamentali per le loro peculiarità estetiche e per la particolarità di conservarsi a lungo.
La Cucurbita moschata si distingue invece per avere il frutto allungato o cilindrico, curvo, con polpa di colore arancione e più consistente.
A questa specie appartengono le zucche impiegate nelle celebrazioni di Halloween e la varietà butternut, molto diffusa nei paesi anglosassoni, specialmente negli USA, ma apprezzata anche in Italia.
All’interno delle due specie è possibile individuare molte varietà di piante coltivate, che mostrano differenze a volte marcate nei caratteri morfologici, fisiologici e agronomici. Tra le più conosciute nel nostro paese possiamo citare:
- la Zucca marina di Chioggia
- la Zucca invernale di Napoli
- la Zucca mantovana
- la Zucca grigia di Bologna
- la Zucca violina di Ferrara
- la Zucca Turbante, molto coltivata nell’Italia centrale e meridionale
- la Serpente di Sicilia
- la Zucca CastellazzoBormida, della provincia di Alessandria
- la Zucca Lardaia, originaria di Siena
La grande diversità all’interno delle due specie, frutto in gran parte dell’attività di miglioramento genetico operata dall’uomo, costituisce una fonte di biodiversità; termine che va inteso come differenziazione tra gli individui di una stessa specie e quindi come arricchimento biologico da tutelare e sostenere.
Il mondo delle sementi ha contribuito a questo arricchimento, perseguendo obiettivi di miglioramento genetico volto a valorizzare le varietà tradizionali e a individuarne di nuove in grado di aumentare le rese produttive, migliorare le caratteristiche qualitative dei frutti e incrementare la resistenza alle malattie (Hazra et al. 2007).
Dunque, che vada ad arricchire un buon piatto o sia usata per le celebrazioni di Halloween, le caratteristiche organolettiche e cromatiche della zucca dipendono dalla tradizione e dall’innovazione, entrambe contenute nel seme da cui deriva l’ortaggio.
Fonti
- Assosementi (2017), Indagine superfici sementi da orto: campagna 2016, availableathttp://www.sementi.it/statistiche/462/indagine-moltiplicazione-orticola-campagna-2016
- FAO (1986), Pumpkin: leaflet N. 12, FAO. Available at http://www.fao.org/WAIRdocs/x5425e/x5425e0c.htm
- Hazra P, MandalA.K.,Dutta A.K., Ram H.H. (2007), Breeding pumpkin (CucurbitamoschataDuch. Ex Poir) for fruit yield and other characters, International Journal of Plant Breeeding 1(1), 51-64.
- Ronchi R. (1999), il milleortaggi: guida agli ortaggi d’Italia, Edizioni Il millepiante.
WHO, Keep fit for life: meeting the nutritional needs of older persons, World Health Organization and Tufts University School of Nutrition and Policy. available at http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/42515/2/9241562102_annexes.pdf
ASSOSEMENTI (Associazione Italiana Sementi) rappresenta a livello nazionale il settore sementiero: costitutori di varietà vegetali, aziende produttrici di sementi e aziende distributrici di sementi in esclusiva. Assosementi aderisce a ESA (EuropeanSeedAssociation), l’Associazione sementiera europea, e a ISF (International SeedFederation), la Federazione internazionale delle sementi.
da ilpuntosalute | 3 Ago, 2017 | Nutrizione
La campagna LopiLife ha incontrato i medici nei talk show territoriali, il pubblico in eventi gastronomici e sul sito lopiglik.it. E porta in cucina l’innovazione sostenibile “amica del cuore” con le ricette creative firmate dallo Chef stellato Luciano Monosilio, Executive chef, Ristorante Pipero, 1 stella Michelin.
Nato ad Albano Laziale nel 1984, dopo la scuola alberghiera, Monosilio esordisce ventenne nella cucina di Roscioli. Ha la possibilità di collaborare con Fulvio Pierangelini e con Mauro Uliassi. Dopo due anni di grandi numeri in Sudafrica, in un ristorantone di Cape Town, torna in Italia, passa al Tordo Matto di Adriano Baldassarre per poi incontrare Alessandro Pipero. Insieme danno vita alla carbonara più famosa d’Italia, in una versione “vaporizzata” con un goccio di grappa.
Perché ha accettato di prendere parte alla campagna “LOPILife – nutriamo la salute del cuore”? In che modo la cucina stellata può essere amica della salute? E come mai uno chef famoso per la carbonara partecipa a una campagna contro il colesterolo?
Negli ultimi anni, con l’avvento della cucina televisiva e dei nuovi trend che catalizzano costantemente i riflettori sull’alta ristorazione internazionale, la pressione dei media di settore ha investito noi chef di grandi responsabilità. All’esperienza gastronomica del cliente, ossia il lavoro canonico e quotidiano del servizio, si somma l’obbligo etico di trasmettere dei valori in un mondo che cambia rapidamente.
Citando Feuerbach, “noi siamo quello che mangiamo”: il cibo è benessere a 360 gradi, il che significa da un lato nutrire lo spirito con la socialità e la condivisione del pasto, dall’altro introdurre nel nostro corpo pietanze che ci facciano vivere a lungo e in salute. Possiamo e dobbiamo dimostrare che è possibile coniugare i due poli, occorre solo maggiore consapevolezza a tavola.
Con un’alimentazione corretta, infatti, possiamo aumentare la probabilità di prevenire le malattie. In particolare, la cucina nell’alta ristorazione è frutto di ricerca di ingredienti, alchimie che legano i cibi e cotture che rispettino le materie prime. Lavorando su tutti questi fronti, si possono creare dei piatti che soddisfino il palato e, allo stesso tempo, che siano “amici del cuore”.
Naturalmente occorre equilibrio: un regime alimentare sano prevede ogni tanto uno strappo alla regola, come mangiare una carbonara. La mia, in particolare, non ha segreti: è diventata popolare per il fatto che ho introdotto un classico della tradizione romana nell’alta cucina, codificandone ricetta e preparazione.
Quali sono oggi le più importanti innovazioni che si stanno affermando nella cucina nazionale?
Ad oggi le innovazioni in cucina viaggiano parallelamente su tre fronti:
1. il recupero delle ricette della tradizione, reinterpretate in chiave contemporanea, eliminando i difetti del passato affinché siano più leggere e salutari;
2. il trattamento delle materie prime con strumenti e tecniche in grado di rispettarne le proprietà organolettiche, come il sottovuoto o la cottura a bassa temperatura;
3. la ricerca in tutto il mondo di nuovi ingredienti da inserire nella nostra cultura gastronomica. Un esempio? Gli insetti. Personalmente sono impegnato in un progetto di produzione di pasta secca a base di farina di grilli, un prodotto con un alto valore proteico e bassi livelli di colesterolo.
Nella scelta degli ingredienti, degli abbinamenti, delle modalità di cottura, come si concilia l’obiettivo di innovare rispettando anche le esigenze di uno stile di vita sano?
Il segreto è utilizzare ingredienti freschi di qualità, verificandone la provenienza, avvalersi di tecniche che non ne distruggano il valore nutritivo e diminuire l’utilizzo di grassi animali e oli vegetali saturi. Il sale, ad esempio, esalta i sapori, ma un uso eccessivo è causa di ipertensione e malattie cardiovascolari. Esistono altri esaltatori di sapidità naturali, come l’aceto (per condire le verdure crude o cotte), il concentrato di pomodoro (come base di minestre, zuppe e sughi), aglio e cipolla, le erbe aromatiche, le spezie (curry, cumino, curcuma, paprika affumicata e zenzero disidratato in primis), la salsa di soia e il miso. Queste alternative conferiscono alle pietanze un sentore di sapidità – ben diverso dal concetto di “salato” – che rientra nella categoria del “quinto gusto”, collegato al glutammato monosodico, ossia l’umami.
Un aiuto per una sana alimentazione può venire anche dai metodi di cottura. La cottura a bassa temperatura, ad esempio, ideale per tagli di carne come il carré di agnello, il petto di pollo o il filetto, permette di mantenere inalterate le proprietà organolettiche e nutritive degli alimenti, limitando l’uso di condimento e di grassi. Per cucinare un petto di pollo saporito basta semplicemente prendere una pentola con un po’ d’acqua e posizionare alla base un panno di stoffa; portare la temperatura dell’acqua a 60-65 gradi (si può misurare utilizzando un termometro da cucina) e poggiare sul panno il petto di pollo precedentemente condito con pepe, sale e olio e messo in un sacchetto di plastica sottovuoto. Si fa cuocere quindi all’interno della pentola, portata a temperatura, per 20 minuti. Il petto di pollo cotto in questo modo risulterà buono e succulento perché non avrà perso i liquidi durante la fase di cottura.
Anche l’utilizzo della pentola a pressione, ancora molto sottovalutata, permette di mantenere inalterate le proprietà degli alimenti.
Quali sono, secondo lei, i fattori che maggiormente ispirano la creatività dello chef per un nuovo piatto o un nuovo abbinamento gastronomico?
In cucina la ricerca e lo studio di tecniche e ingredienti innovativi rappresentano il leit-motiv di ogni processo creativo, che vive in ogni chef e non si interrompe mai. Sono poi i piccoli spunti della vita quotidiana che fanno nascere un’idea e che, quando vengono razionalizzati, si trasformano in un nuovo piatto.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 1 Ago, 2017 | Nutrizione
In estate la parola d’ordine è idratazione. Bere molta acqua è necessario gli amanti delle bevande dolci, fresche e fruttate il thè freddo rappresenta una valida alternativa.
Durante la stagione estiva, infatti, il thè non va in vacanza, ma si reinventa e si declina a seconda delle situazioni e dei gusti. Melograno, litchi, mandarino, mirtillo, ananas, limone/zenzero e cocco/curcuma sono le varianti del SanThé Sant’Anna che uniscono le benefiche virtù della frutta alle proprietà energizzanti del thè adatte, anche, per preparare una granita fai-da-te.
Basta scegliere uno dei gusti nel formato bicchierino, agitare qualche secondo, riporre per 2-3 ore la bevanda in freezer, aprirla, attendere qualche istante e gustare così una granita fresca, dissetante e a basso contenuto calorico.
Con i suoi chicchi color rubino e il gusto dolce, il melograno è molto apprezzato nel campo della salute naturale, soprattutto unito alle proprietà del thè verde. Il frutto è ricchissimo di antiossidanti, vitamina C, vitamina K, vitamine del gruppo B, proteine, carboidrati, ferro, calcio, magnesio, fosforo e potassio, che aiuta a svolgere correttamente le funzioni cellulari.
Originario della Cina, il litchi ha proprietà terapeutiche derivate dalla vitamina B3, in grado di dilatare i vasi sanguigni, facilitare la purificazione del sangue e allo stesso tempo regolare le numerose reazioni ossidative nelle cellule. La vitamina C, invece, contrasta i virus influenzali e protegge dai raggi UVA.
Del mandarino non si butta nulla. La buccia, infatti, contiene limonane che ritarda l’invecchiamento della pelle, mentre le polpa è ricca di vitamina A, B e C, essenziale per mantenere reattivo e vigile il cervello, oltre a una consistente percentuale di ferro, magnesio e acido folico. La vitamina P, inoltre, combatte la ritenzione idrica e favorisce la diuresi.
Ricco di acido folico, tannini, antocianine e glucosidi antocianici, il mirtillo riduce la permeabilità dei capillari e rafforza la struttura del tessuto connettivo, sostenendo e migliorando l’elasticità e il tono dei vasi sanguigni.
L’ananas è nota per i benefici contro la cellulite, la ritenzione idrica e i suoi effetti digestivi. È un frutto dolce e contiene poche calorie, risulta quindi un alimento adatto alle diete ipocaloriche. Molto ricco di acqua, contiene anche una discreta quantità di carboidrati sotto forma di zuccheri e in particolare di glucosio, fruttosio e saccarosio. È una fonte di vitamina C, di potassio e di magnesio. L’ingrediente fondamentale contenuto nell’ananas è la bromelina, un insieme di enzimi dalle potenti proprietà digestive.
Zenzero e limone sono alimenti che offrono noti benefici per la salute. Se assunti insieme però gli effetti aumentano, rendendo una bevanda ricchissima di proprietà per la salute. Lo zenzero e il limone hanno effetti depurativi, regolatori della digestione e del metabolismo, antinfiammatori e rafforzanti del sistema immunitario, grazie alla combinazione dei principi attivi, antiossidanti e vitamina C.
Nel suo viaggio intorno al mondo nelle diverse culture del benessere, Sant’Anna unisce alle proprietà del thé e dell’acqua, le virtù benefiche di due preziosi ingredienti: il cocco, che gli abitanti delle isole del Pacifico considerano un vero e proprio toccasana per la salute, tanto da chiamare la palma da cui nasce &Albero della Vita&, e la curcuma, una spezia impiegata nella medicina tradizionale indiana e cinese, dalle proprietà disintossicanti e antiossidanti.
Oltre ai benefici derivati dai frutti, le granite sono prive di glutine, conservanti e coloranti. Caratteristiche tipiche dei classici thè Sant’Anna.
Il thè è tra le bevande più consumate al mondo. Fin dall’antichità, la sua antica pianta si è diffusa dall’Oriente in tutto il pianeta diventando, nei secoli, un rito irrinunciabile a colazione, a merenda o durante l’intera giornata. Il suo gusto fragrante, infatti, si sposa alle proprietà energizzanti e purificanti che lo rendono, nelle giuste quantità, un tonico naturale, dissetante e benefico per tutte le età.
Il thè nero e il thè verde sono i più diffusi. Derivano entrambi dalla medesima pianta, ma sono trattati in modo differente. Il thè nero è fermentato, mentre il thè verde viene esiccato prima che il processo di fermentazione abbia inizio. Le due varietà, di conseguenza, hanno caratteristiche diverse: più tonico ed energizzante il primo, fermentato, più ricco di antiossidanti e principi digestivi il secondo.
La bevanda, inoltre, contiene caffeina (o teina). Anche se la concentrazione di SanThè è bassa (1,76 %), non è adatto ai bambini sotto i tre anni di età. Nella giusta quantità invece (un bicchiere d’inverno, due in estate) può diventare un’ottima bevanda tonica e digestiva per l’intervallo e per la merenda dei bambini in età scolastica, evitando il consumo nelle ore serali per evitare di disturbare il sonno dei più piccoli.
Il thè un prezioso alleato per chi ama prendersi cura di sé e rendere speciale ogni momento della giornata.
Simone Lucci
L’ACQUA IN BOTTIGLIA: L’IMPORTANZA DELLE ETICHETTEl
da ilpuntosalute | 7 Lug, 2017 | Nutrizione
Gli ingredienti trapanesi si trasformano in piatti stellati. Una magia che dura una sera.
I maghi? 5 chef provenienti da diverse parti d’Italia.
L’olio di Terre di Shemir è la pozione magica.
Luogo fatato: la cucina di Serisso 47. Ristorante gourmet di Gaetano Basiricò che ha accolto e riunito i colleghi stellati: Stefano Mazzone, del ristorante gourmet Rendez-Vous del Gran Hotel Quisisana di Capri; Michelangelo Citino, Chef del Michelangelo Restaurant a Linate; Pino Cuttaia, Chef bistellato di La Madia di Licata (Agrigento); Damiano Nigro, dello stellato Villa D’Amelia a Benevello (Cn), nelle Langhe. Questi protagonisti dell’arte culinaria, famosi per la loro cucina prestigiosa e ricercata che si propone di valorizzare il territorio, mettono a confronto le loro competenze, uniscono idee, tecniche e professionalità per creare piatti che incantano con semplici prodotti territoriali.
Ogni cuoco ha presentato un piatto. Tutto è iniziato la mattina, con la visita al mercato per scegliere gli ingredienti, poi, di sera la cena che ha stregato giornalisti ed esperti del settore. Agli straordinari piatti sono stati abbinati i nuovi vini di Terre di Shemir: l’Erede, un grillo, il Fedire, grillo e Zibibbo, e il Paradiso di Lara, un nero d’Avola spillato dalla botte.
L’evento è stato ideato nel 2011 dalla famiglia Pellegrino, titolare di Terre di Shemir, che continua a riunire chef di alto livello per far conoscere le eccellenze del territorio. Siamo a Trapani, a pochi passi dalla Torre di Ligny, una torre di avvistamento spagnola, risalente al 1671, e che si erge su una suggestiva scogliera da cui, guardando verso ovest, si scorgono le isole Egadi e il piccolo isolotto di Formica.
“La provincia di Trapani è la provincia più ventosa della Sicilia, ci pensa il vento a spazzare via con facilità i parassiti e l’umidità che causano le malattie alle viti – spiega l’enologo Dino Croce che, con Irene Pellegrino, ha dato vita a una piccola società per l’imbottigliamento: ‘Terre di Shemir di Irene’ –. Quindi interveniamo chimicamente solo se strettamente necessario”.
Francesco Pellegrino quasi voleva abbandonare la produzione del vino per concentrarsi in quella del ‘prezioso’ olio, e invece: cosa succede? Succede che mi sono preso una grande responsabilità: portare avanti questa sfida e il sogno nel cassetto di Ciccio Pellegrino. E quindi oltre ad essere enologo sono anche proprietario, insieme a Irene che è enotecnica.
Al momento i vini sono 4: un Grillo in purezza, un Grillo Zibibbo e 2 Nero d’Avola. Uno affinato in barrique e l’altro in acciaio. Poi il prossimo anno vedremo di fare anche qualche passito, perché la Sicilia è terra di passiti. Molti vanno controcorrente con bollicine, spumanti, invece io voglio rispettare il territorio.
I nostri vini si caratterizzano per la loro eleganza, più che per la potenza. Con Irene abbiamo scelto di dare maggiore risalto al frutto e di non utilizzare molto legno. Adesso c’è una minor tendenza a usare le barrique. La tecnica di vinificazione fa la differenza perché i nostri vini fermentano a temperature più basse e quindi i profumi sono diversi.
La maggior parte del lavoro si fa in vigna durante la raccolta, che avviene a mano, per le pressature si usano presse soffici, così i profumi e i mosti non sono ossidati e ritroviamo questi sentori che rendono eleganti i vini.
CHEF GAETANO BASILICO’
Il padrone di casa ha servito come entrée un uovo sbattuto, qualeddu fritto, e pane tostato all’aglio di Nubia. Il qualeddu è il “ravizzone”, una verdura selvatica che nasce spontaneamente nelle campagne del trapanese. E poi olio Trappitu Delicato, abbinato al vino Grillo Erede.
Quanto sono importanti le materie prime?
Non penso che ci possa essere produzione senza buona qualità di materie prime. La qualità è basilare. La scuola siciliana usava l’agrodolce più che altro per conservare o recuperare un pezzo di carne o pesce di giorni prima. Noi abbiamo ripreso questa tecnica, ma non per camuffare, per esaltare, anzi, il gusto di una materia prima di grande qualità.
Da quanto tempo utilizza gli oli Pellegrino?
Un amico comune mi ha presentato Pellegrino nel 2000, ho conosciuto così la sua azienda e sono entrato nella famiglia. Una famiglia in cui non si sente il peso del produttore.
Stasera stiamo degustando i vini dell’azienda agricola Terre di Shemir. Per bere è sufficiente il piacere fisico, per degustare ci vogliono anche intelligenza e competenza. E per lei, che cos’altro è necessario?
La stessa passione con cui un produttore crea un suo prodotto: anche chi beve deve aggiungere passione, l’intelligenza non basta.
Lei non si definisce uno chef, né un cuoco, ma un cuciniere. Ci vuole spiegare perché?
Mio padre aveva una licenza per trattoria e pizzeria di paese, e su quella si leggeva “autorizzazione per la produzione di cibi cotti”. Ho ancora quel ricordo, e per questo mi reputo uno che prepara cibi cotti.
5 chef riuniti in un’unica cucina e dallo stesso olio. Com’è andata?
Meravigliosamente bene, perché lo scopo è stato quello di riunire 5 amici per proporre dei piatti, quindi non c’è il problema della competizione. Ogni preparazione viene assaggiata da tutti, e ci si consiglia a vicenda.
Degustare è un’arte, e tutto ciò che è sottoposto ai nostri sensi si degusta: un quadro, l’amore, la vita. Per lei cosa significa degustare?
Degustare un cibo significa tradurre, trasferire, scomporre i vari fattori e andarli a collocare nelle varie parti della persona: mente, fisico, cuore. È proprio una scomposizione, e le stesse sensazioni te le può dare anche l’arte.
CHEF PINO CUTTAIA, bistellato di La Madia di Licata (Agrigento), Vicepresidente di “Le Soste di Ulisse”, e tanto chiacchierato per aver cucinato al pranzo delle first lady durante il G8 2017.
Il suo ingrediente segreto?
La memoria. È l’ingrediente che più di ogni altro caratterizza la mia concezione della cucina, che non manca mai nei miei piatti e che consente di riconoscerli. Ognuno dei miei piatti contiene sempre almeno un pizzico di ricordi. Ognuno dei miei piatti, con la sua semplicità, prova a raccontare una storia.
Ci descrive il suo piatto?
Ho voluto raccontare il territorio presente. L’idea è stata di mettere tutto quello che vive sotto terra: il tartufo, il topinambur, la cipolla, l’aglio. Al posto della lumaca, poi, ho messo dei cannolicchi di mare, che hanno quasi il gusto e la consistenza della lumaca, e li abbiamo avvolti in una foglia. Sulla lumaca ci sono parecchi pregiudizi, e ho voluto un piatto più popolare…
La Sicilia è una regione dove storie, società e ambienti naturali si fondono. In particolare, il cibo è uno degli elementi culturali che hanno aiutato a preservare l’unicità dell’isola. Influenze provenienti da varie parti del mondo si sono combinate nel tempo, creando una varietà di tradizioni culinarie che non ha eguali, frutto di duemila anni di storia e contaminazioni.
CHEF MICHELANGELO CITINO, del Michelangelo Restaurant a Linate.
Ha iniziato molti anni fa con Gualtiero Marchesi, da lì è passato con Davide Oldani, che faceva parte della sua squadra, e ha effettuato tutto il suo percorso con lui tra Quisisana e Giannino a Milano. Poi, sempre tramite Oldani, prima l’esperienza francese in uno stellato parigino di Alain Ducasse, e oggi in My Chef, azienda di ristorazione commerciale e competitor di Autogrill. È executive chef e si occupa di sviluppare format, nuove ricette e anche dei panini gourmet.
Citino seguiva Oldani in EXPO e nei corner Ferrari spazio bollicine tra Malpensa, Linate e Roma Fiumicino. A Casa Milan si occupava dei pranzi rossoneri del Presidente Silvio e di Barbara Berlusconi. In Casa Milan e in altri locali di alta gamma, per ultimo Larte di Via Manzini a Milano, è impegnato nello sviluppo del menù e nella formazione.
Ogni locale ha il suo chef e la sua identità. Citino si occupa dello start up dei menù, provati e tastati con i vari chef, che poi agiranno autonomamente.
Calabrese ma di adozione lombarda ha proposto un riso mantecato con cardamomo e limone, dragoncello, ricotta di pecora, alici e gambero rosso. Ci descrive il suo risotto?
Questa sera ho preparato un riso pensato sulla base di un classico siciliano: il cuscus, piatto con influenze africane e caratterizzato da una serie di ingredienti e odori derivanti dalle spezie. Così il mio riso è ricco di spezie, di profumi, di aromi ed è mantecato con cardamomo e buccia di limone. Sopra il riso 4 salse: alla ricotta rigorosamente ovina, al dragoncello, alle acciughe, alle teste di gamberi rossi. A completare, 2 o 3 pezzettini di gambero rosso a crudo! Una connotazione particolare la dava il cuscus soffiato cosparso sul riso per conferire quella parte croccante che mancava.
5 chef riuniti in un’unica cucina, uniti anche dall’olio Pellegrino. C’è rivalità?
Ho inventato oggi questo risotto e ho conosciuto in quest’occasione l’ottimo olio. Si vedono l’amore e il lavoro della famiglia che ci sono dietro.
Ritengo che adesso non ci siano le invidie che c’erano in passato. Sono andate scemando, poi noi ci conosciamo tutti da moltissimi anni quindi non ci può essere rivalità. Abbiamo cucinato scherzando, e simpaticamente ci siamo presi un po’ in giro, ci siamo consigliati. Ad esempio, la salsa con la testa di gambero è stato Damiano a suggerirmela.
Il degustare è un’arte e tutto ciò che è sottoposto ai nostri sensi si degusta: un quadro, l’amore, la vita. Per lei cosa significa degustare?
Per me degustare può essere semplicemente un pensiero. Prima di degustare, si ragiona e si riflettere su un progetto o su un piatto che si vuole portare a termine. Non si degusta semplicemente con il palato. Si degusta prima con la mente, perché dietro ogni buon risultato c’è un’attenta riflessione.
Quanto sono importanti le materie prime?
Essenziali. Il risultato finale si ottiene solo con materie prime di alta qualità. “Povera” non vuol dire non di qualità. L’acciuga può essere povera ma di qualità. La qualità è fondamentale. La qualità è legata anche alla stagione, in quanto ogni frutto o prodotto offertoci dalla terra ha un suo periodo di maturazione nella forma, nella consistenza e conseguentemente nella qualità.
CHEF STEFANO MAZZONE, ristorante gourmet Rendez-Vous del Gran Hotel Quisisana di Capri.
I suoi genitori sono siciliani, lui è nato a Treviso e ha girato diverse cucine in Italia. È a Capri da 10 anni.
Una collaborazione di 5 Chef con esperienze diverse. Cosa ci racconta?
Esperienze diverse, ma comuni. È un momento di amicizia tra colleghi che si conoscono da diversi anni. A unire il gruppo, Ciccio, Lara di Terre di Shemir e i loro prodotti.
C’è rivalità tra voi chef?
La rivalità esisterebbe se ci fosse qualcuno di bravo, qui di bravo non ce n’è nessuno. Tutti scarsi e tra scarsi non ci può essere rivalità (ride).
Qual è il piatto proposto?
Il pesce. Che abitualmente i miei colleghi preparano a casa e cucinano prima. A me piace andare al mercato e acquistare ciò che trovo. Stasera un po’ di Sicilia: una fettina di pesce spada, leggermente panata in padella come si fa nel palermitano, e poi un agretto di pomodorini marsalesi con una maionese leggera aromatizzata all’origano.
Capri/Sicilia, Quali similitudini dal punto di vista alimentare e delle materie prime.
Alla fine ci affacciamo tutti sul bacino del Mediterraneo, con la dieta mediterranea che, non dimentichiamolo, è nata nel salernitano, in questa zona bellissima, grazie a uno studioso americano che negli anni 40/50 e l’ha per la prima volta catalogata. Sicilia e Campania appartengono allo stesso bacino meridionale e i prodotti sono quasi gli stessi. Era il Regno delle due Sicilie, e in cucina ci sono aspetti comuni.
Il piatto che di solito preferisce cucinare?
Quello proposto stasera. È nel mio menù da tanti anni, nato qua in Sicilia, perché prima di essere a Capri, dodici anni fa vivevo qua.
Perché l’olio Pellegrino e i vini Pellegrino?
I vini Pellegrino sono nati quest’anno, diciamo che questo è l’anno zero. Io li ho assaggiati e sono entusiasta. Poi insieme alla sommelier abbiamo scelto di abbinare al pesce spada un Grillo: L’Erede
Perché l’olio Terre di Shemir?
Ci siamo scoperti 15/16 anni fa e non ci siamo più lasciati.
CHEF DAMIANO NIGRO, Executive chef del Ristorante di Villa D’Amelia, nelle Langhe.
Originario di Brindisi e piemontese di adozione. Ha iniziato 30 anni fa a Courmayeur come lavapiatti. Ci racconta il suo percorso?
Sono stato poi promosso a lava pentole: cioè sei dentro la cucina e lì conosci i cuochi che non puoi contraddire, una gavetta che ti insegna a stare al tuo posto nella vita. Li vedevo correre a destra e a sinistra con il loro grandi cappelli e restavo affascinato dalle loro presentazioni. Col tempo, lo chef ha notato il mio interesse e mi ha valorizzato. Da lì sono andato in Germania e ho lavorato con i tedeschi, poi sono tornato in Italia con lo chef pluristellato Gualtiero Marchesi, a Milano. Sono stato poi a Moena, con lo stellato Alfredo Chiocchetti, poi nello Yorkshire, in Inghilterra, in un 3 stelle francese. La mia ambizione giovanile mi portava a lavorare e non mi affliggevo per la lontananza. Ho avuto sempre grande tenacia. Dopo 6 mesi mi hanno promosso e preparavo i secondi. Da lì sono passato in cucina con il grandissimo Marco Pierre White e ho fatto 4 anni con lui. Poi sono andato a Parigi, e successivamente ho cercato di rientrare in Italia, ma non ce l’ho fatta. In seguito sono tornato da Marco Pierre White che mi ha permesso di gestire uno dei suoi ristoranti. Poi Spagna, e dopo finalmente Italia, dove ho cominciato con lo chef stellato Enrico Crippa nel Ristorante Piazza del Duomo ad Alba, e da lì mi sono trasferito con la mia compagna a Villa D’Amelia. Quest’anno festeggiamo 11 anni a Villa d’Amelia, dopo 4 abbiamo conquistato la prima stella e ora cerchiamo di conquistare la seconda. Questa è in breve la mia storia.
Per fare lo chef, basta la passione?
Noi facciamo un lavoro molto duro. Dire che dopo 30 anni basta solo la passione non è realistico. Ci vogliono anche testa e carattere per gestire i ristoranti. L’esperienza e la maturità ti aiutano nel dare un occhio sui costi. Un ristorante è come un’azienda, e come tale deve funzionare.
5 chef riuniti in un’unica cucina e dallo stesso olio. Com’è andata?
È andata molto bene. Io apprezzo queste cose perché c’è sempre un incrocio di pensieri e si ricavano nuove nozioni, conosciamo nuovi prodotti. Il piatto proposto da me era un bollito affumicato, quindi Langhe, ma incrociato con il gusto siciliano. La carne bollita infatti è stata affumicata con la legna di ulivo, ed era accompagnata poi da salsa tartara e salsa verde, e da una purea di patate. L’ho poi decorata con scaglie di bottarga per dare sapidità e per arricchirla col gusto del mare. Un bricco con del brodo da bere completava il piatto.
Da quanto tempo utilizza gli oli di Terre di Shemir?
Li conosco da 11 anni circa, e li utilizzo da 5 anni.
Quanto sono importanti le materie prime?
Molto. C’è anche chi le elabora, però avere materia prima di alta qualità è sicuramente se non al primo, al secondo posto.
In abbinamento ai piatti, i vini di Terre di Shemir, frutto anche dell’enologo Dino Croce. Per bere è sufficiente il piacere fisico, per degustare ci vogliono pure intelligenza e competenza. E per lei cos’altro?
La conoscenza pratica, come in tutte le cose. Parlo per la mia esperienza personale.
Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 29 Giu, 2017 | Nutrizione
Secondo la mitologia, il tartufo nasce da un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia. Il prezioso fungo vive infatti grazie al nutrimento ricavato dalle radici degli alberi, e attende l’acqua per cedere alle piante elementi minerali. Non ha rami, foglie e tronco. È figlio della terra e del buio. Cresce nell’oscurità del terreno e non si ciba di sole.
La Toscana è una delle regioni italiane più importanti per la produzione di tartufi. La raccolta riguarda soprattutto il pregiato tartufo bianco, e in misura minore altre specie presenti sul territorio. In questa regione sorge l’azienda Stefania Calugi. Una realtà che nasce dall’esperienza di quattro generazioni di tartufai, e si evolve in forma aziendale per trasformare sapori e gusti toscani in ricette autentiche e genuine, proprio come racconta la stessa Stefania Calugi, oggi proprietaria di tre tartufaie di Tuber Magnatum convertite in biologico sulle colline Samminiatesi.
Quando nasce l’azienda?
Nasce nel 1987 da un sogno di mio padre, Renato, da sempre appassionato dei preziosi funghi, lui matura negli anni la voglia di creare un’azienda vocata al mondo del tartufo. Così ad appena 18 anni, tra il 1988 e ’89 do vita al primo laboratorio: insieme alla vendita del prodotto fresco, proponiamo anche il conservato. L’azienda cresce in modo veloce e tra il 1992 e il ’93 ci trasferiamo in un laboratorio più grande, di 400 mq. Qui si assiste all’aumento delle quantità e del di numero dei prodotti. E si propone pure l’affettato di tartufo, di largo consumo per la ristorazione.
Quali sono le materie prime lavorate dall’azienda? Sono 100% made in Italy?
La maggior parte della verdura, della frutta e dei tuberi utilizzati sono italiani, tranne i porcini e altre categorie di funghi che provengono dai paesi dell’est Europa, in particolar modo dalla Bulgaria. Per il 90% i tartufi bianchi giungono dalle colline Samminiatesi o dalle Crete senesi, mentre le varietà presenti in quantità minore provengono da: Molise, Abruzzo, Umbria, Basilicata e Piemonte. Le verdure, invece, sono toscane, pugliesi e laziali. Noi produciamo una piccola, ma buona, quantità di olio extra vergine d’oliva, piante aromatiche, fichi, cipolle, cavoli, patate e zucchine.
Creiamo circa 150 referenze Made in Italy. Abbiamo una linea di prodotti Bio tartufo e altre referenze semplici come: sughi a base di pomodoro e gelatina di vino toscano. La linea Bio tartufo consente di realizzare un menù completo, dall’antipasto al dolce. Quest’anno abbiamo lanciato due nuove referenze a marchio green con il valore aggiunto del Vegan, per raggiungere una clientela che ragiona nel massimo rispetto del mondo animale.
Ci descrive i processi di trasformazione della filiera che consentono di ottenere un prodotto finito?
Le materie prime sono coltivate, o acquistate da fornitori selezionati. Giunte in azienda, vengono stoccate in celle frigo e pulite attraverso un lavaggio immediato. Le verdure sono poi tagliate, cotte e inserite in vasi sterilizzati o pastorizzati in base al PH del prodotto. Etichettatura, inscatolamento e stoccaggio in magazzino sono le ultime fasi del processo produttivo.
Le fasi di controllo qualità e tracciabilità in cosa consistono?
Il controllo qualità consiste nelle misurazioni del PH prima di invasare il prodotto, e nel soffiaggio dei vetri per ridurre al minimo il rischio di impurità all’interno. Dopo la stabilizzazione, mettiamo alcuni vasi in un incubatore a 40° per 15 giorni. Se i tappi non si gonfiano svincoliamo i lotti realizzati per la vendita. Tutti questi controlli avvengono all’interno dell’azienda, affidiamo poi al nostro laboratorio esterno le analisi periodiche degli articoli.
Ai prodotti e all’azienda sono state riconosciute delle certificazioni?
Sì, siamo certificati BIO e glutenfree, abbiamo ottenuto l’Autorizzazione sanitaria per il nuovo bollo CE. Entro l’estate contiamo di ricevere le attestazioni: BRC (Global Standard for FoodSafety) e IFS (International Food Standard), uno standard che individua gli specifici elementi di un sistema di gestione focalizzato sulla qualità e la sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti.
Tra gli articoli proposti: Aceto Balsamico di Modena IGP e sale di Volterra al tartufo. Quali sono le proprietà di questi alimenti?
Il primo è un aceto IGP giovane con aroma di tartufo e testimone, cioè un pezzetto dello stesso. Gradevole, ed essenzialmente idoneo per una clientela turistica.
Il Sale di Volterra è ricristallizzato. I giacimenti sotterranei vengono allagati con acqua dolce che, sciogliendo il sale, si trasforma in una soluzione salina concentrata al 33%, poi depurata a 80 gradi centigradi. La soluzione depurata viene inviata ai cristallizzatori, alti 40 metri, dove le e temperature ottenute dalla compressione del vapore la portano a 130°, facendo evaporare l’acqua presente nella soluzione e lasciando il sale.
Questo processo è noto come ricristallizzazione del sale. Il sale ancora umido viene asciugato e destinato al confezionamento di diverse tipologie, volte a soddisfare tutte le esigenze del mercato. Il nostro sistema di produzione, unico in tutto il territorio nazionale, rende il Sale di Volterra il più puro d’Italia. Il sale al tartufo è utilizzato per salare qualsiasi piatto: dalle insalate agli arrosti, al pesce e alle patatine al tartufo.
In quali punti vendita sono acquistabili gli articoli Stefania Calugi?
Il primo nostro punto vendita è posto sopra lo stabilimento produttivo, per proporre al cliente un affascinante percorso alla scoperta del tubero misterioso. Alcune boutique e gastronomie sono presenti a San Gimignano, Volterra, Tavarnelle, Val di Pesa, Greve in Chianti, Panzano, Firenze, Siena, Montalcino, Montepulciano, Pienza, Lucca, Massa Carrara e in Versilia.
I prodotti finiti sono esportati anche all’estero?
Sì, esportiamo in Svizzera, Austria, Francia, Portogallo, Spagna, Germania, Danimarca, Olanda, Svezia, Russia, Polonia, Grecia, Texas, New York, Canada, Costa Rica, Giappone, Cina e Corea. Ci stiamo muovendo anche in altri stati perché abbiamo tanta voglia di crescere, in quanto percepiamo l’entusiasmo dei clienti che si innamorano dei nostri prodotti.
I tartufi instaurano il loro rapporto di simbiosi con diverse varietà di piante. Con quali alberi?
Pioppo nero e bianco, Roverella, Leccio, Quercia, Salice, arbusti bassi, Ginestrella etc.
Quali terreni sono adatti per lo sviluppo del tartufo?
I terreni sabbiosi, di tufo, di argilla. In base al tipo di habitat, il tartufo assume profumazioni differenti e forme più o meno rotonde.
I tartufi nascono sia a livello del mare che in zone montane. Ci avvaliamo di cani addestrati alla ricerca del tubero e usiamo la vanghetta. Chiaramente ci vogliono poi la conoscenza dei luoghi, l’abilità e l’astuzia del tartufaio, altrimenti il raccolto è mediocre.
In quale periodo dell’anno avviene la raccolta?
Il tartufo copre quasi la totalità dei dodici mesi dell’anno. Ogni stagione ha il suo frutto. In base al clima e alle piogge, abbiamo delle varianti nella quantità e nella qualità della raccolta. Solitamente un’annata povera di acqua fornisce un frutto con aromi più intensi, ma molto scarso nella quantità, viceversa annate con fenomeni di alluvione donano frutti molto insipidi. La cosa cambia notevolmente nei diversi terreni, anche se la distanza è di pochi chilometri. Fondamentale è avere una buona precipitazione nei mesi di giugno, luglio e agosto. Se ci sono queste combinazioni l’annata sarà buona.
Come si sceglie un tartufo fresco?
Il fungo deve essere: annusato per trovare il nostro personale grado di emozione, toccato per capirne la compattezza, e privo di terra, ma possibilmente non lavato.
Quali sono le proprietà benefiche?
Si dice che sia afrodisiaco. Ha proprietà antiossidanti e ci sono studi che sperimentano l’applicazione delle sue molecole per cure antitumorali.
Come si conservano i tartufi?
Semplicemente in carta assorbente, chiusi in un contenitore ermetico. Ogni due giorni si asciuga il contenitore e si cambia la carta. Il periodo di mantenimento varia in base al grado di maturità del tubero. Occorre quindi imparare a distinguere il frutto acerbo da quello maturo.
Come si puliscono?
Sotto l’acqua corrente, con uno spazzolino che va strofinato delicatamente per togliere i residui di terra. Quando sono asciutti possono essere grattugiati sulle varie portate.
Bianco pregiato TuberMagnatumPico, Nero dolce TuberMelanosporum, tartufo Nero TuberUncinatum e tartufo bianchetto TuberalbidumPico sono le principali varietà di tartufi commestibili. “Risotto al tartufo, tagliolini al tartufo, uova al tartufo, filetto al tartufo e gelato alla crema col tartufo sono alcune delle pietanze che utilizzano il prezioso fungo. Il tartufo può essere usato anche in settori non alimentari, nella cosmesi per esempio: sono di grande tendenza le creme con molecole di tartufo, per le note proprietà antiossidanti a cui ho accennato”, precisa Stefania Calugi.
Il profumo intenso e penetrante, le virtù culinarie e benefiche, e i noti poteri afrodisiaci incoronano il tartufo come il “Re della tavola”.
Clementina Speranza e Simone Lucci
da ilpuntosalute | 17 Mar, 2017 | Nutrizione
Realizzare una buona tisana è un’arte, come preparare un buon cocktail o un raffinato piatto di alta cucina. E per ottenere un gustoso risultato, è necessario conoscere gli ingredienti e il modo in cui associarli. Nel caso delll tisane, le parti delicate come petali, foglie o steli sottili vanno esclusivamente messe in infusione, mentre le parti legnose come cortecce, radici o frutti essiccati vanno fatti bollire per ottenere un decotto. Prive, inoltre, di teina e caffeina risultano un ottimo sostituto a: caffè, tè, cappuccino e cioccolata.
Le tisane, infatti, sono pratiche e non pongono limiti al loro uso. Insomma, si tratta di bevande senza controindicazioni che possono essere consumate in ogni momento della giornata. Alla mattina, per riscaldare una colazione frettolosa o dietetica. Dopo pranzo facilitano la digestione. Nel pomeriggio, per una pausa distensiva e la sera per conciliare il sonno.
Una formula alternativa è proposta da Witt che le presenta in formato liquido. Per questo sono adatte non solo in inverno, ma ottime anche per dissetarsi in estate diluite in acqua ben fredda. Sono sufficienti 5 ml di prodotto in acqua calda o fredda da assumere 1 o 2 volte al giorno.
Digestiva, Balsamica, Energetica e Rilassante sono le quattro varianti proposte dal brand 100% italiano specializzato nei prodotti naturali per il benessere della persona, e la cura totale del suo ambiente, in assoluta armonia con la natura. Dal 2013, il brand ha aderito al disciplinare VeganOK che certifica l’assoluta assenza di prodotti animali in tutte le fasi della lavorazione dei propri prodotti.
Tarassaco e cardo per depurare e stimolare il fegato, papavero ed eucalipto per un effetto balsamico ed espettorante a livello delle prime vie aeree, goji e zenzero stimolante, antiossidante, e per ritrovare la carica, mentre mandarino e melissa per ritrovare la calma, la serenità e favorire un sonno ristoratore sono gli ingredienti naturali, inseriti nelle tisane, e che aiutano a ritrovare il benessere.
Tutte le tisane sono fonte di nutrienti, come sali minerali, oligoelementi, vitamine, che derivano dalle piante utilizzate. Hanno, inoltre, un’azione reidratante, quindi utilissime per chi non beve a sufficienza o per chi mangia poca verdura. Il calore che si irradia dallo stomaco dopo aver ingerito una tisana ha molti effetti sull’organismo: scalda l’apparato respiratorio, favorendo lo scioglimento di muco e catarro, favorisce la digestione, riscalda l’organismo dopo un colpo di freddo, aiuta a rilassare i muscoli e la mente.
Tale bevanda è, anche, un mezzo per creare aggregazione. Offrirla ad amici, colleghi d’ufficio, clienti, familiari o semplicemente berla in coppia ripropone i vecchi riti erboristici e tribali di amicizia e cooperazione.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 14 Feb, 2017 | Nutrizione
“Cosa c’è di meglio di un cannolo di ricotta per ritemprarsi? Affondi i denti nel croccante della sfoglia, e la crema fugge via dall’involucro che la teneva prigioniera, e ti incolla di morbida dolcezza. Un cannolo di ricotta ti rimette in sesto. Ti riconcilia col mondo e con la vita”, scrive Rosalba Perrotta in Vita candita (ed. Giulio Perrone). E in effetti un cannolo siciliano suscita sensazioni di voluttuosa piacevolezza, e favorisce una condizione di beato benessere.
Parte proprio dal cannolo l’avventura di Stefano Massimino, giovane imprenditore catanese che porta in Expo il Re dei dolci siciliani. È il boom: si sparge presto la voce di questo squisito dolce espresso, e tutti i giorni una coda lunghissima aspetta di poterlo gustare. Oltre 130 mila pezzi venduti. “Le persone tornavano ogni giorno a fare la fila per il nostro cannolo”, racconta Stefano Massimino.
Il segreto? Fare le cose bene, con ingredienti semplici, lavorati da mani esperte, formate dall’esperienza di generazioni. Il cannolo espresso siciliano Ammu è realizzato secondo la ricetta storica di una nobile famiglia palermitana, elaborata e affinata nel corso di centinaia di anni. Le cialde, con un pizzico di cacao, sono preparate quotidianamente da un laboratorio artigianale di Catania, e la ricotta proviene da un caseificio del palermitano. Anche i prodotti per le guarnizioni sono rigorosamente siciliani: le gocce di cioccolato fondente di Modica, la scorzetta d’arancia candita che proviene da un aranceto certificato siciliano, e il pistacchio DOP Bronte. Il tutto viene spedito quotidianamente a Milano per via aerea, e in poche ore fresco e pronto per essere preparato e servito espresso, al momento.
L’inaspettato successo riscosso in Expo convince Stefano Massimino a portare alla città di Milano il cannolo e anche una selezione di altre delizie siciliane. Ammu è il nome scelto per i suoi negozi, si tratta del verso che le mamme siciliane fanno imboccando i figli, un suono che deriva dall’esortazione “ammucca”, cioè metti in bocca.
Oltre al cannolo, indiscusso protagonista e simbolo di Ammu, nei negozi di Corso Magenta 22 e Corso Garibaldi 84 si trovano, sotto l’insegna dell’e-commerce “Inside Sicily”, ricercati prodotti siciliani. “Li ho appositamente selezionati in oltre 400 aziende, per raccontare tutte le tipicità della Sicilia. E la ricerca continua ancora”, afferma l’intraprendente titolare.
Il pistacchio di Bronte, che spazia dal pesto alla crema spalmabile, dalla farina agli snack; le marmellate all’arancia, ai fichidindia, ai gelsi neri e una particolarissima crema al cedro. Liquori al melone, al cioccolato di Modica, al finocchietto selvatico, l’amaro all’arancia rossa “Amara” e quello alla mandorla di Sicilia “Mennula”.
Tutto ciò accanto ai pesti tipici siciliani, alla pasta con grani antichi di Sicilia, al miele di api nere, alle tavolette di cioccolato di Modica, alle paste di mandorla, alle conserve di pomodorini Pachino, all’olio e ai vini. Questi sono solo alcuni dei prodotti che si possono acquistare. E quando è stagione, c’è poi la classica granita fatta come ad Acireale, morbida e cremosa, ai gusti tipici dell’isola: caffè, cioccolato, mora di gelso, pistacchio, mandorla e limone.
Il cannolo Ammu è disponibile anche gluten free e nella confezione da asporto, per goderne anche a casa. “Per stupire amici e parenti, abbiamo pensato al ‘Kit cannolo fai-da-te’ con cui assemblare sul momento il vero cannolo siciliano: cialde, un sac à poche di ricotta (minimo 500 gr equivalente a 5 cannoli) e granella di pistacchio, bottoncini di cioccolato e scorzette d’arancia per guarnire – spiega Massimino -. Il tutto, ovviamente, appena spedito dalla Sicilia. Pochi ingredienti, genuini, senza conservanti, e preparati con amore. Ammu è dolcezza, appagamento immediato dei sensi: lo spirito della Sicilia in un boccone”.
Il cannolo, il dolce che più rappresenta la terra siciliana e che affonda le sue radici nell’antichità, racchiude in sé l’incontro tra diversi saperi e sapori.
Clementina Speranza
LA STORIA DEL CANNOLO SICILIANO
Il cannolo era il dolce di carnevale per eccellenza, nel tempo però è stato talmente apprezzato da essere, ormai, disponibile tutto l’anno; un tempo, invece, quando la ricotta non si produceva, cioè tra i mesi di maggio/giugno e settembre/ottobre, al posto del cannolo si servivano le “ova murine”, sorta di piccole crespelle dolci al cioccolato arrotolate ripiene di crema bianca all’amido: era il cannolo in versione estiva.
“Ma più gradito di qualunque altro cibo carnevalesco è il cannolu, boccone ghiotto di popolani, di borghesi e di nobili, desiderato da poveri e da ricchi. Il cannolu è un cialdone pieno, una pasta dolciastra fritta e tenerissima, accartocciata a forma di grosso cannello o bocciuolo, che si riempie di una squisita crema di latte, zucchero o giulebbe, cioccolata, pistacchio e altri simili ingredienti”, scriveva così nel 1889 in Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Giuseppe Pitrè celeberrimo etnologo che come nessun altro ha saputo raccontare la Sicilia.
Ma quando nasce questo dolce simbolo della Sicilia? Secondo la leggenda, al tempo della dominazione araba in Sicilia, le donne dell’harem dell’emiro di Caltanissetta che non godevano dei suoi favori si consolavano mangiando cannoli, ma la realtà storica è ben più antica. Si hanno notizie che già al tempo dei Sicani c’era l’uso di dolcificare la ricotta con il miele, come tuttora fanno molti dei pasticcieri di Piana degli Albanesi, i cui cannoli sono considerati tra i migliori di Sicilia. Cicerone parla di un ‘Tubus farinarius, dulcissimo, edulio ex lactefactus’ (cilindro a base di farina, molto dolce, preparato con latte buono da mangiare). Da allora in avanti questo dolce è stato sempre presente nella nostra pasticceria ed è riconosciuto come emblema della Sicilia nel mondo.
Anna M. Martano,
Prefetto Sicilia di AIGS (Accademia Italiana Gastronomia Storica e Gastrosofia) e di Direttrice Accademica de I Monsù (Accademia Siciliana di Enogastronomia)
da ilpuntosalute | 2 Feb, 2017 | Nutrizione
Nero, rosso, oolong, giallo e bianco sono alcune variopinte tipologie di tè, una bevanda salutare e ricca di proprietà benefiche. Una tazza di tè può riscaldare il cuore e l’anima di ogni amante dell’infuso dorato, e un approccio meticoloso alla sua preparazione può massimizzare il sapore donato dalle foglie di tè. Raccolte due volte l’anno, le foglie provengono principalmente da: Cina, India, Giappone, Kenia, ma non solo.
L’Alto Adige si caratterizza per un terroir ideale alla coltivazione di frutti di piccole dimensioni ed erbe rare della pregiate qualità. Dall’unione di questi ingredienti nasce Monthea, una realtà creata da Axel Brunoni e Simon Raffeiner, che da circa un anno propongono una linea di tè e infusi biologici.
Bio è molto più di una tendenza, è uno stile di vita che significa restituire alla Terra una parte di ciò che ci ha donato con tanta generosità. Nella propria attività quotidiana, l’impresa e i suoi sapienti agricoltori si sforzano di essere il più ecologici possibile, e tutti i partner di Monthea sono produttori biologici per convinzione. L’obiettivo dell’azienda, infatti, non è raccogliere grandi quantità, bensì raccogliere il meglio. Questo spirito aziendale si traduce in trasparenza, sostenibilità e carattere autoctono, che coinvolge l’intero ciclo produttivo, dalla coltivazione alla trasformazione del prodotto finito.
Tali peculiarità permettono di realizzare un tè caldo e corposo, profumato e colorato, una vera fonte di ispirazione, che vizia i sensi e si fa espressione di un certo stile di vita. Erbe Alpine, Erbe di Montagna, Menta, Lampone, Fragola, Mirtillo, Mela e Frutti di Bosco sono le varietà presentati nelle pratiche confezioni da 10 sacchetti a forma piramidale, nei “tubi” da 20 gr. (per le erbe) o 50 gr. (per la frutta) con il prodotto sfuso o nelle confezioni. Tutti infusi da gustare in un ambiente rilassato e con un’atmosfera piacevole, per vivere momenti in totale relax in cui ci si lascia conquistare dal sapore genuino della natura altoatesina.
Dal carattere locale e improntati alla sostenibilità, i tè e gli infusi sono ideati partendo dalle migliori materie prime altoatesine, da un irrefrenabile entusiasmo e dall’amore per la natura.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 10 Gen, 2017 | Nutrizione
L’hotel Quisisana di Capri con lo chef Stefano Mazzone, Villa d’Amelia con Damiano Nigro, l’hotel 5 stelle Capri Palace con l’esecutivo chef Andrea Migliaccio, il ristorante La Madia di Pino Cuttaia, il ristorante Dulcis Vitis diretto dallo chef della natura Bruno Congolani, i ristoranti 1 stella Michelin Aqua Crua di Giuliano Baldessarri e Ma.ri.na di Pino Possoni a Olgiate Olona. E poi ancora, a Trapani, il ristorante Serisso 47 di Gaetano Basiricò e a Milano l’Osteria Cavallini sono luoghi esclusivi dove gustare deliziosi manicaretti. Cosa accomuna tutti questi paradisi della ristorazione? Un prodotto dal sapore siciliano: l’olio extravergine d’oliva U TRAPPITU di Ceuso Lara, l’oro della tavola. Siamo nel piccolo borgo di Guarrato in una località che si chiama Misiliscemi, da MisilShemir che significa casa di Shemir, ovvero casa dell’arabo che si stabilì in queste terre e diede il suo nome a differenti contrade. Qui sorge l’azienda agricola trapanese le Terre di Shemir, un nome che evoca tradizione, cultura e integrazione. “L’azienda nasce il 19 febbraio 1996, quando con la famiglia mi sono traferito da Como alla Sicilia e, da Ispettore di Polizia, ho riscoperto la passione per l’agricoltura, coltivata fin da bambino quando aiutavo il nonno e gli zii nella loro azienda agricola”, racconta Francesco Pellegrino marito di Lara Creuso, titolare dell’azienda. Qui, a 110 metri sul livello del mare, si estende un terrazzamento di 37,5 ettari affacciati sulle isole Egadi con 3 mila alberi d’ulivo. Le piante vengono potate ogni anno, le olive sono raccolte a mano, e il terreno è lavorato in modo tale da evitare la comparsa di crepe. “I capillari degli alberi viaggiano nel sottosuolo in maniera orizzontale, e quando si formano delle fessure a causa del caldo la pianta si disidrata, facendo seccare le olive – spiega il proprietario dell’azienda –. Per evitare il problema e per donare al frutto l’acqua di cui necessita, effettuiamo quindi l’irrigazione ogni volta che gli ulivi entrino in sofferenza”.
Il terreno è concimato con lo stallatico di mucche e vitelli: viene inizialmente accatastato per farlo maturare, ed è poi utilizzato ogni tre anni per nutrire le piantagioni. “Noi rispettiamo ogni pianta come se fosse un essere vivente – puntualizza Pellegrino –. Coltiviamo gli ulivi con metodi naturali: niente azoto chimico, ma esclusivamente acqua, concime, forbici e vitamine per crescere un ulivo sano. Quello che l’albero riceve lo restituisce in termini di quantità e qualità”. Perché sia salutare, l’olio extravergine deve rispondere a determinati requisiti, e lo scorso anno l’azienda siciliana ha avuto gravi difficoltà a causa delle condizioni climatiche avverse e dell’attacco della mosca olearia. “Un’invasione che abbiamo combattuto con prodotti di origine biologica per rispettare le proprietà delle olive, evitando l’ossidazione, causa dell’acidità dell’olio. Un buon olio extravergine deve possedere un’acidità inferiore allo 0,2%, e deve essere ottenuto dalla prima spremitura dei frutti con procedimenti meccanici, senza interventi chimici”, precisa Pellegrino.
Le tre etichette del brand sono ricavate con un ciclo di estrazione continuo a freddo. Iré, dal colore giallo oro con riflessi verdi, si abbina a verdure, carni rosse, tonno, pesce spada e intingoli dai sapori decisi, ed è ottenuto dall’unione di due cultivar: 60% di Nocellara del Belice e 40% di Cerasuola. Realizzato con l’80% di Biancolilla e il 20% di Cerasuola, U Trappitu – Delicato dal gusto dolce e cremoso, gentile e persistente, è adatto per: verdure, piatti delicati dalla cottura limitata, pesce crudo e bollito. U Trappitu – Intenso è stato ideato mixando tre cultivar 10% Nocellara del Belice, 30% Biancolilla, e 60% Cerasuola. Ha un sapore fruttato, intenso, di aroma piccante e gusto amarognolo, che si posa con: verdure, tonno, carni rosse, pesce spada e intingoli dai sapori decisi.
I tre oli prodotti dalle Terre di Shemir hanno vinto diversi premi e sono esportati in tutto il mondo: dall’Inghilterra alla Svizzera tedesca, dalla Germania alla Svezia, ai Paesi arabi… Un commercio favorito, anche, dalla catena Eataly di Oscar Farinetti. L’oro di Sicilia è arrivato fino al re dell’Arabia Saudita, Salman, che ne ha ordinato 1.500 bottiglie In una terra in cui il senso della storia emerge chiaro e forte, con uno scenario in grado di donare straordinarie emozioni, l’azienda di Lara Creuso produce un olio capace di arricchire, con i colori e con i profumi della Sicilia, le tavole nel mondo.
Clementina Speranza e Simone Lucci
Premi e Riconoscimenti
Iré
2016 – Diploma Distinzione Concorso “L’orciolo d’Oro”
2016 – Diploma Menzione di Merito Concorso “Sirena d’Oro”
2013 – Diploma Gran Menzione Concorso “L’orciolo d’Oro”
2012 – Diploma Gran Menzione Concorso “L’orciolo d’Oro”
U Trappitu – Delicato
2016 – Diploma Distinzione Concorso “L’orciolo d’Oro”
2016 – Premio Slow Food Grande Olio
2013 – Diploma Distinzione Concorso “L’orciolo d’Oro”
2013 – Finalista Concorso “Ercole Olivario”
2012 – Diploma «Best in Sicily» Miglior Produttore di Olio – Cronache di Gusto
2012 – Finalista Concorso “Ercole Olivario”
2012 – Diploma Gran Menzione Concorso “L’orciolo d’Oro”
2011 – Diploma Distinzione Concorso “L’orciolo d’Oro”
2010 – Diploma Gran Menzione Concorso “L’orciolo d’Oro”
2010 – Diploma «Best in Sicily» Miglior Produttore di Olio – Cronache di Gusto
2008 – Diploma Gran Menzione Concorso “L’orciolo D’oro”
2007- Diploma Gran Menzione Premio Frinschmercker
2006 – Diploma Gran Menzione Premio Frinschmercker
2006 – Diploma di Gran Menzione Leone d’Oro Maestri Oleari
2005 – Premio Slow Food
2004 – Premio Der Feinschmecker
2000 – I° classificato Gran Yuri Europèen di Parigi
1999 – I° classificato Gran Yuri Europèen di Merano
1999 – Diploma di Gran Menzione Sol di Verona
U Trappitu – Intenso
2016 – 2° Classificato Concorso “L’orciolo d’Oro”
2016 – Finalista Concorso “Ercole Olivario”
2016 – Silver Olive 15th International Olive Award Zurich
2014 – Finalista Concorso “Ercole Olivario”
2013 – Diploma Distinzione Concorso “L’orciolo d’Oro”
2013 – Finalista Concorso “Ercole Olivario”
2013 – Silver Olive 12th International Olive Award Zurich
2012 – 2° Classificato Concorso “L’orciolo d’Oro”
2012 – Golden Olive 11th International Olive Award Zurich
2011 – Finalista Concorso “Ercole Olivario”
2011 – Diploma Gran Menzione Concorso “L’orciolo d’Oro”
2011 – Award 10th International Olive Award Zurich
2011 – Bronze Medal Award Los Angeles International Oil
2011 – II° Classificato Premio Frinschmercker
2010 – Diploma «Best in Sicily» Miglior Produttore di Olio
2008 – Silver Medal Award Los Angeles International Oil
2008 – 1° Classificato Premio Internazionale “Ercole Olivario”
2008 – 1° Classificato al 1° Concorso Bonolio
2008 – Golden Olive 7 Th International Olive Award Zurich
2008 – Diploma Gran Menzione Concorso “L’orciolo D’oro”
2008 – Diploma Gran Menzione Premio Frinschmercker
2007 – Diploma Gran Menzione Premio Frinschmercker
2007 – 2° Classificato Concorso “L’orciolo d’Oro”
2007 – Silver Olive 6th International Olive Award Zurich
2006 – Diploma Gran Menzione Leone d’Oro Mastri Oleari
2006 – Diploma Gran Menzione Premio Frinschmercker
2005 – Diploma Gran Menzione Premio Frinschmercker
2005 – Diploma Gran Menzione Leone d’Oro Maestri Oleari
2005 – I° Classificato Premio Internazionale Ercole Olivario
2005 – I° Premio Regionale Union Camere – Palermo
2004 – Diploma di Gran Menzione Leone d’Oro Mastri Oleari
2004 – Diploma Gran Menzione Premio Frinschmercker
2000 – II° Classificato Gran Yuri Europèen di Parigi
1999 – Diploma Gran Menzione Sol di Verona
1999 – I° Premio Daunia DOC di Foggia
1998 – Leone d’Oro Sol di Verona
1997 – Diploma Gran Menzione Sol di Verona
da ilpuntosalute | 20 Dic, 2016 | Nutrizione
Natale è un momento magico. Le tavole si arricchiscono di gustosi manicaretti tradizionali, di carne, di pesce, oppure vegetariani. Un ruolo ghiotto è svolto dal dolce, che conclude i pranzi e le cene durante le festività, e accompagna i brindisi. Forme, colori e gusti differenti in base alla regione di provenienza: il panettone a Milano, il pandoro a Verona, il torrone a Cremona, il panforte a Siena, il panspeziale a Bologna e il Dolce Firenze, una prelibatezza tipica del capoluogo toscano.
Prodotto per la prima volta alla fine degli anni ’80, Dolce Firenze nasce da un’idea di Gabriella Lombardini, titolare insieme al marito Leandro Alessi della cantina Cennatoio a Panzano nel Chianti Classico.
Di ritorno da un viaggio in Austria, Gabriella Lombardini riflette sul legame simbiotico tra Vienna e la Sachertorte, e nota che non esiste un alter ego dolciario a Firenze, che la rappresentasse in modo così inequivocabile. Da quel momento sono iniziate riflessioni e ricerche, fino a quando non si è giunti a un’altra donna forte, originale e amante della cultura gastronomica: Caterina dè Medici. Una delle ricette amate dalla sposa di Enrico II Orleans è, infatti, il Berlingozzo, il dolce di Carnevale il cui nome deriva da Berlingaccio che indica il Giovedì Grasso, l’ultimo giorno dedicato ai piaceri della tavola prima della Quaresima in cui è concesso, come direbbero i fiorentini, berlingare (divertirsi).
Dalla texture morbida ed elastica, il dolce era diffuso già nel 1400 e, secondo quanto riportato dalle cronache del tempo, era consumato come antipasto. Ed è proprio a questo manicaretto carnevalesco che si ispira il Dolce Firenze, inizialmente donato come omaggio ai clienti della cantina Cennatoio, e oggi commercializzato all’interno dell’Opificio Fiorentino, un locale di recente apertura gestito da Emiliano Alessi, figlio dei coniugi Alessi.
“Burro, zucchero, farina di frumento, uova fresche, latte parzialmente scremato, burro di cacao, sale marino integrale di Cervia, pasta di arancia, scorze d’arancia e lievito madre sono alcuni ingredienti che rendono il dolce versatile, soffice e grintoso – precisa Emiliano Alessi –. Gli alimenti contenuti rispecchiano totalmente la ricetta originale affidata in passato a uno stabilimento piemontese che utilizzava un lievito madre di 65 anni e di proprietà di amici della nostra famiglia”.
Le origini toscane del dolce sono rievocate, anche, dal caratteristico packaging. “La confezione è un omaggio appassionato a Firenze, in quanto riprende le caratteristiche dell’antico stemma fiorentino: un giglio rosso su sfondo bianco. Al contrario della blasonatura attuale, anticamente i colori erano invertiti, si narra, infatti, che nel 1251 i Guelfi per dare un segnale di cambiamento e di continuità scelsero il colore rosso per il giglio”, puntualizza Emiliano Alessi.
Il dolce fiorentino è adatto ad accompagnare i brindisi durante le feste. Con quali vini? “Come abbinamento più tradizionale il Vinsanto Occhio di Pernice di Cennatoio, mentre per un accostamento originale consiglio uno Champagne Demi-Sec, nel caso specifico Champagne José Ardinat Cart d’Or Demi-Sec (100% Pinot Meunier)”, suggerisce Claudia Bondi, affascinante e raffinata sommelier.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 7 Nov, 2016 | Nutrizione
Mangiare è uno dei piaceri della vita. “Mangiare bene” non significa solo saziarsi, ma dare la giusta importanza a un’alimentazione varia ed equilibrata, caratterizzata dall’assunzione bilanciata dei vari nutrienti. La salute, infatti, si costruisce a tavola sulla base del cibo che assumiamo.
Sono molti i cibi di cui scientificamente è stata appurata la funzione preventiva, curativa e che dal loro abbinamento nascono piatti salutari. Su questo principio si fonda la nuova frontiera della nutrizione, una cucina che non si basa sul conteggio di calorie o sulla messa in atto diete drastiche, ma improntata sull’attenzione ai cibi definiti funzionali. Con alimento funzionale si definisce un prodotto fresco che mantiene o conferisce uno stato di benessere psico-fisico. La scelta del cibo, la tracciabilità e la cottura sono sicuramente degli aspetti fondamentali per stare bene.
A creare tale modello alimentare è Milly Callegari, la farmacistachef, così ama definirsi, laureata in farmacia e che per anni ha diretto l’attività di famiglia, senza abbandonare la passione per la cucina. Il suo amore ai fornelli l’ha portata a intraprendere un percorso sulla conoscenza degli alimenti e sulle tecniche culinarie, specializzandosi in terapie naturali, diventando fitoterapista, aromaterapista e omeopata.
Nei menù di Milly Callegari, gli abbinamenti degli ingredienti sono scelti al fine di creare sinergia e potenziare l’effetto funzionale. Unire il pesce azzurro con i formaggi ricchi di calcio permette di creare una miglior assimilazione del calcio attraverso la vitamina D data dal pesce, oppure i ravioli con farcia di vongole e Parmigiano. Il formaggio in questione rappresenta la fonte di calcio necessario per rendere assorbibile dall’intestino la vitamina B12 contenuta nei molluschi. Una cucina curata e attenta che si può assaporare a Cascina Macerina a Bastida Pancarana in provincia di Pavia.
Altri importanti consigli per un’alimentazione funzionale?
I vegetali contengono vitamine, sali minerali, zuccheri, carboidrati, proteine e vitamine idrosolubili e liposolubili. Per la maggior parte dei vegetali è consigliata la cottura in tegame, con poca acqua e senza raggiungere la bollitura, in quanto le vitamine idrosolubili evaporano. Olio, limone o burro sono i condimenti preferibili per una migliore assimilazione delle parti liposolubili e della vitamina C.
I frutti “colorati” contengono sostanze della famiglia dei flavonoidi con azione antiossidante. Il calore eccessivo riduce le loro proprietà benefiche per tale motivo è meglio privilegiare una cottura a vapore, o il consumo fresco.
I legumi sono ottimi perché forniscono proteine vegetali che nulla hanno da invidiare a quelle animali. L’acqua dell’ammollo deve essere gettata perché contiene anti-nutrienti, e la cottura deve essere lenta, in acqua che sobbolle a fiamma bassa. I piselli e le fave freschi sono gli unici legumi che si possono assumere crudi.
Per la carne è fondamentale scegliere la giusta cottura. L’alta temperatura favorisce la reazione di Maillard che crea la gustosa crosticina, però favorisce la formazione di sostanze tossiche ritenute cancerogene. La via migliore per mantenere integri i nutrienti è la cottura a bassa temperatura. Salsa di soia, miele, limone e zenzero fresco sono i corretti ingredienti con cui cuocere le carni bianche.
In camicia, alla coque, in forno sono le cotture perfette per le uova. Per allontanare il problema di colesterolo e grassi è consigliato l’utilizzo dell’albume perché è costituito prevalentemente da acqua e proteine. Gli albumi montati a neve, distribuiti su una teglia passata in forno permettono di dar vita a un piatto digeribile, privo di grassi e gustoso.
Per una corretta assimilazione, il nostro organismo deve scindere le molecole degli alimenti nelle loro parti più piccole, per cui è preferibile assumere zuccheri semplici come il miele, un potente antiinfettivo e antiinfiammatorio. Anche il fruttosio è uno zucchero semplice, ma ha la caratteristica di fermentare nell’intestino.
Un sapere scientifico mixato all’arte di saper mangiar bene per una vita sana ed equilibrata, senza trascurare il gusto.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 27 Ott, 2016 | Nutrizione
L’olio è probabilmente l’ingrediente che meglio si presta a sostituire il burro che è ricco di colesterolo e lattosio, e la margarina che contiene olio di palma o grassi idrogenati. Forse non tutti sanno che l’olio può essere usato al posto del burro in quasi tutte le preparazioni dolci, riducendone il quantitativo del 20% si ottengono sfiziose e soffici delizie. Tutte molto più digeribili.
Calcolare la quantità di alimento da utilizzare è diventato più semplice grazie all’olio extra vergine d’oliva spalmabile Reolì. In nomen omen. Reolì nasce, infatti, sfruttando le conoscenze derivate dalla reologia, coniugate con la parola olio. Conservato in packaging 100% riciclabile, l’olio spalmabile risulta un valido alleato della salute come dichiara: Eugenio Conforti, presidente Reolì.
Qual è la motivazione che ha portato alla nascita dell’olio spalmabile?
Da tempo, il gruppo di ricerca del Laboratorio di reologia e ingegneria Alimentare dell’Università della Calabria persegue ricerche per rispondere all’esigenza di mangiare in modo più sano, ponendo attenzione alle problematiche salutistiche. L’olio extra vergine d’oliva è un prodotto benefico e cardine della dieta mediterranea, ma allo stato liquido molti utilizzi gli sono interdetti. Unire le caratteristiche salutistiche dell’olio d’oliva, in particolare extra vergine, alla consistenza simil solida ottenuta con mezzi fisici e non chimici, consente all’alimento di essere adeguato ad applicazioni finora improponibili. Da questa base sono partite le ricerche.
Dall’idea di chi nasce il prodotto?
Come tutte le idee, anche questa è frutto della collaborazione tra i diversi ricercatori che hanno operato nel settore della reologia degli alimenti.
Da chi è stata condotta e commissionata la ricerca?
La ricerca è stata condotta sotto la guida del prof. Bruno de Cindio (ordinario di reologia) con i dottori di ricerca: Domenico Gabriele (ricercatore universitario), Noemi Baldino e Francesca Romana Lupi (assegniste di ricerca). Insieme sono giunti a un risultato che soddisfa tutte le richieste. La ricerca non è stata commissionata. L’alimento è il risultato degli avanzamenti cognitivi nella reologia, e nella termodinamica del gruppo di ricerca nel campo dei fenomeni di strutturazione di sistemi complessi. Nella sua fase di concretizzazione, il progetto ha goduto di un finanziamento MIUR PON Ricerca e Competitività 2007-2013.
Dopo quanti anni di ricerca si è arrivati a alla produzione di tale olio?
Il gruppo di ricerca lavora sulla strutturazione degli alimenti da più di quindici anni.
Oltre a tenere a bada i livelli di colesterolo, l’olio d’oliva è indicato per contrastare l’invecchiamento cellulare e rappresenta il condimento ideale per i piatti della dieta mediterranea. Quali sono, invece, le proprietà nutritive dell’olio spalmabile?
Il modello nutrizionale è lo stesso di quello dei grassi vegetali e dell’olio extra vergine d’oliva. Il gruppo di ricerca che ha operato nel PON ha dimostrato che l’olio spalmabile possiede una maggiore disponibilità e digeribilità rispetto a: margarine e burri.
Quali sono le motivazioni per cui è preferibile utilizzare l’olio spalmabile Reolì rispetto all’olio allo stato liquido?
Le ragioni sono legate al contenuto di servizio che rendono l’alimento meno critico nel suo utilizzo. L’olio liquido richiede un beccuccio per evitare possibili untuosità, ed è sconsigliato su piastre scaldanti per questioni di sicurezza. L’olio spalmabile Reolì, invece, può essere spalmato, nel dosaggio opportuno, senza il rischio di vederlo cadere, evitando l’assorbimento da parte del supporto. L’alimento è anche adatto sulla pasta cotta e come condimento perché aderisce meglio al cibo. Durante la colazione, può essere assunto in sostituzione al burro, abbinandolo a marmellate o composte. Generalmente nel settore dolciario, si sfruttano grassi solidi perché sono meglio impastabili di quelli liquidi che tendono a oleare l’impasto. Pertanto, l’olio extra vergine d’oliva Reolì può essere inserito in tutte le preparazioni in sostituzione di: strutto, burro e margarine.
L’alimento è realizzato con olio italiano? Da dove provengono le materie prime?
Allo stato attuale stiamo usando olio extravergine italiano. Una delle finalità del progetto è la valorizzazione dei nostri prodotti. In futuro, ci piacerebbe esportare il nostro spalmabile a base extra vergine in tutto il mondo.
La produzione è 100% made in Italy? Dove avviene?
Il brevetto, la produzione e l’idea sono 100 % made in Italy. Innovare si può, anche in settori apparentemente tradizionali. Ci vuole coraggio e fiducia anche nel nostro Paese, e per tali motivazioni la nostra produzione avviene nello stabilimento Reolì, nella zona industriale di Corigliano Calabro.
Quali sono le fasi produttive che consentono la nascita del prodotto finito?
Si tratta di creare una gabbia fisica in cui intrappolare i trigliceridi costituenti l’olio extra vergine d’oliva mediante una solubilizzazione dei diversi componenti, ottenendo, così, un raffreddamento che consente di entrare in una zona di stabilità termodinamica detta: organogelazione. Questo processo attribuisce la consistenza solida dell’olio, senza comportare un’alterazione chimica della sua composizione
Qual è il periodo di conservazione dell’olio spalmabile?
L’olio spalmabile Reolì va conservato in frigorifero e ha lo stesso tempo di conservazione di un burro o di una margarina.
Prosegue senza sosta il boom del biologico in Italia. L’alimento è totalmente Bio?
Non abbiamo ancora una produzione 100% Bio. A breve contiamo di realizzarla in modo serio e consapevole.
L’olio spalmabile Reolì può essere assunto da chiunque, oppure ci sono delle controindicazioni?
A seguito di una sperimentazione condotta a 360°, non ci risultano particolari vincoli su questo aspetto.
Studi scientifici affermano che tre cucchiai di olio extravergine d’oliva fanno bene alla salute. Qual è la dose giornaliera di olio spalmabile? Potremo dire l’equivalente come una fetta di pane spalmato da prendere la mattina?
Attualmente, ci stiamo avvalendo della consulenza di nutrizionisti qualificati per poter dare corrette indicazioni.
All’alimento sono state riconosciute delle certificazioni?
L’impianto è in corso di certificazione sia per IFS (International Featured Standards) sia per la certificazione BRC (British Retail Consortium), uno standard globale specifico per la sicurezza dei prodotti agroalimentari e indispensabile per poter esportare Reolì in tutto il mondo.
Generalmente, l’olio d’oliva è impiegato per condire insalate, bruschette, carni arrosto, minestre, sughi, e contorni vari. Come può essere usato l’olio spalmabile? È adatto, anche, per friggere?
È adattissimo per esser gustato crudo, per la cottura, e per la frittura. Teniamo però conto che, come ogni olio e in particolare l’extravergine, dopo ogni frittura è sconsigliato riutilizzare il prodotto.
Dove è possibile acquistarlo?
Stiamo finalizzando importanti accordi con primarie catene nazionali e internazionali. Al momento è acquistabile in alcuni punti vendita locali.
Il prodotto è commercializzato, anche, all’estero?
Reolì ha partecipato alla manifestazione fieristica SIAL che si è tenuta a Parigi nel corso del mese di ottobre. Di fatto è stata la prima presentazione dell’azienda sui mercati, anche internazionali. Abbiamo avuto interessanti contatti da tutto il mondo: dal Canada agli USA, dalla penisola Scandinava alla Cina, dal Giappone all’Australia. Sono i primi interessanti contatti da finalizzare nei prossimi mesi.
Oltre all’olio spalmabile, Reolì comprende altre referenze?
Oggi abbiamo 4 referenze, 2 destinate al consumatore finale in comode vaschette da 200 grammi a base di extra vergine o olio di girasole, e 2 prodotti in bag in box per l’industria. Tutti a base di extra vergine o olio di girasole, ma all’industria il prodotto è consegnato anidro.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 22 Set, 2016 | Nutrizione
Riscoprire i gusti della tradizione con manicaretti dalla forte impronta territoriale e conoscere i nuovi sapori di una cucina moderna è possibile con un ingrediente d’eccezione. Gnocchetti di grano arso al pesto di fagiolini, tagliatelle integrali con sarde e pomodorini, crespelle speck radicchio e fontina, muffins con gocce di cioccolato e tortine soffici alle ciliegie sono alcune deliziose ricette realizzate con: la farina macinata a pietra. L’antica tecnica conserva le vitamine e gli enzimi che caratterizzano queste farine, garantendo una granulometria irregolare e un’elevata presenza di crusche e germe di grano.
Da sempre attenta alle nuove esigenze dei consumatori, Molino Rossetto propone la linea di Farine Macinate a Pietra biologiche, una versione che rendere il prodotto più nutriente, digeribile, profumato e adatto a un’alimentazione sana e bilanciata.
La gamma proposta dall’azienda veneta è composta da 4 referenze: la Farina Integrale di Grano Tenero, la Farina Integrale di Grano Duro Cappelli (antica varietà di grano duro coltivata principalmente in Sud Italia, con alti valori proteici e ottima per la realizzazione di pane, pizza e dolci), la Farina di Grano Tenero Tipo 1 e la Farina di Grano Tenero Tipo 2 semintegrale.
Tutte varietà confezionate in un packaging eco compatibili in carta FSC (Forest Stewardship Council) proveniente da foreste controllate e gestite in maniera eticamente ed ecologicamente sostenibile per ridurre l’impatto ambientale. ISO 900, Certificato BIO, Licenza Kamut, Spiga Barrata, Certificato IFS Food, Certificato Registrazione FDA sono le attestazioni indicate sul packaging.
All’azienda è riconosciuta, anche, la certificazione Energia Pulita. Dal 2010, infatti, Molino Rossetto sostiene lo sviluppo e l’utilizzo di energie rinnovabili attraverso un impianto fotovoltaico per soddisfare il fabbisogno energetico necessario al funzionamento della struttura.
5 mila mq di pannelli che generano una capacità produttiva di 280 kw/h, con una riduzione del 60% delle emissioni di CO2.
Impegno ambientale ed etico. Insieme a Oxfam Italia, il brand padovano lancia una limited edition personalizzata con il logo dell’organizzazione, per sensibilizzare i consumatori a un comportamento consapevole e sostenibile. Lievito madre, preparato per pizza, chicchi di quinoa, quinoa e amaranto soffiati sono alcuni alimenti confezionati nell’esclusivo packaging. La scelta della quinoa e dell’amaranto sono un omaggio all’Ecuador, dove Chiara Rossetto si è recata a luglio 2015 insieme a Oxfam Italia per conoscere in prima persona la realtà rurale del Paese, e scambiare know how ed esperienze con le donne impegnate nella coltivazione e commercializzazione dei due cereali andini. Oxfam Italia lavora in Ecuador con progetti di sviluppo a lungo termine, sempre a fianco delle donne con la campagna #sfidolafame, aiutando le comunità locali a migliorare la produzione e il commercio dei loro prodotti.
Le farine macinate a pietra rappresentano un ritorno consapevole alle buone abitudini culinarie di un tempo, e di trasmettere un messaggio di genuinità e benessere.
Simone Lucci
Molino Rossetto nasce nel 1760 a Pontelongo, in provincia di Padova da una famiglia di mugnai. Da allora, impegno e passione animano l’azienda che ha saputo crescere e rinnovarsi. L’impegno aziendale è di proporsi a un consumatore sempre più curioso con prodotti innovativi, funzionali, semplici, veloci, sani e naturali. Grazie alla scelta attenta delle materie prime, alla cura meticolosa di ogni fase della lavorazione, all’impiego di tecnologie all’avanguardia, Molino Rossetto garantisce una gamma di prodotti di altissima qualità. I controlli riguardano tutta la filiera e ogni anno eseguono 1.200 analisi internamente e 1.300 con enti esterni certificati. La proposta spazia dalle farine classiche di grano tenero e di mais, ai preparati per pizza, pane e dolci, differenziandosi, poi, in linee più specifiche e innovative.
da ilpuntosalute | 4 Lug, 2016 | Nutrizione
Nel XIII secolo, Marco Polo descriveva la spezia d’oro raccontando i suoi viaggi in Cina, mentre i monaci buddisti la utilizzavano come spezia, colorante, cosmetico o rimedio medico naturale, tant’è vero che la medicina ayurvedica la contempla tra le piante curative per i benefici che apporta all’organismo. Parliamo della curcuma (o zafferano delle indie).
La curcuma è un potente antiossidante che contrasta gli effetti negativi dei radicali liberi su: pelle, fegato, stomaco e intestino, favorendo le funzionalità digestive e articolari. Con le sue proprietà benefiche, la spezia indiana combatte lo stress ossidativo del cervello, riducendo le problematiche di salute causate dall’avanzare dell’età. Molto di ciò che mangiamo è necessario per il cervello e molti nutrienti sono importanti per mantenerlo in condizioni funzionali. Uno di questi alimenti è la curcuma da cui si estrae la Curcumina, il componente biologicamente attivo della pianta.
Dall’omonimo principio attivo nasce Curcumina Redox, l’integratore naturale con estratti ricavati dallo zafferano delle indie e commercializzato da Solgar. L’assunzione di una singola perla con l’acqua durante i pasti dona beneficio al corpo, grazie, anche, alla tecnologia produttiva unica ed esclusiva che consente alla curcumina di essere facilmente assimilata dall’organismo. Mimando le naturali fasi digestive che permettono l’assorbimento dei composti lipofili, l’integratore naturale rilascia la curcumina direttamente a livello della parete intestinale per un massimo assorbimento. La spezia dorata va assunta sotto controllo medico solo in caso di calcoli biliari o di occlusione delle vie biliari, inoltre, Curcumina Redox non contiene zucchero, sale, amido, lievito, frumento, soia, derivati del latte, conservanti, coloranti e aromi artificiali.
Con oltre 60 anni di esperienza, l’azienda ha messo appunto diverse formule e originali integratori. Advanced Omega D3, Artiglio del Diavolo, Fieno greco, Fito Tè Verde, Spirulina e Bromelina Plus sono alcuni dei prodotti realizzati dal brand.
Bromelina Plus è un integratore alimentare ricavato dal gambo fresco dell’ananas che contiene enzimi proteolitici.
L’estratto di gambo d’ananas è indicato per favorire la funzione digestiva, sostenere il drenaggio dei liquidi corporei e la funzionalità del microcircolo per alleviare la sensazione di gambe pesanti e contrastare gli i tanto odiati inestetismi della cellulite.
Integratori naturali, una sana e corretta alimentazione e una spezia dorata con origini millenarie consentono di mantenere l’intero organismo in salute. Ovviamente senza trascurare una regolare attività sportiva.
Simone Lucci
Solgar è stata fondata nel 1947 a New York e si è sempre dedicata alla ricerca e alla produzione di integratori alimentari, di nutraceutici, vitamine, minerali e aminoacidi di altissima qualità. L’azienda offre ai consumatori una gamma di oltre 450 referenze attraverso una rete di 70 filiali in tutto il mondo. Solgar Italia Multinutrient S.p.A. ormai da 25 anni.
Fin dal 1947, il brand ha adottato l’etichetta dorata come emblema di serietà, rigore, garanzia di integrità e qualità di ogni ingrediente.
Nel 1978 è stato fondato nel Maryland USA il Nutritional Research Centre che ha introdotto nel mercato novità destinate ad aprire nuovi orizzonti, quali il primo multinutriente con vitamine, aminoacidi e minerali chelati secondo la procedura brevettata Albion® e le prime capsule vegetali al mondo. Per decenni considerata la “compagnia degli antiossidanti”, Solgar si è distinta per la l’ampia gamma e la produzione di antiossidanti d’avanguardia.
Fondamentale in ambito fitoterapico la scelta di utilizzare estratti erbali standardizzati che garantiscono una quantità di costituenti attivi costante e l’utilizzo di una speciale miscela di antiossidanti che assicura qualità e stabilità dei costituenti attivi.
Solgar Italia Multinutrient S.p.A. opera sulla penisola da 25 anni e si distingue per l’attenzione alla divulgazione culturale e scientifica e alla didattica negli ambiti dell’integrazione nutrizionale e della fitoterapia e di recente con CNM Italia esprime valore culturale nell’area della Nutrizione con l’accademia Nutritional and Nutraceutical Consultant. Organizza numerosi Seminari di aggiornamento tenuti da Relatori esperti di Medicina integrativa, Fitoterapia e Discipline del Benessere che sono riconosciuti dagli Operatori del settore come eventi di rilievo per approfondire tematiche specifiche e in particolare volti ad individuare suggerimenti integrativi mirati.
da ilpuntosalute | 7 Giu, 2016 | Nutrizione
Dal colore limpido e cristallino, l’acqua oligominerale Valverde è tra le più leggere, in quanto è ricavata da una sorgente naturale di frattura che scaturisce dalla roccia granitica viva nei pressi dell’Alpe Argnaccia, in provincia di Vercelli. Il basso residuo fisso (38,2 mg/l) conferisce alla bevanda la denominazione di minimamente mineralizzata. Il suo Ph di 6.6 moderatamente basso contribuisce a neutralizzare l’acidità gastrica, favorendo la digestione, e il ridotto contenuto di sodio (3,5 mg\l) la rende ideale per chi soffre d’ipertensione e deve combattere la ritenzione idrica.
Naturale, frizzante e leggermente frizzante sono le tre varianti. La purezza batteriologica e le sue caratteristiche organolettiche fanno di Valverde un’ottima acqua da tavola perché grazie al ridotto contenuto di minerali, esalta le caratteristiche di cibi e vini, conservando in bocca gusti, componenti e aromi.
- Valverde naturale è perfetta in abbinamento a piatti delicati, antipasti di pesce, pesce al vapore, formaggi freschi e dessert.
- Valverde frizzante presenta una bolla media dalla persistenza lieve e si abbina ai primi con salse di verdure o pesce, prosciutto di Parma, scampi e formaggi dalla media stagionatura.
L’acqua è imbottigliata anche in 4 differenti formati: 25 cl, 50 cl, 75 cl, 100 cl. L’imbottigliamento è effettuato nella sede di Quarona Sesia (VC) nella regione Zacconale, circa 500 metri in linea d’aria dalla sorgente.
L’acqua quando emunta è convogliata all’interno di tubazioni in acciaio inossidabile, dove per caduta con un salto di quasi 200 metri raggiunge direttamente l’azienda.
Una volta imbottigliata, la semplice purezza dell’acqua si trasforma in raffinato oggetto di design, grazie alla bottiglia ideata dall’architetto e designer Matteo Thun: stile essenziale, elegante e vetro chiaro. Un look decisamente moderno che rappresenta un punto di incontro tra passato e futuro, e che unisce la funzionalità del prodotto con l’emozione estetica.
“Nella creazione della bottiglia io e i miei collaboratori ci siamo fatti guidare da Italo Calvino con le sue Lezioni americane intitolate Leggerezza, Rapidità, Precisione, Molteplicità, Durabilità, Leggibilità – riferisce Matteo Thun –. L’etichetta principale metallizzata e il collarino sono realizzati con colori decisi, insoliti e d’impatto per questo tipo di prodotto”.
La totale trasparenza del vetro si coniuga perfettamente con la scelta di 3 differenti colori delle etichette che identificano i 3 diversi gusti disponibili. Le etichette turchese, fucsia e verde acido conferiscono al prodotto un aspetto moderno e distintivo, impreziosito da giochi di trasparenza che rendono visibili la doppia etichetta.
E proprio questo stile unico gli ha permesso di ottenere la medaglia di bronzo al Water Innovation Awards 2008, ambito premio per il mondo delle acque minerali, nella categoria Best bottle in glass, e di essere presentata da FineWaters all’esposizione internazionale Tastings New York.
La bevanda è stata scelta dai migliori showroom milanesi che ogni anno, in occasione del Salone del Mobile, espongono la bottiglia di Valverde insieme alle loro più importanti creazioni di design.
Da sempre, Valverde dimostra la sua vicinanza al mondo del design, della moda, dell’arte e dell’alta ristorazione. L’azienda, infatti, ha richiesto agli studenti del Triennio in Graphic Design and Art Direction di NABA (Nuova Accademia di Belle Arti Milano) di creare delle bottiglie Special Edition da 250 ml. Il progetto grafico reinterpreta con nuovo stile l’iconica bottiglia di Matteo Thun.
Sei progetti e un totale di dodici bottiglie, una frizzante e una naturale per ciascuna grafica, è il risultato del concept creativo realizzato da nove giovani menti e dedicato a un pubblico ricercato, attento al gusto e alla forma. La città di Milano, il raffinato pizzo bianco e nero, il mazzo di tulipani, l’Art Noveau, lo stile Decò e uno slogan breve e incisivo che rimanda al concetto di acqua sono i temi d’ispirazione dei sei progetti vincitori, che rispondono in modo innovativo ed evocativo alle indicazioni guida dell’azienda.
Valverde è, inoltre, vicina al mondo dell’alta cucina e partner di alcune organizzazioni del settore come il Master della Cucina Italiana, un percorso formativo di alta specializzazione che vede la partecipazione dei migliori chef, professionisti di gastronomia, pasticceria e sommellerie. Valverde collabora con l’Associazione Montenapoleone di Milano legandosi a importanti progetti come la kermesse gastronomica Gusto al Quadrato del 2015, una collaborazione che prosegue per tutto il 2016.
L’acqua Valverde racchiude in sé: equilibrio, leggerezza e purezza. Qualità fondamentali per il benessere dell’organismo.
Simone Lucci
Spumador è stata fondata nel 1888 grazie all’intuizione imprenditoriale della famiglia Verga. Spumador, con sede amministrativa e legale a Caslino al Piano (Como), si occupa di produrre e imbottigliare softdrink e acque minerali grazie al suo forte know-how, all’attenzione alla qualità e all’ampia gamma di servizi che offre alla Distribuzione Moderna e ai clienti industriali. Spumador presenta un portafoglio prodotti che include acque minerali, bevande gassate, tè, bevande sportive energetiche e succhi di frutta. L’azienda opera in Italia con 21 linee di imbottigliamento e più di 400 dipendenti. Lo stabilimento è entrato a far parte del Gruppo Refresco a partire da aprile 2011.
da ilpuntosalute | 6 Mag, 2016 | Nutrizione
Il miele ha una storia antichissima. Le prime api compaiono da 50 a 25 milioni di anni fa e dopo numerosi studi si pensava di aver scoperto tutto sull’importanza del prezioso insetto e dei molteplici benefici dell’antico alimento nutraceutico. Non è così, infatti lo straordinario prodotto continua a stupire perché i polifenoli contenuti nel miele riducono il danno al DNA indotto dai pesticidi. È questo l’ultimo importante risultato emerso da uno studio diretto da Renata Alleva con il supporto di Conapi, il Consorzio che riunisce oltre 600 apicoltori in tutta Italia.
“Siamo soddisfatti di aver sostenuto la ricerca perché rappresenta un’ulteriore prova dell’importanza delle api per la nostra vita e per il nostro pianeta – dichiara Diego Pagani, presidente Conapi –. Le api sono responsabili di almeno 70 delle 100 principali colture agricole, e fondamentali per il mantenimento della biodiversità e della ricchezza alimentare”.
La qualità dell’ambiente e dei prodotti alimentari è importante nel determinare lo stato di salute dell’uomo. È possibile affermare che gran parte delle patologie comuni hanno una causa riconducibile a una esposizione ambientale, dove la tipologia di alimenti e la modalità con cui vengono prodotti possono fare la differenza.
Nell’agricoltura intensiva, i pesticidi sono ampiamente utilizzati, provocando la perdita della biodiversità e l’estinzione di specie indispensabili per la sopravvivenza dell’uomo. Un esempio è la moria delle api causata dell’utilizzo di fitofarmaci, che sono tossici anche per l’uomo. L’esposizione cronica a tali prodotti è stata associata a patologie metaboliche, endocrine, neurogenerative e tumorali.
“La ricerca ha stabilito che una dieta ricca di polifenoli protegge l’organismo da alcune patologie – afferma Diego Pagani –. Il miele è un elemento eccellente perché i polifenoli al suo interno riducono i danni al DNA indotti dai pesticidi”. Il miele, infatti, svolge azioni antinfiammatorie, antimicrobiche, lenitive, lassative, nutrienti, depurative, mineralizza le ossa e previene i tumori. A conferire al nettare degli dei la funzione nutraceutica sono: gli acidi fenolici, i flavonoidi, gli enzimi, i carotenoidi, gli acidi organici, gli amminoacidi, le proteine, l’α- tocoferolo e le vitamine.
Nella prima fase dello studio, sono state analizzate quattro varietà di miele acacia, castagno, bosco e arancio. Ciascuna tipologia è stata scelta per il contenuto polifenolico e per il potere antiossidante. Il miele di bosco è risultato il più ricco in polifenoli e con il più alto potere antiossidante, pertanto è stato selezionato e testato su un modello cellulare. L’esposizione delle cellule a due pesticidi, comunemente usati in agricoltura convenzionale, clorpirifos e glifosate, induceva la formazione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS), riduzione dell’attività di riparazione con conseguente formazione di lesioni al DNA. Si è osservato che, l’aggiunta di polifenoli estratti dal miele inibisce la formazione di ROS, attiva i sistemi di riparazione e ripara il danno al DNA.
Sulla base dei risultati ottenuti, l’effetto del miele è stato studiato su una popolazione esposta a pesticidi residente in Val di Non, in prossimità di aree agricole a coltivazione intensiva di mele. In differenti periodi dell’anno, i soggetti presentavano elevati livelli di residui urinari di clorpirifos e una diminuzione dell’attività di riparazione del DNA, caratteristiche visibili sia nei periodi di bassa che di alta esposizione. L’assunzione per 10 giorni del miele di bosco biologico ha determinato un aumento dell’attività di riparazione con conseguente riduzione del danno.
Anche in condizioni ambientali sfavorevoli, lo studio dimostra che l’alimentazione può essere d’aiuto a contrastare i danni indotti dall’ambiente e in dosi corrette il miele risulta un dolcificante naturale con un effetto salutare superiore rispetto ad altri zuccheri.
Consumare miele rappresenta un toccasana per il nostro benessere e in futuro chissà quali altri segreti ci svelerà.
Simone Lucci
Conapi nasce nel 1979 a Monterenzio, in provincia di Bologna, come Cooperativa Apistica Valle dell’Idice. Un progetto realizzato da 9 giovani che hanno deciso di avvicinarsi all’affascinante mondo dell’apicoltura. Nel 1985, l’associazione si unisce ad altre 6 cooperative e fonda il Consorzio Nazionale Apicoltori, la più importante cooperativa di apicoltori in Italia e una delle più importanti nel mondo. Gli apicoltori di Conapi sono coltivatori di biodiversità e lavorano insieme alle api, creando le condizioni che permettono agli insetti di produrre mieli, pollini e prodotti apistici buoni e puliti. La Cooperativa rappresenta un modello completo di filiera del miele: dalla scelta dei territori, alla produzione in apiario, fino al confezionamento e alla commercializzazione del prodotto finito. Sono oltre 600 gli apicoltori e più di 75 mila gli alveari in tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia, da cui provengono mediamente oltre 2.500 tonnellate di miele.
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da ilpuntosalute | 5 Apr, 2016 | Nutrizione
La storia del cioccolato Modicano ha origini antichissime. La ricetta fu introdotta in Sicilia, e in particolare nella Contea di Modica, durante la dominazione spagnola dell’Isola nel XVI secolo. Furono proprio questi ultimi che sbarcati nel “nuovo mondo” appresero dagli Aztechi l’arte della preparazione del “Xocoàtl”.
Le fave di cacao erano macinate su di una pietra ricurva chiamata “metate” con uno speciale matterello, anch’esso di pietra. Successivamente la pasta così ottenuta veniva mescolata a spezie varie.
Nella Contea Di Modica, la ricetta fu “personalizzata” aggiungendo zucchero e spezie, come vaniglia e cannella, ottenendo così un prodotto che, oltre ad essere nutriente, era considerato anche un medicinale.
Col passare dei secoli questa ricetta andò per lo più in disuso; lo scrittore Leonardo Sciascia attestava la sua conservazione solo a Modica e ad Alicante, in Spagna, descrivendo il prodotto ottenuto: “Di inarrivabile sapore… che sfiora l’assoluto”.
Il cioccolato rappresentava allora un tale lusso che veniva servito esclusivamente nelle corti e nei salotti nobiliari. La ricetta è riuscita ad arrivare immutata sino ai nostri giorni senza mai passare alla fase industriale.
Il cioccolato di Modica si differenzia dagli altri per la particolare lavorazione “a freddo”, cioè a bassa temperatura, senza subire il concaggio. Così facendo, la pasta di cacao mantiene tutte le sue caratteristiche organolettiche e in più non si fonde con lo zucchero, in una vera e propria lavorazione a crudo. All’impasto vengono poi aggiunti: cannella, vaniglia o altre spezie. Il risultato? Un cioccolato fondente, un po’ granuloso, privo di grassi vegetali aggiunti e con un’ottima consistenza.
Gli ingredienti che troviamo in un cioccolato di qualità sono: fave di cacao, zucchero, burro di cacao e leticina di soia. La CE (Comunità Europea) ammette la presenza di altri grassi vegetali, oltre al burro di cacao, fino a un max del 5%; esempi di tali surrogati sono il burro d’illipè, di karité, il kokum, quello prodotto dall’olio di palma, di colza e di mango e il grasso di shorea.
In conclusione si potrebbe affermare che in genere un cioccolato Modicano tende ad avere meno grassi di un comune cioccolato e che sia anche leggermente meno calorico.
Oggi, si stanno facendo i passi per l’introduzione del Cioccolato di Modica negli elenchi IGP (Indicazione Geografica Protetta) del Ministero delle Politiche Agricole e della relativa Commissione Europea.
Camilla Guiggi,
Assaggiatore Chocolier dell’Istituto Internazionale Chocolier
IL CIOCCOLATO BIOLOGICO, LAVORATO A FREDDO, È DA PREMIO OSCAR
Antiossidante, adattogeno, stimolante sessuale, antidepressivo e immunostimolante sono le proprietà del cacao esaltate nella linea di 6 barrette biologiche di cioccolato modicano Qualità della Vita. Per preservare al massimo le straordinarie qualità funzionali del cacao, i prodotti Sabadì sono realizzati con materie prime provenienti da presidi Slow Food o da commercio equo e solidale, e creati attraverso l’innovativa lavorazione a freddo.
“La pasta amara di cacao è sciolta a una temperatura massima di 42 gradi centigradi e posta in una macchina temperatrice, con l’aggiunta di zucchero e altri ingredienti miscelati a una temperatura che viene abbassata progressivamente per stabilizzare il burro di cacao presente nell’impasto – afferma Simone Sabaini, fondatore dell’azienda –. In seguito, il prodotto è inserito in forme e fatto ulteriormente raffreddare”. Il cioccolato solidificato è avvolto con un confezionamento primario in flow pack e successivamente negli astucci destinati alla vendita. Le barrette Sabadì si possono definire cioccolato funzionale biologico, in quanto si tratta di prelibatezze create con altre sostanze naturali allo scopo di esaltare le proprietà nel prodotto madre, garantendo un alto valore nutrizionale.
Ottimismo, Sesso, Ozio, Salute, Bellezza e Giovinezza sono i nomi delle barrette di cioccolato ideate da Simone Sabaini in collaborazione con Ambrosia Lab, impresa spin-off dell’Università di Ferrara guidata dal Professor Manfredini, direttore del dipartimento di Scienze Farmaceutiche.
Giovinezza è un cioccolato biologico arricchito con bacche di açaí, rosa canina, arancia rossa, estratto di acini d’uva e di tè verde. Ricerche scientifiche attestano che circa 7 grammi di cioccolato Giovinezza soddisfano il fabbisogno giornaliero di antiossidanti. Grazie alle sue proprietà, la barretta si è contraddistinta nella categoria cioccolatini modicani durante la cerimonia finale del Salon du Chocolat che si è tenuta nel capoluogo lombardo, aggiudicandosi La Tavoletta d’Oro, l’Oscar al cioccolato italiano di qualità secondo le valutazioni della Compagnia del Cioccolato.
Il cioccolato di Modica si differenzia dagli altri cioccolati in quanto non contiene burro di cacao aggiunto. Così, si ottiene un prodotto meno grasso, che lascia sempre il palato molto pulito, e che si presta maggiormente agli abbinamenti e a innovative sperimentazioni.
L’amore per la ricerca ha condotto Simone Sabaini ad abbinare il cioccolato con il tabacco Kentucky, un progetto straordinario ma lasciato cadere per vincoli di legge legati al tabacco, e all’ideazione del nuovo e originale cioccolato affinato in barrique. “Dopo oltre un anno di sperimentazione abbiamo messo a punto una tecnica che consente di affinare il cioccolato in barrique – riferisce Sabaini –. Un modo nuovo di far dialogare il cioccolato con il mondo del vino, dei distillati e delle birre”.
La sperimentazione è iniziata con una barrique di Marsala di Marco de Bartoli e la realizzazione avviene con un processo lavorativo complesso che prevede l’affinamento di materia prima e semilavorato in diversi stadi. “La componente grassa presente naturalmente nel cacao (burro di cacao) ha la caratteristica di assorbire per migrazione odori e aromi dall’ambiente esterno – afferma il fondatore –. Partendo da questa caratteristica del cacao e dei suoi derivati, nasce l’idea di un nuovo processo di lavorazione che consente al cioccolato di assorbire le componenti aromatiche di vino e distillati mediante l’affinamento nelle botti in legno”.
Tale variante di cioccolato è pensata per abbinare il dolce al vino stesso, con l’obiettivo finale di creare a Modica la prima cantina al mondo per l’affinamento del cioccolato in barrique. Le prime squisitezze sono già pronte e disponibili per la vendita nel nuovo spazio Sabadì a Modica, Corso San Giorgio, 105.
Sperimentazioni culinarie e innovazioni tecnologiche consentono al brand di proporre cioccolatini originali, gustosi e biologici che soddisfano il palato dei più golosi.
Simone Lucci
Simone Sabaini, veronese di nascita, dopo un esperienza nel mondo della finanza, decide di cambiare vita. Lavorando per quattro anni in Altromercato, Sabaini ha l’opportunità di collaborare a stretto contatto con produttori di cacao e zucchero in Sud America, un’esperienza che lo porta a trasferirsi a Modica dove fonda Sabadì, con l’obiettivo di elevare il livello qualitativo del cioccolato di Modica, convinto delle sue grandi potenzialità in termini di gusto. Simone Sabaini decide di produrre un cioccolato di Modica lavorato a freddo e senza burro di cacao aggiunto, che si mantiene lucido e compatto, con una forte persistenza del cacao e senza una troppo invadente percezione di zucchero. Il forte tasso di innovazione in tutti i prodotti proposti, unita alla selezione maniacale della materia prima (biologica, da presidi slow food ed equo solidale), portano Sabadì in soli 3 anni a essere presente nei più importanti Department Stores del lusso del mondo e a essere distribuito in più di mille negozi di eccellenza in Italia.
da ilpuntosalute | 15 Mar, 2016 | Nutrizione
L’aroma di caffè che si diffonde ogni mattina nelle cucine di molte famiglie è il rito quotidiano del risveglio più diffuso a cui pochi sono disposti a rinunciare. Amato o attaccato per i suoi presunti effetti negativi sulla salute, il caffè è da sempre tra le bevande più consumate al mondo e se assunto in dosi moderate non crea effetti negativi. Talvolta, può prevenire l’insorgenza di alcune patologie e aumenta, persino, l’attesa di vita. Proprio come affermano i risultati presentati da esperti e dall’ica, Associazione Italiana Caffè.
“Il consumo di caffè non implica rischi particolari per la salute – afferma Gianpaolo Gensini, Professore Ordinario Medicina Interna e Presidente del Centro Studi di Medicina avanzata –. Negli anni recenti, un ampio studio del National Institute of Health condotto in 229.119 uomini e 173.141 donne dai 50 ai 71 anni ha permesso di rilevare una riduzione della mortalità totale e una diminuzione di patologie cardiocerebrovascolari, diabete, infezioni, traumi e incidenti”.
Dopo 9.400 studi scientifici, dal 1990 in poi, si hanno conoscenze più approfondite sul caffè che è stato eletto alimento importante all’interno di una sana ed equilibrata alimentazione. “È dimostrato che se bevuto nelle dosi consigliate di circa 300 mg (ovvero 4-5 tazzine di espresso, 3-4 di tazzine preparate con la moka o 2,5 tazze di caffè americano), il caffè non produce alcun effetto negativo sull’individuo sano, grazie anche al suo potere antiossidante – afferma Amleto D’Amicis, Direttore UO INRAN –. Per la cirrosi epatica e per il diabete, l’alimento può svolgere un’importante azione preventiva”.
Le modalità con cui vengono effettuati molti studi non sono spesso univoche, perché variano in base alla grandezza della tazza (ovvero la quantità di bevanda), al tipo di miscela o al metodo di preparazione presi in esame. Da qui spesso nascono problemi di interpretazione, soprattutto negli studi epidemiologici.
Negli ultimi 20 anni, numerosi studi epidemiologici hanno associato il consumo di caffè all’insorgenza di neoplasie, riportando però risultati inconsistenti. “Ricerche scientifiche hanno evidenziato che il consumo di caffè può proteggere l’organismo dal tumore al colon-retto, al fegato e all’endometrio – riferisce Sabina Sieri, ricercatrice in Epidemiologia Nutrizionale Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano –. I risultati ottenuti oggi sono sorprendentemente positivi rispetto al passato, quando bere caffè era considerata un’abitudine poco sana. Infatti, i dati non mostrano una correlazione tra il consumo di caffè e il rischio di sviluppare un tumore”.
Sono importanti anche le novità per quanto riguarda il rapporto tra caffè e sistema cardiovascolare. “Gli effetti sulla salute cardio-vascolare sono stati studiati prendendo in esame il consumo della bevanda in relazione alle singole componenti del caffè – spiega Luca Scalfi, Professore Ordinario di Fisiologia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II –. Le ricerche cliniche di epidemiologia nutrizionale e le relative meta-analisi indicano che l’assunzione di caffè in dosi adeguate riduce l’insorgenza di malattie cardiovascolari. Restano da identificare con più certezza le componenti responsabili di tale effetto”.
Per chi soffre di malattie gastroenteriche, l’alimento svolge un’azione protettiva. “Consumare caffè protegge dal rischio di incorrere in malattie croniche del tratto gastrointestinale e del fegato – dichiara Daniele Del Rio, Professore Associato di Nutrizione Umana presso l’Università degli Studi di Parma –. Noi ricercatori e clinici dobbiamo compiere un ulteriore sforzo per comprendere a pieno la complessità della relazione tra il consumo di caffè e la salute, disegnando ricerche di laboratorio e studi sull’uomo per confermare e rafforzare i progressi ottenuti fino a oggi”.
Sono stati effettuanti anche studi più tecnici in termini di varietà e tostatura. Del caffè e dei chicchi si conoscono il profumo e le diverse varietà, come Arabica e Robusta. Ma di cosa è fatto un chicco di caffè, quale è il suo DNA? “Il DNA di un chicco di caffè contiene le informazioni necessarie per lo sviluppo di nuove tipologie, e varia costantemente da una specie all’altra, permettendo la distinzione tra Arabica e Robusta, oltre a identificare varietà diverse all’interno delle due categorie – specifica Giorgio Graziosi, Professor of Coffee Genetics all’Università di Trieste –. La maggior parte del DNA viene danneggiata durante i procedimenti di tostatura e macinazione. Per prevenire il danno sono nati metodi di recupero di una sufficiente quantità di DNA, consentendo di eseguire prove di identificazione di specie”.
Tostatura e torrefazione sono due processi imprescindibili per ottenere il caffè, processi che modificano la natura del chicco. “La torrefazione è l’iniezione di energia termica nei chicchi di caffè verde che crea una quantità di composti chimici non presenti allo stato crudo, per tale motivo un accurato controllo delle condizioni di tostatura è fondamentale – riferisce Marino Petracco, Ingegnere Chimico e docente scientifico all’Università del Caffè di Trieste –. Molti composti che si ottengono sono importanti per l’aspetto sensoriale (colore, aroma…) che rendono il caffè gustoso, altri agiscono sulla fisiologia del consumatore che possono essere visti sotto una luce più o meno favorevole”.
Grazie ai benefici della bevanda, l’appuntamento mattutino con la tazza di caffè per cominciare la giornata sarà irrinunciabile. Ora non bisogna far altro che scegliere: arabica o robusto?
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 24 Feb, 2016 | Nutrizione
Tartare e carpacci di tonno, salmone, spigola e ricciola agli agrumi di Sicilia. Uramaki al pistacchio con pesce cotto, pesto di pistacchio all’interno e all’esterno granella di pistacchio. Uramaki alla Norma con melanzane, ricotta salata e pomodoro di Pachino. Queste alcune delle prelibatezze proposte da Sushicatania. Abbinamenti un po’ insoliti che verranno presentati in una location altrettanto inusuale: a 1.550 metri s.l.m., al rifugio Patascoss di Madonna di Campiglio, una località turistica della provincia di Trento.
Lo stravagante chef di Sushicatania, che unisce l’antica tradizione culinaria giapponese agli ingredienti provenienti dalla cucina mediterranea, sperimenterà, inoltre, contaminazioni con funghi ed erbe di montagna, e con i prodotti tipici della buona cucina trentina. La Val Rendena, infatti, è patria di origine dell’omonima vacca da latte, che qui gode di verdi pascoli, e della Spressa delle Giudicarie, un formaggio Dop e a fermentazione naturale. Ampia la scelta di salumi: il salame all’aglio della Val Rendena, la lucanica, lo speck, il cacciatore e la pancetta di Caderzone, le salamelle fresche e la carne salada (una sorta di carpaccio stagionato). Numerose, poi, le aziende agricole specializzate nella produzione di miele.
Le insolite proposte culinarie andranno in scena dal 27 febbraio al 9 marzo, e le contaminazioni avverranno in collaborazione con i cuochi del rifugio e del famoso ristorante Pappagallo di Campiglio, gestito dalla famiglia Papa, i cui membri sono soci e direttori della Scuola di Sci 5 laghi.
E per quanto riguarda le bevande: Spiazzo, paese nella verde Val Rendena, è noto per la distillazione delle radici di Genziana, Imperadoria e Ginepro, a questi distillati, unici nel loro genere, verranno affiancati i vini siciliani, prodotti sul vulcano Etna. L’Etna D.O.C. Bianco della pluripremiata cantina Benanti e i vini naturali, un rosso e un rosato, de “I custodi delle vigne dell’Etna”, cantina seguita da Salvo Foti, prestigioso enologo che ha fatto rinascere la viticoltura di qualità sull’Etna.
Sushicatania e l’evento nascono dalla creatività di Marco Marinetti, un avvocato romano che, con maestria da grande chef, ha mixato le sue passioni: la cucina giapponese, la Sicilia e la montagna. È così che il sushi incontra la tradizione siciliana e il suo vino.
da ilpuntosalute | 27 Gen, 2016 | Nutrizione
Purifica la pelle, dona luce ai capelli opachi, aiuta la digestione, normalizza la glicemia, è un alleato contro l’accumulo di grassi, cura le ferite, è utile per il mal di denti, contro le punture di insetti, è un potente anticalcare, lucida i vetri, sgrassa il bucato e le stoviglie, questi sono solo alcuni degli effetti benefici e delle virtù dell’aceto.
Oggi, grazie anche alla dieta mediterranea, l’aceto si rilancia come condimento naturale dal basso contenuto calorico (3.1 Kcal per 10 ml.) capace di portare nella nostra alimentazione equilibrio e armonia, salute e benessere, secondo quanto è emerso anche durante il primo convegno internazionale sugli aspetti scientifici, storici e gastronomici dell’aceto di vino, organizzato dall’Università di Torino nel 1990. Oltre al contenuto calorico molto ridotto rende più digeribili i cibi.
Le proprietà dell’aceto sono infinite e se ne può beneficiare anche prendendone un cucchiaio a digiuno, ogni mattina.
L’aceto svolge un’azione anticancerogena preventiva e “stabilizza” le vitamine E e C. Spegne la sete, aggredisce la febbre, assale le infezioni, mitiga le infiammazioni. Imbevuta d’aceto e masticata lentamente, una zolletta di zucchero fa cessare il singhiozzo e calma la pertosse.
L’aceto, inoltre, disinfetta piccole piaghe e scottature superficiali. Libera il naso tappato dal raffreddore e la testa appesantita dall’aria viziata. Annulla le punture di insetti e rende inoffensive le morsicature delle meduse.
Per il mal di denti il segreto è far bollire uno spicchio d’aglio in un bicchiere d’aceto. Si ottiene un decotto tiepido con cui ci si sciacqua tenendolo in bocca e insistendo sul punto dolorante.
Per i capelli ogni traccia di grasso scompare usando, per sciacquarli, acqua tiepida e aceto. Li rende anche morbidi, vaporosi, lucenti e combatte il formarsi dei pidocchi.
Per tossi subdole e insistenti che solleticano la gola e impediscono il sonno, niente di più indicato che tenere sul comodino un bicchiere d’acqua dove sono stati diluiti due cucchiaini di aceto di mele.
L’aceto porta con sé, dagli antichi egizi fino a oggi, innumerevoli impieghi in molteplici ambiti, prima di essere un condimento è dunque un “promotore di salute”.
L’aroma stimola le proteine di alcuni succhi gastrici e prepara l’organismo alla corretta digestione, i sali minerali contrastano l’insufficienza biliare e facilitano l’assorbimento delle vitamine, l’acidità è affine alle sostanze acide che il nostro corpo utilizza per espellere i grassi e i carboidrati, e accelera il metabolismo.
Due le tipologie:
L’aceto classico viene realizzato tramite la fermentazione del vino. In questo lasso di tempo i batteri Acetobacter ossidano l’etanolo presente nel vino che, in presenza di aria, innestano il processo di trasformazione in acido acetico. L’aceto è ricco di minerali quali: potassio, ferro, zinco, calcio, rame e sodio.
L’aceto di mele possiede un’alta concentrazione di vitamine A, B, C, D, E, K e J.
La realizzazione dell’aceto di mele è composto da due fasi: il succo di mela viene lasciato fermentare all’interno delle botti in modo da trasformarsi in sidro. Il cambio di stato da sidro ad aceto di mele viene innescato tramite l’inserimento dei batteri Acetobacrter nelle botti.
L’aceto di mele diventa protagonista di molte ricerche che hanno dimostrato diversi benefici. È utile per:
– diminuire il gonfiore addominali,
– stimolare il metabolismo e al contempo attenuare il desiderio di dolce, il che comporta la stabilizzazione del peso,
– favorire il drenaggio delle cellule adipose, causa della pelle a buccia d’arancia,
– alleviare i dolori articolari e contrastare la formazione di calcoli,
– contrastare la proliferazione delle cellule tumorali in quanto ricco di ditriterpenoidi contenuti nella buccia delle mele,
– fare i vapori.
Filari di vite e piantagioni di mele cospargono il territorio italiano che permettono di produrre degli ottimi aceti contenenti tutte le proprietà organolettiche.
Precisione, passione ed esperienza permettono, a diverse imprese di realizzare un prodotto dal marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta).
Un esempio di tradizione, innovazione e competenza, dal lontano 1867, è quello della famiglia PONTI.
Coltivare il gusto è per Ponti un impegno totale verso la qualità che coniuga la genuinità della natura con la tecnologia più avanzata nei processi produttivi.
Antonella Strozzi
PONTI
L’attività della famiglia Ponti comincia nel 1867 a Sizzano, in provincia di Novara, con il fondatore Giovanni Ponti, agricoltore e produttore di vino e aceto. In 150 anni dalla nascita, l’impresa si è sviluppata ed è divenuta Gruppo.
Cinque gli stabilimenti e quattro poli produttivi (Ghemme, Dosson di Casier, Anagni e Vignola) hanno la capacità di imbottigliamento giornaliera di 450 mila bottiglie su una superficie totale di 150 mila mq per un turno di lavoro di otto ore.
Coltivare il gusto significa, per Ponti, un impegno totale verso la qualità che coniuga la genuinità della natura con la tecnologia più avanzata nei processi produttivi.
Impianti iper tecnologici, automazione e innovazione sono i capisaldi della famiglia Ponti che si avvale di: robot antropomorfi per palletizzazione e depalletizzazione, raggi x per controllare il contenuto di ogni vasetto, navette-trenino senza uomo a bordo che movimentano i pallets di prodotto finito.
Il Sistema Qualità della Ponti, i cui cardini sono sicurezza alimentare, tracciabilità e rintracciabilità del lotto di produzione, copre tutti gli stabilimenti del Gruppo. Viene convalidato con le certificazioni internazionali BRC (British Retail Consortium) Global Standard, IFS (International Food Standard), Organic & Organic NOP (BIOAGRICERT), AIB International, Gost R Certification e UKR-SEPRO.