da ilpuntosalute | 16 Mar, 2015 | Informazioni mediche
Farmaci biologici e farmaci biosimilari, simili ma non identici; cautela nel considerare automaticamente valide per il biosimilare tutte le indicazioni approvate per il biologico; libertà per i medici di prescrivere la terapia più appropriata; informazione corretta al paziente e suo coinvolgimento nel percorso di cura; diritto a mantenere la stessa terapia una volta iniziata la cura.
Sono questi i capisaldi del “Manifesto dei diritti e dei bisogni” sui farmaci biosimilari presentato di recente a Roma. L’iniziativa è promossa da un gruppo di Associazioni dei pazienti decise a far sentire anche la propria voce su un tema di grande attualità.
“Lo scopo del Manifesto è duplice: da un lato, far presente il problema a livello istituzionale e tenere alta l’attenzione affinché il paziente riceva le giuste informazioni; dall’altro, sostenere il medico prescrittore affinché si senta supportato a prescrivere il farmaco più appropriato secondo scienza e coscienza”, dichiara Antonella Celano, Presidente di A.P.MA.R. Onlus, Associazione Persone con Malattie Reumatiche Onlus.
Uno dei punti di maggiore discussione riguarda la possibile equivalenza tra un farmaco biologico originatore e un farmaco biosimilare. Come riconosciuto dalle norme dell’Ente Regolatorio europeo (EMA) e italiano (AIFA), complessità molecolare e aspetti inerenti l’immunogenicità rendono farmaci biologici e biosimilari simili ma non identici. Di conseguenza i due tipi di farmaco non sono interscambiabili e non vale per loro il principio della sostituibilità automatica. “L’EMA ha necessariamente dovuto fare riferimento al concetto di biosimilarità, poiché i farmaci biosimilari sono molecole complesse di natura proteica che si possono produrre solo per mezzo di processi di sintesi biologica – afferma Corrado Blandizzi del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università degli Studi di Pisa – tali processi sono inevitabilmente soggetti a fattori di variabilità che possono determinare la biosintesi di molecole proteiche simili ma, di fatto, non identiche. Molecole simili, ma non identiche, della stessa proteina-farmaco potrebbero indurre effetti diversi sia in termini di efficacia sia di sicurezza”.
Ma che cosa sono i farmaci biosimilari?
Con il termine biosimilare viene indicato un medicinale simile a un prodotto biologico di riferimento già autorizzato nell’Unione Europea per cui sia scaduta la copertura brevettuale.
Nel settembre 2012 l’EMA (European Medicine Agency) ha diffuso un documento in cui è fornita la seguente definizione: “Per medicinale biosimilare si intende un medicinale sviluppato in modo da risultare simile a un medicinale biologico che è già stato autorizzato (il cosiddetto medicinale di riferimento)”.
Il principio attivo di un biosimilare e quello del suo medicinale di riferimento è lo stesso, tuttavia possono essere presenti differenze dovute alla loro natura complessa e alle tecniche di produzione. Un biosimilare viene approvato quando è stato dimostrato che la sua variabilità naturale ed eventuali differenze rispetto al medicinale di riferimento non producono significative differenze di efficacia e sicurezza rispetto al farmaco originator. (Questions and Answers on biosimilar medicines EMA/837805/2011 del 27 settembre 2012).
I farmaci biologici (sia originatori che biosimilari), per la variabilità intrinseca delle molecole e per la complessità delle tecniche di produzione, sono particolarmente difficili da caratterizzare e da riprodurre. Per tutte queste ragioni, il farmaco biosimilare e il suo prodotto di riferimento, essendo ottenuti mediante modalità differenti, non sono identici, ma simili in termini di qualità, sicurezza ed efficacia. La sicurezza nel lungo termine dei farmaci biosimilari è valutata tramite il monitoraggio e la segnalazione degli eventi avversi, per la quale l’identificazione esatta e senza ambiguità di un farmaco è essenziale. L’EMA ha deciso però di utilizzare un unico numero identificativo (INN) per il farmaco biologico originatore e per il biosimilare, i quali non sono uguali per definizione, complicando moltissimo la tracciabilità di questi farmaci.
Ciò di cui si discute è se, una volta iniziata la terapia con un farmaco biologico, si possa imporre, magari per ragioni economiche, il passaggio al biosimilare, il cosiddetto “switch”: gli specialisti sottolineano il valore della continuità terapeutica ovvero l’opportunità di non modificare la terapia già in corso con un farmaco biologico. “Il medico ha già a disposizione tutti i farmaci prescrivibili e non c’è la necessità clinica di averne uno uguale a quello già usato. I biosimilari nascono da un’esigenza economico-sociale. L’arrivo sul mercato dei biosimilari non comporterà il cambiamento automatico di tutte le terapie in corso con i farmaci originatori. Le motivazioni economiche e sociali dovranno armonizzarsi obbligatoriamente con le esigenze cliniche dei singoli pazienti”, dichiara Giovanni Lapadula, Direttore Dipartimento Interdisciplinare di Medicina (DIM), Università degli Studi di Bari e Professore ordinario di Reumatologia, Università degli Studi di Bari .
Il timore per i pazienti è che esigenze di risparmio possano condizionare la possibilità e il diritto di accedere alle migliori terapie disponibili. Ecco che, dalla collaborazione di diverse Associazioni, nasce il Manifesto e tocca i punti salienti e più “caldi” della questione dei biosimilari. “Gli aspetti sui quali chiediamo venga fatta chiarezza, sono molto semplici, non astratti: efficacia e sicurezza del biosimilare, accesso omogeneo al trattamento e corretta informazione – afferma Stefania Canarecci, Presidente A.M.I.C.I. Lazio – Associazione Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali Onlus –. Quest’ultimo punto è importantissimo, non solo perché il paziente ha diritto di essere adeguatamente informato sul possibile trattamento con un biosimilare, ma anche perché l’informazione contribuisce a rafforzare il legame medico-paziente e a scegliere il farmaco migliore per la sua salute in un’ottica di condivisione. Auspichiamo che le Istituzioni comprendano il nostro messaggio e ci aiutino a fare chiarezza.
Antonella Celano, Presidente A.P.MA.R. – Associazione Persone con Malattie Reumatiche Onlus, risponde ad alcune domande sul Manifesto sui farmaci biosimilari.
APMAR Onlus, insieme ad altre Associazioni di pazienti, ha redatto e promuove il Manifesto dei diritti e dei bisogni dei pazienti sui farmaci biosimilari, che ha come punti chiave sicurezza, efficacia, omogeneità di trattamento e corretta informazione. Perché le Associazioni di Pazienti hanno ritenuto opportuno promuovere una simile iniziativa?
La principale missione delle Associazioni dei pazienti è essere al servizio dei cittadini-pazienti-utenti. Oggi tra i pazienti c’è molta preoccupazione per il prossimo arrivo dei biosimilari sul mercato: per questo un pool di Associazioni ha deciso di confrontarsi con gli specialisti e di impegnarsi per assicurare il diritto dei pazienti ad avere i migliori trattamenti disponibili con la garanzia dell’efficacia, della sicurezza e dell’equità di accesso. L’arrivo sul mercato dei biosimilari, che hanno un costo inferiore ai biologici, ci impone di capire le problematiche che questi farmaci potrebbero comportare come ad esempio l’estrapolazione delle indicazioni, o la sostituibilità automatica.
Per le Associazioni dei pazienti è doveroso ottenere le rassicurazioni necessarie sugli effetti di questi farmaci, che devono rispondere ai requisiti e ai criteri di benessere e di salute dei pazienti. Lo scopo del Manifesto è quindi duplice: da un lato, far presente il problema a livello istituzionale e tenere alta l’attenzione affinché il paziente riceva le giuste informazioni; dall’altro lato sostenere il medico prescrittore affinché si senta supportato a prescrivere il farmaco più appropriato secondo scienza e coscienza.
L’utilizzo dei farmaci biosimilari, pur essendo considerato un fattore di equità perché riduce i costi della spesa sanitaria e libera risorse, solleva però alcune perplessità tra i pazienti rispetto alle garanzie di efficacia e sicurezza: i pazienti percepiscono oggi il rischio che valutazioni di carattere economico possano essere messe davanti al diritto ad accedere al miglior trattamento disponibile?
In passato, il Servizio Sanitario Nazionale, fondato sull’universalismo, poteva offrire tutto a tutti; da alcuni anni tuttavia l’esiguità delle risorse costringe il Sistema a gestire al meglio quello che c’è. Ci auguriamo che la maggior parte dei pazienti utilizzatori di biologici siano ben aggiornati e che non prevalgano considerazioni di tipo economico. Ma non tutti i pazienti hanno gli strumenti adeguati per capire certi meccanismi, non tutti sono informati e preparati, esistono diverse tipologie di pazienti: c’è quello più istruito, capace di fare le domande giuste al medico curante e c’è il paziente che non si informa o che è timido e non chiede niente durante l’incontro con il clinico, salvo poi chiamare l’Associazione per avere chiarimenti. Dovere e compito delle Associazioni dei pazienti è vigilare, soprattutto a vantaggio dei pazienti che non hanno ricevuto adeguate informazioni e quindi non possono essere a conoscenza delle varie problematiche legate ai biosimilari. Ricordiamo che ancora oggi, sebbene sia molto cambiato, il rapporto medico-paziente non è un rapporto alla pari. La consapevolezza dei pazienti sull’alternativa tra farmaco biologico o biosimilare dipenderà molto da quanto gli stessi medici si spenderanno per informare il paziente su tutte le implicazioni di questa scelta.
Nella discussione intorno ai farmaci biologici e biosimilari uno dei temi più sensibili è quello della continuità terapeutica, che potrebbe essere pregiudicata nello switch da originator a biosimilare: quali sono le preoccupazioni del punto di vista dei pazienti?
La nostra maggiore preoccupazione è che il medico nello switch invece che da biologico a biologico, passi da biologico a biosimilare. Come Associazioni vogliamo e chiediamo che AIFA mantenga fede a quanto ha scritto nel Position Paper, ossia che deve essere sempre garantito e mantenuto il principio della continuità terapeutica. Solo nei pazienti naïve che non hanno ricevuto un trattamento con il biologico, il medico può prescrivere il biosimilare, fermo restando che lo stesso medico deve avere la libertà di scegliere anche in questi casi, e che dovrebbe prescrivere il biosimilare, solo in presenza di evidenze su efficacia e sicurezza del farmaco.
FederAsma e Allergie Onlus – Federazione Italiana Pazienti, Associazioni di pazienti che sostengono la lotta all’asma e alle allergie.
Acto onlus – Alleanza contro il tumore Ovarico, Associazione italiana impegnata nella lotta contro il tumore ovarico.
L’A.DI.PSO., Associazione per la Difesa degli Psoriasici.
ALAMA (Associazione Laziale Asma e Malattie Allergiche) aderisce a FederASMA e ALLERGIE Onlus – Federazione Italiana Pazienti.
AM.I.C.I. Lazio Onlus, Associazione Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali
A.P.MA.R. Associazione Persone con Malattie Reumatiche ONLUS – Ente di Volontariato
Parent Project onlus, Associazione che si rivolge a bambini e ragazzi affetti dalla distrofia muscolare di Duchenne e Becker
Salute Donna Onlus, Associazione per la prevenzione e la lotta ai tumori femminili
A.M.R.E.R., Associazione Malati Reumatici Emilia Romagna
AIMA, Associazione Italiana Malattia di Alzheimer
FEDIOS, FEDERAZIONE ITALIANA OSTEOPOROSI E MALATTIE DELLO SCHELETRO
A.I.NET, Vivere la Speranza – Amici di Emanuele Cicio, è l’Associazione Italiana Tumori Neuroendocrini e delle Neoplasie Endocrine Multiple.
NPS Italia Onlus, Network Italiano di persone Sieropositive
da ilpuntosalute | 10 Mar, 2015 | Informazioni mediche
Il tumore della prostata è una patologia peculiare dell’età avanzata, al punto da essere considerato l’orologio biologico “cattivo” del processo d’invecchiamento. La prostata è una ghiandola, grande quanto una noce, che fa parte del sistema riproduttivo maschile. Il cancro della prostata è la crescita incontrollata di cellule neopla-stiche all’interno della ghiandola. Queste cellule per crescere e svilupparsi necessitano del testosterone, un ormone maschile. Talvolta le cellule tumorali prostatiche possono uscire dalla ghiandola e invadere altri organi o strutture dell’organismo, più frequentemente ossa e linfonodi, in questi casi si parla di “carcinoma prostatico avanzato, o metastatico”. Il tumore della prostata è la forma di tumore più diffusa tra gli adulti di sesso maschile e rappresenta il 20% di tutti i tumori tra gli uomini di età superiore ai 50 anni. È rimasto a lungo orfano di farmaci efficaci, ma di recente l’AIFA ha dato il via libera a enzalutamide, un farmaco indicato per i pazienti affetti da carcinoma della prostata avanzato resistente alla castrazione dopo fallimento della chemioterapia. Si tratta di un agente ormonale di ultima generazione che inibisce in modo selettivo il recettore degli androgeni (testosterone), “motore” del carcinoma prostatico, migliorando in modo significativo la sopravvivenza, con un impatto positivo sulla qualità di vita grazie al buon profilo di tollerabilità, sicurezza e maneggevolezza. Il farmaco, a somministrazione orale, è dispensato dal Servizio sanitario, in fascia “H”, dietro ricetta non rinnovabile dei Centri ospedalieri o degli specialisti. Enzalutamide rappresenta un enorme passo in avanti nel trattamento del carcinoma prostatico metastatico resistente alla chemioterapia perché blocca in maniera potente e duratura nel tempo il recettore degli androgeni. A differenza di altre terapie farmacologiche antiandrogene, che riducono ma non azzerano i livelli circolanti di testosterone, enzalutamide si lega in maniera potente e prolungata al recettore degli androgeni, ripristinando un controllo sulla cellula tumorale prostatica e inducendone in alcuni casi la morte.
I risultati dello studio AFFIRM, condotto in doppio cieco e pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 2012, hanno dimostrato che la differenza in termini di frequenza di eventi avversi nei pazienti trattati con enzalutamide rispetto a quelli trattati con placebo è minima. Si registra un lieve aumento della stanchezza, delle vampate di calore e, raramente, della cefalea. Il farmaco presenta quindi un buon profilo di sicurezza e tollerabilità e ha migliorato la qualità di vita dei pazienti del 43%, secondo il punteggio del questionario somministrato ai pazienti durante il trial: percentuale questa non irrilevante, considerata la gravità della malattia. Lo studio ha inoltre dimostrato che enzalutamide è in grado di contrastare la crescita del tumore e delle metastasi, migliorando in maniera statisticamente significativa la sopravvivenza globale (4,8 mesi) rispetto al placebo (18,4 vs 13,6 mesi), con miglioramento della sopravvivenza libera da progressione radiografica, in pazienti che si dimostravano non più responsivi all’ormonoterapia tradizionale e alla chemioterapia.
Paolo Marchetti (Professore ordinario di Oncologia Medica, Sapienza Università di Roma, Direttore U.O.C. Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma) ci spiega meglio la patologia.
In Europa il tumore della prostata è il tipo di neoplasia più diffusa nella popolazione maschile dopo i tumori cutanei. Quali sono le caratteristiche di questo tumore? Come si manifesta? Quali sono l’incidenza e i principali fattori di rischio?
Il tumore della prostata è una neoplasia tipica dell’età più avanzata: potremmo definirla quasi una sorta di orologio biologico in negativo del fisiologico processo d’invecchiamento. Numerosi studi autoptici condotti in soggetti sopra gli 80 anni, deceduti per cause non neoplastiche, rivelano la presenza di focolai tumorali prostatici. Questo sta a significare che la ghiandola prostatica è un organo molto incline alla trasformazione neoplastica a causa dell’invecchiamento: purtroppo, se in molte persone la patologia non si manifesta clinicamente, alcuni soggetti sviluppano il tumore. Classicamente, la fascia d’età più colpita è quella dopo i 70 anni; tuttavia nell’ultimo decennio, sia per un miglioramento delle indagini diagnostiche che della diagnosi precoce, assistiamo alla comparsa di tumori della prostata in età precedente, tra i 60 e i 70 anni e, seppure rarissimo, qualche caso prima dei 60 anni. Il tumore della prostata è caratteristicamente ormono-sensibile agli androgeni, tant’è vero che la malattia regredisce asportando i testicoli o somministrando farmaci che riducono i livelli di testosterone. Per quanto riguarda i sintomi, la patologia si manifesta con difficoltà a urinare e sangue nelle urine, quasi sempre quando è già in fase avanzata. Si tratta della neoplasia più frequente tra i maschi adulti, rappresentando il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età nell’uomo. Ogni anno si registrano 42.000 nuovi casi e 8.000 decessi e questi numeri sono in aumento anche a motivo della diagnosi precoce più frequente e per il cambiamento degli stili di vita. Il primo fattore di rischio è l’invecchiamento, seguito dalla dieta troppo ricca di grassi e dalla scarsa attività fisica. Bisogna comunque tener presente che un 5-10% dei tumori prostatici è genetico-ereditario, con maggiore frequenza tra i più giovani; mentre la familiarità è presente nel 25% di casi. Fattori protettivi, da non sottovalutare, sono le vitamine D, A e gli antiossidanti.
Quali sono generalmente l’evoluzione e la prognosi della patologia? Cosa si intende per “forma metastatica resistente alla castrazione”?
Lasciato a se stesso, il tumore della prostata evolve e metastatizza portando ad exitus. Oggi però, grazie ai trattamenti chirurgici e farmacologici, la sopravvivenza dei pazienti è di circa l’88% a 5 anni dalla diagnosi, con una prognosi che possiamo definire favorevole se la neoplasia viene diagnosticata precocemente e trattata in maniera integrata. La forma metastatica resistente alla castrazione, intesa come tumore resistente alla deprivazione degli androgeni, concetto fondamentale emerso di recente, è più complessa, ma si riesce a superare tale ostacolo grazie alle nuove prospettive terapeutiche basate su farmaci non solo chemioterapici e che rispettano, anche e soprattutto, la qualità di vita del paziente.
Uno dei problemi del tumore della prostata è il ritardo della diagnosi, che in circa il 10-20% dei casi arriva nella fase già avanzata: quali sono i fattori che ostacolano un riconoscimento tempestivo della malattia?
Il motivo principale per cui il tumore della prostata viene di solito diagnosticato tardivamente risiede nella natura del tumore stesso: questo cancro infatti origina e cresce nella parte più esterna della ghiandola prostatica, il cosiddetto mantello, e le alterazioni che innesca non danno segni della loro presenza se non quando il tumore è molto cresciuto. Altro ostacolo alla diagnosi tempestiva è proprio la carenza di indagini diagnostiche che segue un gradiente Nord-Sud nel Paese. Inoltre lo stesso dosaggio del PSA può rivelarsi uno strumento diagnostico ingannevole, in quanto spesso evidenzia forme tumorali che magari non avrebbero mai dato problemi. Ecco perché lo screening va sempre eseguito in accordo con il proprio medico curante e i risultati devono essere interpretati con molta cautela.
Come si sviluppa la collaborazione tra urologo e oncologo? Che importanza ha l’approccio multidisciplinare, sia nella fase che precede la diagnosi sia nel successivo percorso di cura?
La collaborazione tra le diverse figure specialistiche deve iniziare subito, dal momento in cui si ha il sospetto di neoplasia prostatica. Parlare di approccio multidisciplinare può dare l’idea che il paziente sia una sorta di pacco postale, trasferito da uno specialista all’altro a seconda del momento e della necessità. Così non deve essere. Quel che interessa noi medici è una collaborazione interdisciplinare stretta all’interno di un gruppo competente che includa tutte le figure specialistiche necessarie e in grado di offrire la valuta
da ilpuntosalute | 3 Mar, 2015 | Sport
La velocità non è pericolosa. Più forte vai, prima raggiungi il punto in cui sei finalmente al sicuro. Nel 1954, questo era il mantra di Maurice Trintignant, pilota automobilistico francese di Formula 1. A distanza di sessant’anni, questo motto risulta attualissimo nel descrivere Simone Origone, il campione mondiale di sci di velocità. Si tratta dell’ex chilometro lanciato (KL), nome con cui lo stesso sportivo ama continuare a definire questa disciplina: specialità sciistica che consiste nello scendere da un pendio in forte inclinazione nel minor tempo possibile. Tale pratica non è ancora riconosciuta a livello olimpico, ma al giovane atleta della nazionale italiana, membro della FISI (Federazione Italiana Sport Invernali), ha portato grandi vittorie, gioie e riconoscimenti. Origone è vincitore di cinque titoli mondiali, otto vittorie nella classifica finale di Coppa del mondo e 31 successi di tappa. L’ultimo successo? Il Mondiale di velocità di Pas De La Casa/Grandvalira, ad Andorra, in cui conquista la medaglia d’argento, il 2 marzo 2015.
Origone, classe 1979, è valdostano, originario di Champoluc; nella sua carriera si possono riscontrare anche momenti difficili, ma ciò non gli ha impedito di stabilire 2 record mondiali in questa disciplina. Il primo lo raggiunge, a Les Arcs, nel 2006 con una velocità di 251,400 km/h e, otto anni dopo la straordinaria impresa, supera il suo stesso record: 252,454 km/h, a Vars in una pista con un dislivello di 495 metri, una pendenza massima del 98% con una media del 52%, una lunghezza pari a 1220 metri, con partenza da 2715 metri e arrivo a 2220 metri.
Origone è l’uomo più veloce del mondo senza l’ausilio di un motore. I successi dello sciatore sono frutto del talento, dell’allenamento e dell’utilizzo di una strumentazione innovativa: una tuta rossa come la Ferrari, ricoperta in PVC e liscia come l’aria, un casco lunare da cui si vede poco, scarponi numero 49 e sci lunghi 238 centimetri e pesanti 14 chilogrammi per essere stabile in pista. Un equipaggiamento creato e testato nella Galleria del vento da Simone Origone, a Cervinia, in Valle d’Aosta, regione in cui è nato e dove ha iniziato a muovere i primi passi della sua carriera.
QUANDO LA PRIMA VOLTA SUGLI SCI?
Come per tutti i bambini che abitano in montagna, intorno ai 3 anni. A Champoluc, in Valle d’Aosta dove vivo ancora adesso. Mio papà ha fatto l’allenatore per trentacinque anni, quindi non vedeva l’ora di mettermi sugli sci. In famiglia, siamo tre fratelli e una sorella, e più o meno abbiamo iniziato tutti alla stessa età. Lui ci ha trasmesso la passione per lo sci.
TUO PADRE HA AVUTO UN RUOLO FONDAMENTALE PER LA TUA CARRIERA?
Lui è stato allenatore di bravi campioni, come Tiziano Bieller, che si è infortunato da giovane e nonostante ciò ha vinto un titolo mondiale assoluto nello slalom. Fin da bambini, mio padre ci ha parlato di campioni come Piero Gros, Gustav Thoeni, Jean Claude Killy. Quando sei piccolo sciare è un gioco, un divertimento. A scuola, in prima elementare eravamo sei alunni, e più o meno tutti frequentavamo lo sci club. Per mio padre era fondamentale che andassi a sciare e ad allenarmi.
COM’È NATA LA TUA PASSIONE PER LE DISCIPLINE VELOCI, E IN MODO PARTICOLARE PER IL CHILOMETRO LANCIATO?
Crescendo la passione per lo sci è aumentata. Ho iniziato a fare le gare, come tutti i bambini, nel circuito per i baby, e ho praticato il gigante, il gigante slalom, poi il sub gigante slalom Super-G, e intorno ai 15/16 anni anche la discesa libera. Col tempo mi sono appassionato di discipline veloci grazie a Bruno Seletto, che mi ha allenato quando gareggiavo per lo sci club Cervino. È stato lui a propormi questa disciplina raccomandandomi di tenerla in considerazione il giorno in cui avessi smesso lo sci alpino.
QUANDO HAI INIZIATO A PRATICARE LO SCI DI VELOCITÁ A LIVELLO PROFESSIONALE?
Nella stagione 1998/1999, intorno ai 18/19 anni, sono entrato nel Centro Sportivo Esercito, ma a causa di problemi di salute sono stato congedato. Io avevo vissuto da sportivo per anni, per cercare di emergere nello sci alpino, e di colpo ho capito che non avrei potuto continuare: che le gare erano finite. È stato un momento difficile. Allora sono partito, e per 3/4 anni mi sono dedicato completamente al corso da guida alpina, ma gareggiare sugli sci mi mancava. Avevo la curiosità del chilometro lanciato, così sono stato in Francia per provare un allenamento. Da lì è iniziato tutto. Ora il chilometro lanciato è una parte integrante della mia vita. È molto importante, anche se non vivo di questo in quanto sono maestro di sci, guida alpina ed elisoccorritore.
QUANDO SEI ENTRATO IN FISI?
Nel 2003 ho provato a fare il chilometro lanciato in FISI. Successivamente mi sono iscritto a una gara di materiale di serie, una disciplina simile al chilometro lanciato in cui l’atleta pratica la discesa libera con tuta e casco normali, vincendo e sfiorando il record del mondo in quella categoria. Il direttore tecnico della nostra squadra, Alberto Monticone, chiese a me e all’amico con cui avevo partecipato a questa gara se fossimo interessati a fare degli allenamenti e a provare a entrare nella squadra di KL. Così, dal 2004, ho iniziato a partecipare a tutte le gare di sci di velocità passando alla categoria maggiore e vincendo la mia prima Coppa del Mondo.
CI SI ABITUA ALLA VITTORIA?
Ci sono dei momenti in cui mi sento in forma, tutto diventa facile e vinco. Ho avuto periodi in cui potevo fare quello che volevo: il giorno prima della gara uscivo a divertirmi, tornavo alle quattro del mattino, e il giorno seguente vincevo la competizione. Il problema è quando sei in crisi e devi uscirne per tornare a vincere. Bisogna capire dove si sta sbagliando. Una sconfitta la ricordo per molto più tempo rispetto a una vittoria, perché brucia per mesi o magari anche per anni. Il trionfo è molto più facile da gestire. A vincere non so se ci si abitua.
QUALE ALLENAMENTO SVOLGI PER ESSERE SEMPRE IN FORMA E PREPARATO ALLE GARE?
Solitamente mi alleno sei giorni alla settimana. In media, quando non scio, frequento la palestra due ore tutti i giorni, mentre quando pratico l’allenamento sportivo sugli sci aggiungo 1/1.30h alla preparazione. In inverno, mi alleno sempre tre ore. In estate faccio la guida alpina in alta montagna, cammino tantissime ore con i clienti e per la mia disciplina è un po’ controproducente perché fare uno sforzo lungo e lento provoca un calo del peso, della massa muscolare e della forza. A me piace molto fare sport di resistenza. Uso la mountain bike e mi esercito con i pesi per mantenere la forza.
PER UNO SPORTIVO È MOLTO IMPORTANTE L’ALIMENTAZIONE?
L’alimentazione è importantissima per ottenere la forza e la massa che serve. Se non mi nutro correttamente l’allenamento non funziona e non ho i risultati che spero. Assumo molte proteine, molti carboidrati, e ho una reintegrazione equilibrata in orari precisi. Per allenarmi bene devo stare sempre nello stesso posto: quando sono a casa riesco a mangiare come un orologio svizzero. Il problema è quando inizio a viaggiare per impegni, allora comincio a nutrirmi in orari differenti e tutto risulta più complicato.
TI ALLENI CON I TUOI COMPAGNI?
Io mi alleno da solo o con mio fratello, con il quale condivido la stanza durante le gare, in quanto al momento non ho un allenatore che segue la mia preparazione. Con mio fratello, ci alleniamo nella stazione di Champoluc dove abitiamo, dato che il monte Rosa Ski ci dà la possibilità di salire sulle piste prima che aprano al pubblico, e riusciamo a fare quattro o cinque prove su pista. A volte trascorriamo giornate intere a Cervinia o a Les Arc, in Francia, per degli allenamenti veri. Sono i più proficui. Due o tre volte all’anno, ci alleniamo con la squadra, anche se è difficile far combaciare gli impegni di tutti e sette i componenti del team.
OLTRE ALLA CONCENTRAZIONE E ALLA PREPARAZIONE ATLETICA COS’ALTRO REPUTI IMPORTANTE PER VINCERE UNA GARA?
La positività, anche se qualche volta è difficile trovarla. Essenziali sono pure i materiali: bisogna curare tutti i minimi particolari, tutto deve essere al massimo. È molto importante l’aerodinamica, come in Formula 1. In Formula 1 non basta il pilota migliore, c’è bisogno anche del materiale migliore. Se non hai una strumentazione adeguata difficilmente raggiungi un record o una vittoria.
COS’È PER TE LA VELOCITA’?
La velocità mi piace, mi affascina, e sugli sci cerco di andare il più veloce possibile.
CHE EFFETTO TI FA SENTIRTI DEFINIRE ‘L’UOMO PIU’ VELOCE DEL MONDO’?
Mi dà tanta soddisfazione e ripaga dei tanti sacrifici che faccio. Io mi definirei fortunato.
CHE COS’È PER TE LA PAURA?
La paura è un sentimento umano e normale, che tutti hanno. E quindi è giusto averla ogni tanto.
DURANTE LE COMPETIZIONI DI KL NON HAI PAURA, TI VIENE PRIMA. NELLA VITA DI COS’HAI PAURA?
Di invecchiare.
DOVE TIENI I TUOI TROFEI?
La maggior parte dei miei trofei sono all’Hotel Sertorelli, a Cervinia. Ci sono le mie 8 coppe del mondo e 5 medaglie mondiali. Il resto lo conservo a casa.
QUANTO CONTA LA FREDDEZZA? E QUANTO INCIDE IL CARATTERE NEL MOMENTO IN CUI SEI IN GARA?
È importante essere determinati, io sono una persona determinatissima. Nel momento in cui voglio una cosa lavoro fino a ottenerla. La freddezza in alcuni frangenti è importante, soprattutto in una disciplina come la mia, quando si vuole battere un record mondiale. Nel mio sport spesso l’istinto di conservazione frena, ma un vero campione deve superare questo limite e andare oltre per potersi davvero distinguere. Nel chilometro lanciato non penso a rallentare, ma ad accelerare… forse è questo che mi distingue.
Simone Origone è uno sportivo che ha fatto della velocità la sua arma vincente, che non può permettersi di rallentare ma deve continuare a dare gas, proprio come una Ferrari, per regalare nuovi record e nuove vittorie a se stesso e all’Italia, nazione che lui rappresenta sempre con onore.
Clementina Speranza e Simone Lucci
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da ilpuntosalute | 3 Mar, 2015 | Nutrizione
Linguine al pesto, baccalà, ravioli di pesce e verdura, taglierini all’astice, spaghetti alle vongole, risotto al radicchio, dentice agli agrumi, cotoletta alla milanese e dolci di ogni genere sono soltanto alcuni dei piatti che si consumano durante l’anno. Depuravita realizza prodotti specifici per purificarsi. Il ciclo depurativo si può iniziare in qualsiasi periodo dell’anno, con l’assunzione di succhi freschi preparati al momento dell’ordinazione e da consumare entro le successive 72 ore.
Depuravita, una linea di succhi pensati per detossinare l’organismo e caricarlo di nuova energia, nasce dalla passione per il benessere e il vivere sano di Sandra Nassima. Le bevande Depuravita sostituiscono l’alimentazione per un periodo di tempo limitato e liberano l’organismo dalle tossine. Lo scopo del brand è creare succhi ricchi di: vitamine, sali minerali e antiossidanti, con ingredienti di stagione che derivano da imprese biologiche e biodinamiche, senza l’aggiunta di conservanti, dolcificanti e additivi chimici. Gli ingredienti dei succhi sono abbinati in base al gusto, al colore e alla quantità di nutrienti, per consentire al corpo di ricevere un maggior beneficio.
I prodotti Depuravita non sono centrifugati, ma ottenuti dalla spremitura a freddo che consente di mantenere invariati e di preservare i nutrienti della frutta e della verdura. A differenza delle lame delle centrifughe, la spremitura a freddo lavora a una velocità inferiore, estrae il succo e mantiene invariato il contenuto di vitamine, sali minerali, enzimi e fitoenzimi.
Germoglio, Bosco, Nuvola, Sole, Rubino, Prato sono i sei fiabeschi nomi dei succhi della linea Depuravita.
Germoglio è adatto per iniziare la giornata, in quanto alcalinizza l’organismo nei periodi di maggior acidità, tonifica lo stomaco e bilancia i succhi gastrici grazie al limone e al sale dell’Himalaya. Bosco è un concentrato di frutta e verdura verde con un’azione depurativa, da assumere a metà mattinata. All’ora di pranzo, Nuvola dà l’energia per affrontare il resto della giornata. Il succo è realizzato con mandorle, nocciole e uva passa, frutti ricchi di proteine. Dopo pranzo, Sole risulta un toccasana per: intestino, cervello e sistema immunitario. Carote, mela e pompelmo rosa tonificano l’intestino e supportano il sistema immunitario, mentre il peperoncino velocizza gli scambi cellulari. Rubino è adatto per il pomeriggio, momento ideale per rinforzare il sistema circolatorio e l’apparato urinario. I frutti rossi hanno proprietà diuretiche e capillare-protettrici, mentre l’ananas previene i ristagni linfatici. Dulcis in fundo, Prato è adatto per ridurre lo stress, un succo a base di melone bianco, cetriolo, lattuga e menta idratano la pelle e accompagnano il corpo verso il mondo dei sogni.
Online è possibile trovare differenti programmi depurativi in base alle esigenze. One Day Detox, Detox Classico e Detox Profondo sono trattamenti che hanno una durata che varia da uno a cinque giorni.
Depuravita pianifica, anche, programmi speciali:
Matrimonio in vista, un trattamento di nove giorni per le future spose;
Green Detox, un programma drenate, disintossicante e dimagrante di tre giorni;
Active Detox, rivolto a coloro che vogliono un menù purificante, senza trascurare l’attività sportiva.
Depuravita, inoltre, mette a disposizione dei clienti i consigli della nutrizionista olistica Veronica Pacella e del personal trainer Roberto Carella, per avere suggerimenti personalizzati.
Successivamente alle giornate disintossicanti, la nutrizionista consiglia di riprendere la naturale alimentazione, priva di prodotti confezionati e ricca di 5/7 porzioni di frutta e di verdura al giorno. Per una sana alimentazione si preferiscono: cereali integrali, legumi, uova e talvolta carne e pesce provenienti da allevamenti controllati, mentre è sconsigliata l’assunzione di latticini, birra, pane e alimenti lievitati.
I succhi depurativi possono essere abbinati alla linea di zuppe Depuravita. Dopo il successo di Squash, la zuppa a base di zucca lanciata in autunno, arriva Velvet, una passata di lenticchie rosse, carote, cipolla, sedano e prezzemolo. Velvet ricarica l’organismo di proteine per garantire un alto tasso di digeribilità ed evitare fastidiose fermentazioni. Le lenticchie contengono flavonoidi e niacina, dalle proprietà antiossidanti benefiche per la tutela del sistema immunitario e per il rallentamento dell’invecchiamento cellulare. Depuravita è pronta ad ampliare la proposta di zuppe introducendo nuove ricette originali dedicate agli appassionati di juicing più esigenti, ma anche alle personalità gourmet.
Depuravita consente di prendersi cura del proprio organismo in modo sano e naturale. Il corpo umano è un tempio e come tale va curato e rispettato, sempre. A distanza di secoli, questo aforisma di Ippocrate risulta attualissimo.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 11 Feb, 2015 | Benessere
A innamorati e non, Assomensana (Associazione non profit di neuropsicologi impegnati nell’anti-aging dell’intelletto) propone “10 esercizi del sorriso” e “7 semplici passi” dell’American Heart Association, che giovano a psiche e organismo.
In occasione della Festa più glamour dell’anno, Assomensana lancia un messaggio, in particolare agli innamorati, riguardante la coppia più inossidabile che c’è, cuore e mente: “prendetevi cura dell’uno attraverso l’altra, e viceversa!”. Infatti il legame tra i due protagonisti della vita umana è innegabile e indissolubile. Secondo le ultime ricerche scientifiche, mente e cuore si influenzano a vicenda, tanto che se uno dei due sta male, anche l’altro ne risente.
A lungo termine, un cuore in salute garantisce condizioni cognitive migliori e una mente sempre brillante mantiene “più elastico” il meccanismo cardiovascolare. Diventa perciò importante occuparsi di entrambi, contemporaneamente e il più presto possibile. “Chi festeggia San Valentino ha una marcia in più per fare del bene a cuore e mente – suggerisce il professor Giuseppe Alfredo Iannoccari, presidente Assomensana -. Quando si è innamorati, attiviamo cuore e mente, si vede la vita con occhiali ‘rosa’ e l’ottimismo dato dall’amore predispone a raggiungere agevolmente il traguardo della longevità fisica e intellettuale. Il senso di felicità e di appagamento non aumenta solo il benessere psicologico ma riduce anche i rischi di problemi cardiovascolari. Del resto, un cuore che batte per un sentimento amoroso, rende più pronta e lucida la mente e il pensiero positivo rinforza il cuore. Per questo motivo, noi di Assomensana invitiamo tutti a eseguire i nostri 10 simpatici esercizi mentali, che incentivano il sorriso, come fare le boccacce davanti allo specchio. Certamente in coppia si ottengono risultati migliori, dal momento che insieme ci si diverte, l’uno sostiene l’altro e, soprattutto, si parte da un livello già alto di buonumore e di ottimismo, connessi alla passione. Un grande studio dell’Università dell’Illinois finanziato dai National Institutes of Health e condotto su 5.100 adulti, ha dimostrato che, rispetto ai pessimisti, chi vede ‘roseo’ ha il doppio delle possibilità di avere un cuore sano. Non a caso gli ottimisti manifestano livelli di glicemia e di colesterolemia migliori, fanno più attività fisica, fumano meno e conservano una bella linea”.
Ma per mantenere in forma cervello e cuore, oltre a impegnare la mente in sorrisi e risate, con il metodo Assomensana, è necessario occuparsi della salute cardiovascolare secondo i “Life’s Simple 7” proposti dall’AHA-American Heart Association. “I sette passi si basano su quattro comportamenti di salute modificabili, tra cui quello di non fumare – precisa Iannoccari -. Un punteggio basato su tutte queste sette componenti rappresenta il grado in cui i comportamenti di un individuo e i fattori di salute sono in accordo con un ottimo stato cardiovascolare. Inoltre gli studiosi hanno visto che i soggetti con un cuore non in salute presentano una probabilità di manifestare deficit della memoria doppia rispetto a chi si prende ‘a cuore’ il proprio cuore con uno stile di vita adeguato. Le abilità cognitive maggiormente colpite risultavano essere la memoria e l’apprendimento. Obiettivo dell’Ente americano è quello di arrivare nel 2020 a ridurre del 20% le vittime di malattie cardiache nella popolazione del Paese”.
E allora, avanti di tutto cuore, a San Valentino!
I 10 ESERCIZI DEL SORRISO DI ASSOMENSANA
- trovare almeno due spiegazioni “alternative e bizzarre” ai diversi eventi;
- giocare a eliminare dal proprio lessico le parole negative come “no”, “non”, “senza”, “nessuno”, “negativo”, “pochino”, “dramma”, “disastro”, “tragedia” ecc. e cercare di spiegare lo stesso concetto utilizzando un linguaggio costituito da parole dal contenuto positivo come “certamente”, “con piacere”, “grande”, “favorevole”, “d’accordo” ecc.;
- rievocare una situazione divertente e ripensarla nei minimi dettagli, ricordando anche come ci si sentiva in quei momenti, senza altre riflessioni o esprimere giudizi;
- guardarsi allo specchio e fare cinque facce strane, mantenendole per 10 secondi ciascuna;
- mettere una matita tra i denti e guardarsi allo specchio per 20 secondi (l’attivazione della muscolatura facciale, costretta ad assumere l’atteggiamento del sorriso, è sufficiente per comunicare al cervello che stiamo sorridendo, modificando positivamente lo stato d’animo);
- circondarsi di persone positive e divertenti, giocando ad assecondarle, entrando in sintonia con il loro modo di esprimersi;
- quando si guarda una fotografia, immaginare tre possibili interpretazioni buffe che possono spiegare la situazione rappresentata;
- scegliere una parola e associarvi cinque caratteristiche positive;
- guardare il bicchiere “mezzo pieno” (in realtà il bicchiere è sempre pieno: oltre al liquido, l’altra metà è riempita dall’aria!);
- ricordarsi che le persone con un buon umore, ottimismo ed emozioni positive vivono di più e si ammalano di meno!
7 PASSI DELL’AHA (American Heart Association)
- Non fumare;
- avere una sana alimentazione;
- fare una moderata attività fisica;
- stare entro il corretto indice di massa corporea;
- mantenere valori normali di pressione arteriosa;
- avere livelli ideali di colesterolo;
- presentare valori regolari di glicemia.
n.b.: Ad ogni parametro è stato assegnato un punteggio di 0 (il peggiore), 1 o 2 (il migliore). La somma totale, che può andare da 0 a 14, definisce il grado di salute del cuore.
(www.assomensana.it)
da ilpuntosalute | 6 Feb, 2015 | Sport
Sei titoli mondiali, 4 Europei, 10 Coppe del Mondo Assolute, 59 vittorie in Coppa del Mondo, 57 in Singolo, due ori, un argento e tre bronzi alle Olimpiadi, per un totale di sei medaglie olimpiche consecutive. Nessuno prima di lui è mai riuscito in un’impresa come questa. Lui è Armin Zoeggeler, il più grande slittinista in singolo, il migliore al mondo. Di recente ha ricevuto anche il premio come miglior atleta dell’anno F.I.S.I. 2014.
L’ultimo riconoscimento che ha ricevuto è stato il Cristallo d’Oro 2014, durante Skipass a ModenaFiere, l’evento che inaugura l’apertura della stagione degli sport invernali, inoltre l’Arma dei Carabinieri lo ha recentemente nominato Maresciallo.
Il pluri campione nasce a Merano il 4 gennaio 1974, cresce a Foiana in Alto Adige. Lui stesso si racconta e svela i progetti per il futuro in questa intervista.
Con voce emozionata, ha annunciato il suo ritiro dalle competizioni durante la conferenza stampa, che si è svolta all’Expo Gate, in occasione della tappa milanese di FISI in tour. Il campione ha premesso che la decisione di allontanarsi dalle gare, nel momento più esaltante della sua carriera, è avvenuta dopo aver parlato con la famiglia, gli allenatori, il CONI e dopo aver riflettuto a lungo. Zoeggeler ha affermato che durante la sua lunga carriera ha sempre seguito l’istinto, la sensazione gli si è presentata al termine delle ultime Olimpiadi, e lui l’ha ascoltata. Ha ringraziato la Federazione e gli sponsor che l’hanno sempre sostenuto.
“Armin si contraddistingue per la sua razionalità, è il nostro più grande atleta di tutti i tempi”, afferma Carlo Mornati, vice segretario del CONI, anche lui presente ad applaudirlo.
Hai annunciato il tuo ritiro come atleta di competizione, ti dedicherai ad allenare nuovi atleti, oltre che collaborare con la FISI per ricerca e sviluppo di nuovi materiali. Cosa bisogna trasmettere a un futuro possibile campione e a degli appassionati?
L’obiettivo è portare avanti la nostra disciplina, i nostri giovani e trovare i migliori materiali da mettere a disposizione degli atleti.
Desidero trasmettere la mia passione e la mia esperienza.
Quanto è pericoloso sfrecciare su uno slittino a 140 (o più) km orari?
Io dico sempre che non è così pericoloso. Un atleta deve essere preparato molto bene: quando si è ben preparati i rischi sono minimi.
Che emozioni ti ha regalato la velocità?
Mi ha regalato molto. La scarica di adrenalina mi diverte, mi appassiona tantissimo andare preciso e veloce.
Cos’è per te la paura?
Lo dico sempre: “Paura” nel nostro sport è una parola sbagliata. È importante il rispetto per quello che si fa. Io ho sempre rispettato questo sport e ogni discesa, quando perdi il rispetto allora subentra la paura e di conseguenza il pericolo.
Quali sono le caratteristiche personali che ti hanno portato a vincere così tanto?
Precisione, disciplina, passione.
Come ti sei avvicinato a questo sport?
Con i miei genitori e più in generale con la mia famiglia, perché sono grandi appassionati di slittino.
Perché hai scelto proprio lo slittino tra tutti gli sport sulla neve?
Nel paese da cui provengo molte persone praticano slittino e da bambino imitavo i più grandi. Ho iniziato a 5/6 anni a praticare lo slittino su strada e ho partecipato a diverse gare fino a 14 anni. Poi ho deciso di praticare questa disciplina olimpica su pista artificiale.
Quando inizia la carriera professionistica?
A 14 anni sono entrato a far parte del team junior per slittare fino a 16/17 anni, poi in squadra A, dove ho praticato questo sport a livello professionale.
Come ti preparavi fisicamente e mentalmente a una gara?
La preparazione inizia in estate, prima della gara mi concentro sulla pista perché bisogna conoscerla perfettamente a memoria. È necessario programmare ogni movimento che cambia la traiettoria dello slittino. La partenza è fondamentale, mentre la parte mentale è supportata dalla memoria visiva della pista.
Quali sono i tuoi punti forti e deboli (se ci sono) in pista?
Il mio punto forte è la discesa, il debole è invece la partenza, negli ultimi anni non sono stato in grado di partire così veloce come i miei avversari.
L’allenamento è uguale durante l’anno, per le competizioni olimpiche, per i mondiali, o modifichi qualcosa?
Si inizia l’allenamento e la preparazione durante l’estate e si continua durante l’inverno quando si va sulla pista ghiacciata. L’allenamento a secco è un po’ noioso, ci si allena con i pesi, mentre sul campo sportivo si simula la partenza, che è un momento fondamentale durante le competizioni. Quando slitto su ghiaccio mi concentro e cerco di farlo nel miglior modo possibile.
Con l’esperienza ho cercato un sistema che mi portasse avanti nella mia disciplina.
Hai praticato qualche altro sport?
Io sono cresciuto sulla slitta e ho praticato pochissimo altri sport. Un po’ di atletica leggera, di calcio e snowboard.
Che effetto ti fa sentirti definire “una leggenda”?
Sicuramente mi fa molto onore, ma io non mi sento come una “leggenda”, lascio però che mi definiscano così.
E tu come ti definiresti?
Molto disciplinato, serioso e allegro quando sono fuori delle piste.
Cos’è per te il lusso? Il tuo lusso
Il lusso è la salute. Quando non è buona mi rendo conto di quanto sia importante. Il mio lusso è che sono sano e che ho una famiglia sana.
Arianna Eleonora Fiorini
da ilpuntosalute | 6 Feb, 2015 | Benessere
Per comprendere la psicologia femminile e ciò che le donne vogliono non è necessario ricorre alla depilazione e indossare calze di nylon, con il rischio cadere nella vasca insieme all’asciugacapelli, per svegliarsi, poi, con la consapevolezza di capire: what women want, come è accaduto a Nick Marshall nell’omonimo film.
Oggi, per scoprire quello che le donne vogliono è possibile scaricare sullo smartphone la nuova applicazione di Limoni e La Gardenia: What women want. L’app aiuta a indovinare i desideri di bellezza di ogni donna in quattro semplici mosse. Il primo passo, dopo la registrazione, è creare i profili delle women, selezionando le date importanti che le riguardano e i loro interessi. Subito dopo digitare la fascia di budget che si vuole dedicare. L’applicazione mostra una serie di proposte coerenti con gli interessi delle persone inserite nei profili e si può decidere se inserirlo fra i preferiti o prenotarlo direttamente in uno dei punti vendita Limoni e La Gardenia.
Per chi è meno tecnologico, Limoni e La Gardenia, per dirle ti amo a San Valentino, propongono un regalo perfetto per prendersi cura di lei.
Se la tua Lei fa una vita frenetica ridona nuova luce al suo viso con Wellmaxx estratto di mandorla dolce, un elisir di bellezza che regala una pelle da favola alla tua principessa, dopo una giornata stressante. Per donne dalla pelle delicata e sensibile, il prodotto ideale è Maison bio olio multitrattamento pelli secche e sensibili, che unisce l’olio di mandorle dolci ed estratti di calendula e elicriso.
Se la tua Lei ha poco tempo per sé e cerca prodotti facili da applicare, le prestigiose profumerie consigliano Aysse millésime eau de créme. Bastano infatti poche spruzzate per donare al corpo una sensazione di benessere e sollievo.
Per coccolare il corpo del tuo lui, invece, è possibile acquistare i nuovi trattamenti cosmetici che aiutano a contrastare il freddo e a mantenere la pelle impeccabile fino a sera. Il balsamo emolliente e protettivo Jack black lip balm intense therapy contrasta la disidratazione e le screpolature delle labbra, consentendo al tuo lui di avere la bocca morbida, pronta per essere baciata e alla fragranza di limone o menta. Il balsamo labbra è emolliente, idratante e protettivo. Il prodotto. Il cosmetico è realizzato con: burro di karitè, olio di avocado, vitamina E, tè verde, filtri UVA e UVB. Svolge, infatti, anche un’importante azione antiossidante. L’azione anti-lucido del Jack black oil-control lotion all day senza profumo e a rapido assorbimento, aiuta a combattere l’eccesso di sebo e a idratare la pelle. Caolino, nylon 12, cotone, vitamina E, estratto di rosmarino, estratto di foglie di aloe vera bio, amamelide sono i principi attivi della lozione.
Per tutti gli uomini che amano curare quotidianamente il corpo, la bellezza del viso è al primo posto. Mentolo, estratto di liquirizia, vitamina C, allantoina, microparticelle scrub sono gli ingredienti con cui è realizzato Alma k detergente viso esfoliante. Il cosmetico contiene nutrienti puri e rimuove delicatamente le impurità, rendendo la pelle liscia e pronta per essere accarezzata, anche dopo una lunga giornata di lavoro, mentre Alma k balsamo dopobarba nutriente regala alla cute un sollievo immediato e prolungato, grazie alla miscela di oli rivitalizzanti e la fresca fragranza di sandalo. Ingredienti che ripristinano la vitalità cutanea.
Ogni prodotto è realizzato con cura, attraverso una meticolosa selezione di ingredienti di alta qualità: estratti di origine vegetale, erbe curative e dal potere lenitivo, materie prime provenienti da produzione biologica certificata. Gli ingredienti vengono combinati tramite un’attenta lavorazione delle materie prime, con l’utilizzo di tecnologie innovative. I cosmetici sono ideati senza test su animali, testati dermatologicamente e privi di coloranti.
Proprio come le frecce di cupido anche i cosmetici delle profumerie Limoni e La Gardenia faranno breccia nei cuori di chi li usa, rendendo il giorno di San Valentino magico e indimenticabile.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 27 Gen, 2015 | Benessere
Molteplici leggende nascono attorno alla festa di San Valentino.
La più romantica narra la storia del vescovo Valentino che, mentre passeggiava nel suo vivaio, in lontananza udì due giovani fidanzati litigare. Valentino, con in mano una rosa si avvicinò agli innamorati e gli chiese di stringere il fiore tra le mani e di fare attenzione alle spine in segno di riconciliazione. Nel frattempo, il vescovo, pregava il Signore affinché mantenesse vivo in eterno il loro amore.
Qualche tempo dopo la coppia chiese al Santo la benedizione per il loro matrimonio.
Dal Medioevo ad oggi, ogni anno, il 14 Febbraio è il giorno dedicato alla manifestazione del il proprio amore all’amata o all’amato.
Dolcezza, unicità e originalità sono gli elementi che Bottega Verde, quest’anno offre a chi si affida a loro per festeggiare San Valentino.
Dolcezza: la vaniglia nera deterge delicatamente la pelle e le conferisce una fragranza raffinata.
Unicità: sul sito internet www.bottegaverde.it è possibile personalizzare il packaging del bagnoschiuma con una vostra fotografia a scelta.
Originalità: oltre all’inserimento dell’immagine sarà possibile modificarla con molteplici filtri e strumenti di perfezionamento o con l’inserimento di elementi decorativi.
L’iniziativa sarà disponibile fino al 1 Febbraio 2015. Tutte le informazioni dell’iniziativa sono disponibili sul sito internet www.bottegaverde.it
Antonella Strozzi
da ilpuntosalute | 23 Gen, 2015 | Nutrizione
Petali di rose, frutti di bosco e succo mirtillo: è la ricetta di una pozione magica per diventare più belle. Si sa, la magia non esiste, ma gli ingredienti usati nelle favole hanno davvero effetti benefici per il nostro organismo che, agendo dall’interno, sprigionano i loro “poteri”.
Nel 2014, Zuccari lancia sul mercato la linea Aloevera® composta da cosmetici e integratori alimentari. Il Succo Puro d’Aloe subisce una lavorazione particolare.
Scelta delle foglie, raccolta, lavaggio e decorticazioni sono azioni svolte interamente a mano senza aiuto di mezzi tecnici. La fluidificazione avviene a freddo e, grazie alla lunga preparazione, non necessita di pastorizzazione. Alla fine della filiera, troviamo il processo di Reversosmose® applicato per la prima volta all’Aloe vera. É un meccanismo, chiamato Osmosi, che non altera la bio-attività della materia prima. Una membrana costituisce un ostacolo che permette di separare l’acqua, concentrando così la materia prima ricca.
Molteplici sono i benefici del Succo Puro d’Aloe: lenisce il tratto gastro-digestivo e depura l’organismo.
Pesantezza, debolezza, mal di stomaco e gonfiore sono sintomi che corrispondono a un rallentamento dell’eliminazione delle scorie, spesso causato dallo stress. Per espellere le tossine in eccesso e purificare l’organismo, Zuccari ha ideato Detoxase® 10 days total body reset.
Questo programma detossificante è composto da dieci stick-pack, da diluire in mezzo litro d’acqua ciascuno. Assumere uno stick al giorno per cinque giorni consecutivi, sospendere l’assunzione per due giorni e infine proseguire con i restanti cinque.
Il Wasabi è l’ingrediente che fa del programma Detoxase innovativo: la scienza moderna ha dimostrato che si tratta di un potente antiossidante e un antibatterico efficace, grazie a un composto chiamato isotiocianato.
Sempre ideato in stick orosolubili viene presentata la linea Papaya bio-fermentata composta da 3 prodotti. I benefici della papaya fermentata sono l’azione antiossidante, la protezione dal rischio di incorrere nelle malattie cardiovascolari, favorisce la digestione e rafforza il sistema immunitario.
Papaya start-up® è un prodotto a base di pura Papaya fermentata arricchita di BioPerine®. Questo è un estratto naturale ricavato dal pepe nero con il compito di facilizzare l’assimilazione del prodotto. L’assunzione dello stick è utile nei periodi di maggior stress o debilitazione.
Esiste poi il prodotto tradizionale di Zuccari: la Papaya pura®, per un’immediata orosolubilità la granulazione è Optigram®, questo permette di non produrre, all’interno del cavo orale, una sensazione polverosa.
Nasce per rispondere a tutte le esigenze dei consumatori che si affacciano per la prima volta al mondo della Papaya bio-fermentata Papaya Pocket®. Al suo interno è possibile riscontrare tutti i benefici di questo frutto da poter portare agilmente in borsa o in valigia.
Zuccari nasce nel cuore del Trentino. L’azienda è specialista nell’Aloe e dal 2001 crea e propone ai consumatori una gamma di prodotti innovativi, frutto di una formula da loro brevettata. “Non voglio limitarmi a vendere prodotti, ma desidero coinvolgere i consumatori nella mia progettualità, responsabilizzandoli e diffondendo una cultura consapevole circa il loro benessere” afferma Stefano Sala, CEO & Founder di Zuccari srl.
Antonella Strozzi
da ilpuntosalute | 23 Gen, 2015 | Informazioni mediche
I polmoni sono due organi simmetrici, spugnosi, posti nel torace. La loro funzione è quella di trasferire l’ossigeno respirato al circolo sanguigno e depurarlo dell’anidride carbonica prodotta dall’organismo.
Il tumore del polmone compromette questa funzione in quanto provoca una crescita incontrollata di determinate cellule (quelle che costituiscono bronchi, bronchioli e alveoli) che possono costituire un massa che ostruisce il corretto flusso dell’aria, oppure provocare emorragie polmonari o bronchiali.
Non esiste un solo tipo di tumore del polmone bensì diverse tipologie di malattia a seconda del tipo di cellula da cui originano.
I bronchi, i bronchioli e gli alveoli polmonari sono ricoperti da un sottile strato di tessuto detto epitelio. Il 95% dei cancri al polmone origina proprio dall’epitelio e viene chiamato carcinoma broncògeno (ovvero originato dai bronchi). Nel restante 5% dei casi l’origine può essere a livello di tessuti diversi che compongono il polmone, per esempio i tessuti nervoso ed endocrino (in questo caso si parla di carcinoide polmonare di origine neuroendocrina) o linfatico (in questo caso si tratta di un linfoma polmonare).
Il tumore al polmone è ancora la neoplasia più diffusa in tutto il mondo ed è sempre la principale causa di morte per cancro, con oltre 1.180.000 decessi ogni anno. Novembre 2014 è stato il mese di sensibilizzazione mondiale sulla patologia e l’attenzione era puntata sul big killer e a 1.350.000 nuovi casi ogni anno: 38 mila le nuove diagnosi in Italia e la Regione Lombardia è al primo posto per incidenza con 7.200 nuovi casi l’anno (fonte AIRTUM 2014). In Europa sono stati attribuiti al tumore del polmone circa 375 mila casi nel 2000, che rappresentano il 20,3% delle morti per cancro. L’incidenza media stimata per una popolazione di 100.000 persone all’interno dell’Unione Europea (25 stati membri) è di 71,8 per gli uomini e 21,7 per le donne.
Da qualche anno si assiste a una rivoluzione, infatti, con gli strumenti di anticipazione della diagnosi oggi a disposizione, possiamo rovesciare questi numeri: oltre l’80% dei pazienti può essere operato con un intervento chirurgico conservativo e con una percentuale di sopravvivenza dell’85%. E anche quando la diagnosi non è tempestiva, le nuove frontiere della genetica hanno messo a disposizione farmaci fino a due volte più efficaci di quelli tradizionali.
Su queste premesse l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) lancia il “Programma Polmone”, che integra le competenze e gli strumenti di imaging, di chirurgia e di ricerca genetica per ridurre al minimo la tossicità delle cure, mantenendo il massimo di efficacia, anche negli stadi più avanzati della malattia.
Passaggio importante di questa strategia è il primo Lung Cancer Meeting organizzato dallo IEO il 26 novembre, nel quale esperti italiani e internazionali hanno fatto il punto sulle nuove strategie di cura in una visione di approccio personalizzato, che vede i pazienti seguiti attraverso percorsi diagnostico-terapeutici preferenziali, esclusivamente dedicati a questa forma di tumore.
“La Divisione di Chirurgia Toracica dello IEO opera mille casi l’anno, con una mortalità a 30 giorni dello 0,9% (dati Agenas) e si colloca in cima alle classifiche nazionali. Questi risultati sono possibili grazie al Programma Polmone che identifica un nuovo modo di gestire e curare il paziente con cancro polmonare: il paziente sta al centro, mentre un gruppo di specialisti gli ruota intorno, accompagnandolo passo dopo passo dal momento in cui arriva per la prima visita fino al follow up delle cure”, afferma Lorenzo Spaggiari, Professore di Chirurgia Toracica Università degli Studi di Milano e Direttore della Chirurgia Toracica dell’IRCCS Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano.
All’interno del Programma Polmone è stata avviata quest’anno una linea di ricerca chiamata “Tumore del Polmone Chemio-free” con l’obiettivo di disegnare per ciascun stadio di malattia, compreso quello più avanzato, una strategia terapeutica finalizzata a fare in modo di ridurre al minimo l’utilizzo della chemioterapia, a favore delle nuove terapie a bersaglio molecolare.
L’iniziativa si basa su dati ampiamente dimostrati in letteratura per il cancro polmonare non a piccole cellule (80% dei casi).
“Negli ultimi anni si sono acquisite importanti conoscenze sui meccanismi di crescita dei tumori polmonari. È stata fondamentale l’identificazione di alcuni oncogeni coinvolti nello sviluppo dei tumori polmonari non a piccole cellule, portatori di anomalie geniche che sono il bersaglio dei farmaci biologici, due volte più efficaci della tradizionale chemioterapia e con un profilo di tollerabilità molto superiore – sottolinea Filippo de Marinis, Direttore della Oncologia Toracica dell’IRCCS Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano -. Si stanno studiando molte mutazioni che interagiscono con la crescita del tumore al polmone e di cui la ricerca sta mettendo a punto sempre nuovi trattamenti. Quella che ormai conosciamo bene è la mutazione del gene EGFR, che si riscontra in circa il 14% dei pazienti con adenocarcinoma polmonare in fase metastatica e per cui sono a disposizione dei farmaci biologici specifici”.
Fattori di rischio
- Il fumo è associato con l’80% dei casi di tumore al polmone.
- Per quanto riguarda il fumo passivo, vi è un aumento del 20% della probabilità di sviluppare il tumore al polmone nei coniugi di fumatori.
- Episodi in famiglia di tumore al polmone.
- L’esposizione ad amianto e al gas radon.
- L’inquinamento atmosferico urbano e domestico (in particolare nelle case poco ventilate in cui vengono regolarmente bruciati i combustibili del carbone, del legno o di altri solidi) sono stati collegati con un aumento di rischio di tumore al polmone.
I sintomi
I sintomi più comuni del tumore al polmone non sempre si manifestano con chiarezza e possono essere comuni ad altre malattie. Ciò significa che i sintomi sono a volte trascurati, e questo è uno dei motivi per i quali molti pazienti si recano dal medico solo nella fase avanzata della malattia. Tuttavia, i sintomi più comuni del cancro al polmone sono:
- Mancanza di respiro e/o affanno.
- Tosse cronica e/o ripetuti attacchi di bronchite.
- Raucedine della voce, dolore toracico.
- Perdita di peso e di appetito senza una ragione apparente.
da ilpuntosalute | 22 Gen, 2015 | Sport
È risaputo che lo sport è benefico per la salute e migliora la qualità di vita. Previene e cura disturbi di diversa natura, mantiene in forma e diminuisce lo stress perché produce un aumento dei livelli di serotonina, un neuro trasmettitore definito l’ormone della felicità.
È arrivato l’inverno e le attività sportive più gettonate sono quelle sulla neve: sci e snowboard.
A presentare le ultime novità dell’universo degli sport per la stagione fredda, è stata la 21esima edizione di un evento annuale che si è svolto dal 30 ottobre scorso al 2 novembre a ModenaFiere.
Nei 15 mila metri quadrati degli spazi fieristici, erano presenti stands di brands sportivi: coloratissime tavole da snowboard e sci per tutti i gusti, non sono mancati scarponi, attacchi, mascherine, occhiali e caschi.
La Hacker USA ha proposto outfit fashion dalle tinte vivaci, sia per le piste che per il tempo libero.
Attualissimi e innovativi i tessuti tecnologici termici della linea Fight Cold, presentati dall’azienda giapponese Mizuno, che ha inventato un particolare underwear adatto alle temperature più basse: Breath Thermo, che produce calore tramite una fibra creata appositamente dalla ricerca giapponese.
La Salomon invece propone un total look contemporaneo per uomo, donna e bambino, con tecnologia Motion Fit, che unisce confort, estetica e ripara dai diversi climi.
L’azienda Fisher Sport, conosciuta a livello internazionale nel settore dello sci nordico, festeggia i suoi 90 anni sul mercato e ha presentato la nuova tecnologia Vacuum, che alla forma del piede, adatta lo scafo dello scarpone per lo sci da discesa e alpinismo, regalando così allo sportivo un totale confort.
Ranger 96, propone un nuovo sci dal nucleo in legno, che pesa il 25% meno rispetto ad altri, ma la compattezza e la capacità di torsione restano invariate.
La Gabel presenta tre modelli nuovissimi di bastoncini:
– X-Cursion Vario, resistente, rigido, leggero e in carbonio,
– G-Force Carbon, con tecnologia Gabel Click, che permette di sganciare velocemente il passamano,
– Silverster, che mantiene tecnica e qualità, a un prezzo moderato.
L’austriaca Atomic, che continua a capeggiare le vendite mondiali di scarponi, propone Hawx 2.0, che aggiunge un additivo alla modellatura a caldo: Memolink che regala una calzata personalizzata e permanente in soli 12 minuti. Tra le molteplici novità presentate propone lo sci Cloud Eleven Arc, sviluppato appositamente per le sciatrici, con struttura a “V” e dallo stile elegante.
A Modena Skipass, inoltre, suggerimenti di vacanze e idee di attività sulla neve. Il nuovo trend? Passare le vacanze in località sciistiche, senza però praticare sport, ma turismo enogastronomico d’autore, relax, e wellness.
Tra i luoghi nord americani più famosi era presente per la prima volta lo stand di Mammoth Lakes (California), considerato tra i 10 luoghi top per le vacanze bianche, nel suo programma non solo i classici sci e snowboard, ma anche lo snowmobiling (escursioni in motoslitta) e il dogsledding (slitte trainate dai cani).
Il Matching Day, riservato agli operatori del settore turistico bianco, ha permesso meetings tra espositori e buyers provenienti dal territorio italiano e dell’Europa dell’Est.
Inoltre, aperti ai visitatori: meeting, conferenze, convegni e workshop per aumentare le conoscenze sulla montagna.
Sulla pista innevata presente all’esterno, maestri di sci dell’Emilia Romagna, si sono resi disponibili gratuitamente per le lezioni ad adulti e bambini, lezioni e attrezzature per i vari tipi di discipline sciistiche Non sono mancati, inoltre, la pista per il pattinaggio sul ghiaccio, le pareti da arrampicata sportiva come la ruota girevole: il rotor e la boulder, che sono costruzioni specifiche per questo particolare sport.
Il simulatore di sci e snowboard Sky Tech VR, ha permesso al visitatore la scelta fra tre piste per provare l’ebrezza di un match in pista: slalom, slalom gigante e quella di Sochi per i più esperti.
Si sono svolte competizioni internazionali attesissime, come lo Snowboard Rail Jam, che ha visto un podio di atleti italiani capitanati da Marco Grigis. Mentre per gli amanti del freestyle, il torneo Street Fighter, vinto da Dennis “Bonus” Leontyev proveniente da San Pietroburgo.
Skipass ha promosso eventi sportivi dedicati anche ai diversamente abili, con la Giornata Paraolimpica che si è svolta il 31 ottobre.
Alla fiera di Modena hanno partecipato gli atleti F.I.S.I. (Federazione Italiana Sport Invernali) e la leggenda dello sport italiano Armin Zoeggeler, il più grande slittinista in singolo.
Presente anche Simone Origone, l’uomo più veloce del mondo, che ha stabilito nel 2014 il nuovo record nel Kilometro Lanciato: 252,454 Km orari.
Due novità importanti sono state annunciate durante la conferenza stampa della F.I.S.I. di giovedì 30 ottobre a Skipass, una dal Presidente del Coni Giovanni Malagò, che riguarda l’aumento di fondi stanziati dal CONI al mondo degli sport olimpici: 20 milioni di euro.
L’altra è stata annunciata dal Presidente della FISI Flavio Roda. “La Federazione sta portando avanti un progetto a livello nazionale. L’obiettivo è coinvolgere gli studenti e gli insegnanti di educazione fisica e avvicinarli alla preparazione delle discipline invernali, all’educazione ambientale e all’alimentazione, con stage intensivi nei luoghi di allenamento degli atleti e a stretto contatto con i campioni”, precisa Roda.
Educare la gioventù ai valori dello sport, già dalla scuola obbligatoria, è sicuramente il modo migliore di scoprire nuovi talenti, che nel futuro potanno essere d’esempio come lo è Armin Zoeggeler, ed è anche un modo di preparare le basi per una società migliore.
Arianna Eleonora Fiorini
da ilpuntosalute | 19 Gen, 2015 | Informazioni mediche
Duemila neurologi da tutta Italia si sono riuniti a Cagliari per la 45a edizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Neurologia (SIN). Numerose le sessioni di aggiornamento e confronto su tutte le tematiche neurologiche: dalle malattie neurodegenerative come Alzheimer, Sclerosi Multipla, Parkinson fino a disturbi complessi come le cefalee.
“Le malattie neurologiche sono in costante aumento soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione – afferma Aldo Quattrone, Presidente SIN -. In Italia la demenza colpisce 1 milione di persone, di cui 600 mila affetti da Malattia di Alzheimer; 200 mila i pazienti con Morbo di Parkinson, tra questi 50 mila casi di parkinsonismi; 930 mila sono le persone con conseguente invalidanti dell’ictus, patologia che ogni anno fa registrare 250 mila nuovi casi; 60 mila circa i malati di Sclerosi Multipla, circa 1 caso ogni mille. La ricerca in campo neurologico tende sempre più verso metodiche innovative di diagnosi precoce della malattia neurodegenerativa per consentire un approccio terapeutico tempestivo. Spesso infatti solo intervenendo agli esordi della malattia con un trattamento precoce si ottiene un forte rallentamento nella progressione della malattia. I ricercatori italiani sono molto impegnati su questo fronte con un’importante produzione di studi scientifici che, in parte, presenteremo nel corso del congresso di Cagliari”.
Durante la conferenza stampa sono stati presentati i seguenti argomenti:
1. MALATTIA DI PARKINSON
Prof. Aldo Quattrone, Presidente SIN e Rettore Università Magna Graecia di Catanzaro
La prevenzione del Parkinson è possibile se la diagnosi viene effettuata molto precocemente o, meglio ancora, in fase pre-motoria, e cioè prima della comparsa dei disturbi motori caratteristici, come la lentezza dei movimenti e il tremore di riposo, ponendo grande attenzione ad alcuni disturbi che, invece, non sono specifici della malattia. Tra questi, i più importanti sono il deficit olfattivo (ipo o anosmia) e il disturbo comportamentale in sonno REM (RBD), caratterizzato da comportamenti quali urlare, scalciare, tirare pugni durante il sonno. RBD al momento rappresenta il marcatore predittivo più affidabile di malattia di Parkinson. Infatti, circa il 60% dei pazienti che ne è affetto sviluppa la malattia entro 10-12 anni. La corretta diagnosi di ipo-anosmia e di RBD consente di individuare i soggetti a rischio di sviluppare la malattia, e di valutare l’efficacia di interventi terapeutici con farmaci neuro-protettivi capaci di arrestare o rallentare il decorso della malattia.
2. EPILESSIA
Prof. Umberto Aguglia, Coordinatore Gruppo di Studio Epilessie SIN, Professore Ordinario di Neurologia presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro e Direttore del Centro Regionale Epilessie A.O. Bianchi Melacrino Morelli Reggio Calabria
Nuovi orizzonti nella diagnosi e nella comprensione delle crisi epilettiche e delle varie forme di epilessia. Da un lato lo studio genetico del DNA per individuare marcatori di farmacoresistenza e di suscettibilità per le cosiddette “epilessie complesse”, grazie ai quali potrebbe essere possibile capire, attraverso un semplice prelievo del sangue, come i pazienti rispondono alle terapie. Dall’altro lato, tecniche avanzate di analisi integrata di segnali neurofisiologici e di imaging che hanno permesso la sperimentazione di avveniristici sistemi intracranici (chip che si inseriscono in prossimità dell’area del cervello), in grado di: visualizzare con molta precisione l’area del cervello da cui partono le scariche epilettiche e riconoscere precocemente le crisi e bloccarne l’insorgenza. Si utilizza in pazienti farmacoresistenti e in cui le epilessie sono parziali.
3. MALATTIA DI ALZHEIMER
Prof. Carlo Ferrarese, Direttore Scientifico del Centro di Neuroscienze di Milano dell’Università di Milano-Bicocca
Nuove possibilità diagnostiche permettono di anticipare la diagnosi di anni, addirittura in fase prodromica (all’insorgere dei primi sintomi, ma in assenza di demenza conclamata). Attualmente sono in sperimentazione alcune strategie terapeutiche da attuare in fase precoce che potrebbero modificare il decorso della malattia; queste vanno ad agire sulla proteina beta-amiloide, che si deposita nel cervello anni prima dell’esordio della Malattia di Alzheimer, bloccandone l’accumulo, inibendone la produzione o rimuovendola con anticorpi.
4. ICTUS CEREBRALE
Prof. Domenico Inzitari, Direttore della Stroke Unit dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze e Professore Ordinario presso la Clinica Neurologica dell’Università di Firenze
Presentate le Linee guida della Italian Stroke Organisation che estendono la trombolisi ai pazienti ultra-ottantenni, portando il numero dei pazienti “aventi diritto” da 10 mila a 14 mila l’anno. Attualmente, in Italia vengono effettuate 3.600 trombolisi endovenose l’anno, numero ben al di sotto di quello dei pazienti “aventi diritto”, anche a causa del fatto che le unità ictus non sono diffuse capillarmente. A colmare il gap, la telemedicina, attraverso la quale un neurologo vascolare del centro ictus di un Ospedale di riferimento (Hub) può fornire in tempo reale la propria consulenza a un Pronto Soccorso periferico, effettuando esami a distanza e servendosi anche di telecamere ad alta definizione. Novità anche nella prevenzione secondaria, con i farmaci anticoagulanti diretti, inibitori della trombina (dabigatran) o del fattore X (rixaroxaban, apixaban).
5. CELLULE STAMINALI MESENCHIMALI IN SCLEROSI MULTIPLA
Prof. Antonio Uccelli, Direttore Centro di Eccellenza per la Ricerca Biomedica (CEBR) Università di Genova e Responsabile Centro per la Ricerca e la Cura della Sclerosi Multipla
Per la prima volta viene sperimentato l’utilizzo di cellule staminali mesenchimali nelle persone con Sclerosi Multipla, sulla base di evidenze che fanno supporre che tali cellule possano spegnere il processo che danneggia il sistema nervoso centrale, rilasciare molecole utili alla sopravvivenza e, possibilmente, alla riparazione del tessuto danneggiato. L’Italia, con i Centri di Genova, Milano San Raffaele, Verona e Bergamo, è uno dei 9 Paesi coinvolti nello studio. Nonostante le enormi aspettative per questo studio, è impensabile che le staminali mesenchimali possano rigenerare i neuroni perduti e migliorare la condizione clinica dei pazienti con grave disabilità. Ci permetterà, però, di dare una risposta autorevole sulla sicurezza e sull’efficacia di questo tipo di trattamento, ponendo fine alle speculazioni.
6. NOVITÀ NELLE TERAPIE IN SCLEROSI MULTIPLA
Prof. Giancarlo Comi, Past President SIN e Direttore Dipartimento Neurologico e Istituto di Neurologia Sperimentale Università Vita-Salute, Ospedale San Raffaele di Milano
Per quanto concerne le terapie recentemente introdotte in Italia o di prossima introduzione, saranno presentati i risultati di studi che contribuiscono a definire il profilo di sicurezza ed efficacia di farmaci come il fingolimod e la teriflunomide. Interessanti osservazioni di farmacogenetica su farmaci in uso da più tempo che aiutano a individuare, grazie a marcatori genetici appena scoperti, una maggiore suscettibilità al trattamento. Importanti contributi sugli aspetti diagnostici e pronostici; sempre elevata, infine, l’attenzione sui problemi cognitivi e affettivi che hanno una grande ricaduta sulla qualità della vita dei pazienti.
da ilpuntosalute | 16 Dic, 2014 | No profit
Gatto Silvestro, Minnie, Hello Kitty, l’elefante e i calciatori del Catania di oggi e di ieri erano tutti in campo allo stadio “Angelo Massimino” per riunire grandi e piccini, sport e solidarietà.
Il Capitano del Catania Marco Biagianti e Gionatha Spinesi sono da tempo vicini all’Ibiscus (Lega per il trattamento e la ricerca dei tumori infantili del Policlinico Universitario Vittorio Emanuele di Catania), e insieme organizzano l’evento ‘Un gol per un sorriso’ chiamando a raccolta alcuni compagni di squadra. “Biagianti e Spinesi si sono affezionati ai bambini della nostra casa accoglienza e hanno preso a cuore la nostra causa – chiarisce Marisa Cufari, Vice Presidente Ibiscus –, nasce così l’idea di organizzare questa partita. Tutto il ricavato, insieme alle somme delle donazioni e del 5 per mille, sarà devoluto al reparto. La settimana scorsa, ad esempio, abbiamo prenotato un’attrezzatura che serve a non fare soffrire i bambini quando si effettuano i prelievi”.
Prima del fischio d’inizio della partita tutta rossazurra, la Dottoressa Russo, Presidente Ibiscus, ha ringraziato Biagianti e Spinesi per aver avvicinato lo sport all’Associazione Onlus.
Il match, trasmesso da tre canali satellitari, ha visto in campo con maglia rossazzurra: Polito, Silvestri, Lucenti, Sottil, Marchese; De Zerbi, Baiocco, Anastasi; Russo, Spinesi, Del Core. Allenati da Pasquale Marino, il Mister della promozione del 2006 e della salvezza 2007.
In maglia bianca: Romano; Izco, Minelli, Stovini, Biagianti (24’ s. t. Pellegrino); Colucci, Terlizzi, Sciacca (24’ s. t. Parisi); Llama, Iannelli, Rossini. Allenati da Pino Irrera.
3 a 3 il risultato finale (Spinesi al 15’ pt, Llama al 12’, Colucci al 15’, Del Core al 18’, Spinesi al 19’, Iannelli al 22’). 2 mila i catanesi che, sugli spalti, hanno partecipato alla festa per la solidarietà.
www.ibiscusonlus.org
Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 16 Dic, 2014 | No profit
Gli scarpini di Neymar di Fc Barcellona col suo autografo, un vinile di Annie Lennox autografato, il casco autografato di Valentino Rossi. Poi ancora la nuovissima raccolta di Tiziano Ferro autografata dal cantante e la possibilità di trascorrere un’esclusiva mezza giornata in studio con Eros Ramazzotti. Dal 12 al 19 dicembre, infatti, saranno battuti all’asta molteplici gadget e dischi autografati il cui ricavato sarà interamente devoluto a favore del CESVI per la campagna “Fermiamo l’Aids sul nascere”.
L’asta promossa su Charitystars, dal Trio Medusa e Radio Deejay, per il decennale dalla nascita dell’iniziativa, si concluderà con il consueto ZZZDay, il 19 dicembre. Dalle 06.00 alle 22.00, su Radio Deejay, si alterneranno molteplici ospiti ai quali sarà data, circa un’ora, per sostenere l’iniziativa e promuovere l’asta. Dalle 22.00 alle 24.00, invece, si riuniranno tutti i protagonisti della radio e non, per festeggiare i dieci anni di sodalizio con il CESVI.
Negli scorsi anni, grazie al CESVI, è stata istituita una “casa per le Mamme” dove le donne affette da HIV possono ricevere cure a tutte le ore del giorno e della notte. Sono state curate e assistite 900 neomamme e sono nati sani oltre 4 mila bambini da madri sieropositive. Sul tetto dell’ospedale, poi, sono stati installati pannelli solari che permettono di utilizzare le sale operatorie anche in mancanza di elettricità.
La lotta contro l’HIV, grazie al CESVI, ha portato grandi risultati: nell’Ospedale St Albert la percentuale di siero-prevalenza è scesa negli ultimi 6 anni dal 23 al 13% ed è stato salvato l’81% dei bambini nati da mamme sieropositive.
Il prossimo obiettivo? Portare in Africa Subsahariana l’accesso al trattamento di antiretrovirali al maggior numero di donne.
Cesvi (www.cesvi.org) è un’organizzazione umanitaria italiana laica e indipendente (Fondazione di partecipazione ONLUS), fondata nel 1985 a Bergamo. Opera in tutti i continenti per affrontare ogni tipo di emergenza e ricostruire la società civile dopo guerre e calamità. Realizza progetti di lotta alla povertà e iniziative di sviluppo sostenibile, facendo leva sulle risorse locali e sulla mobilitazione delle popolazioni beneficiarie. In Italia è stata la prima associazione premiata con l’Oscar di Bilancio per la sua trasparenza nel 2000, importante riconoscimento ottenuto per la seconda volta nel 2011.
Antonella Strozzi
da ilpuntosalute | 2 Dic, 2014 | Informazioni mediche, Sport
Non è una novità che il Made in Italy sia apprezzato all’estero. Possiamo parlare dell’ennesima fuga di cervelli: lui è Nicola Sasso, per 6 anni fisioterapista della Nazionale Italiana di Sci e per 5 anni nel mondo del calcio, presso il settore giovanile della Juventus. Nel maggio 2013 ha firmato un contratto biennale con il principato di Monaco per seguire la campionessa Alexandra Coletti. “Avevo ancora un anno di contratto con la Nazionale Italiana, ma mi affascinava l’idea di un’esperienza all’estero – riferisce Sasso –. Alexandra Coletti è una grande atleta, mi ha chiesto di lavorare per lei e la sua proposta non si poteva rifiutare. Insieme proveremo a toglierci tante soddisfazioni. Come suo fisioterapista avrò il compito di farla stare bene, preservare la sua salute e aiutarla nella preparazione atletica in cui è seguita da un professionista austriaco. Sarà una bella avventura”. Sasso assisterà Alexandra per tutta la coppa del mondo e sarà il suo angelo custode durante la rassegna olimpica.
La campionessa monegasca ha infatti cambiato staff e in previsione delle olimpiadi invernali, a Sochi il prossimo febbraio, ha puntato su un team tutto italiano: David Fill come allenatore, Luigi Parravicini come skiman e Nicola Sasso, appunto, come fisioterapista.
Nicola Sasso ha 35 anni, è professore di educazione fisica, dottore in Scienze motorie, laureato in Fisioterapia, Preparatore atletico F.I.G.C., a Coverciano, e vanta un master in “Preparazione atletica” presso l’Università C. Bernard di Lione, dove ha avuto il primo approccio con la lingua francese.
“Alexandra parla francese, inglese, tedesco e anche italiano – precisa Sasso –, quindi riusciamo a comunicare senza problemi, e nei lunghi trasferimenti, tra un allenamento e l’altro, mi aiuta a perfezionare il mio francese. E’ un modo costruttivo e divertente per passare il tempo durante i nostri viaggi”.
Lo Ski Team è appena tornato in Europa dopo 20 giorni di allenamento in Cile, terminato in anticipo per un infortunio della Coletti. “Alex è caduta durante un allenamento in gigante e ha subito un’avulsione malleolare, una piccola frattura al perone, ma ha recuperato in tempo record e dopo 19 giorni è tornata a sciare”. La forza di volontà dell’atleta del Principato e le cure del giovane ed esperto fisioterapista, soprannominato dai suoi pazienti “Miracle man”, sono risultate efficaci. Sasso quindi continuerà a gestire la salute della campionessa, che ha già subito numerosi interventi chirurgici alle ginocchia e alla schiena.
“Il recupero nasce dalla testa. Ottimismo e positività sono ingredienti fondamentali della ricetta segreta”, spiega il fisioterapista. Tra i recuperi prodigiosi anche quello della campionessa bresciana Nadia Fanchini, quando Sasso era ancora in FISI. “Nel 2010, prima delle Olimpiadi di Vancouver, Nadia si lesiona entrambe le ginocchia: rottura dei legamenti crociati, lesione del muscolo gastrocnemio e del muscolo popliteo – racconta Sasso –. La Franchini torna sugli sci nel 2011 durante la tappa di Coppa del Mondo di Cortina d’Ampezzo, ma sfortunatamente cade e si rompe nuovamente il legamento crociato anteriore. Sembra la fine della sua carriera. Segue poi un lungo periodo di riabilitazione dove le ore di fisioterapia superano di gran lunga quelle sugli sci.
Questa odissea non frena in Nadia la voglia di tornare protagonista e, ai Mondiali di Schladming, lo scorso febbraio, vince la medaglia d’argento in discesa libera dietro la francese Rolland”.
Una bella storia di sport che Sasso ricorda con la gioia e con il sorriso che lo contraddistinguono. Perché, asserisce: “la terapia del sorriso potenzia gli effetti delle cure”.
“Ogni persona ha un tallone d’Achille, un punto debole – spiega . Dipende essenzialmente dall’assetto posturale: con una corretta anamnesi si può comprendere dove le tensioni vanno ad accumularsi. Quello è l’anello debole della catena muscolare.
Con un lavoro individualizzato si crea un programma fisioterapico ad hoc. Come fa il sarto, che cuce un abito su misura.
Bisogna creare, attraverso l’allungamento di alcuni muscoli e il rinforzo di altri, un nuovo equilibrio posturale dove le sollecitazioni vengano assorbite al meglio senza creare disfunzioni e dolore. Il trattamento individualizzato tiene conto anche degli infortuni pregressi dell’atleta: gran parte degli infortuni nello sport (il 25% nel calcio, nello sci anche di più) sono delle recidive. Il lavoro fisioterapico quindi deve essere individualizzato per evitare le ricadute.
Oltre a essere individualizzato il lavoro deve essere sport-specifico. Ogni sport ha degli infortuni e dei disturbi tipici: il tennis le tendiniti al gomito, la pallavolo le problematiche di spalla. Nello sci vengono colpite la zona lombare (lombalgie, protusioni ed ernie) e le ginocchia (problematiche legamentose e meniscali). Lavorare in quella direzione aiuta a salvaguardare l’integrità fisica dell’atleta.
Uno sciatore può essere forte, veloce, resistente, ma se è infortunato o ha dolore difficilmente riuscirà a vincere. Per questo credo che anche la preparazione atletica debba essere mirata alla prevenzione: troppa gente si allena male e si fa male.
Tanti sportivi si allenano in base a modelli standard e questo è sbagliato, perché ogni atleta ha una diversa struttura fisica, una storia curriculare diversa e diverse esigenze. Ancora troppi atleti seguono le mode dell’allenamento e non fanno quello che realmente è necessario al loro fisico o, peggio, copiano l’allenamento del campione che magari ha vinto l’anno precedente.
A volte i preparatori tralasciano la prevenzione nei loro programmi d’allenamento. Io preferisco preservare l’integrità fisica e lo stato di salute. Questo permette la continuità d’allenamento, che offre importanti vantaggi: uno sviluppo fisico costante e armonioso, un miglioramento delle capacità condizionali e coordinative, un costante perfezionamento tecnico – tattico e, da non sottovalutare, un rinforzo della componente psicologica (perché, dopo un brutto infortunio, mentalmente è difficile dare subito il 100%, e nello sci… chi ha paura non può vincere, dato che vince chi frena meno).
Su questi temi sto scrivendo un libro – conclude Sasso –. L’atleta e la sua salute sono il fulcro di tutto il lavoro. Io non mi occupo di sci, ma di chi scia, nel caso specifico della monegasca Alexandra Coletti”.
Un fisioterapista “azzurro” alla corte del Principe di Monaco.
Una bella storia di sport che sembra una fiaba. E chissà se a palazzo, oltre al lavoro, l’affascinante fisioterapista incontrerà anche la sua principessa.
Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 2 Dic, 2014 | Nutrizione, Sport
Marco Freschi si laurea in Medicina e Chirurgia nel 1999 e si specializza in Medicina dello Sport presso l’Università Statale degli Studi di Milano nel 2003.
La sua attività, nel mondo professionistico sportivo, inizia nel 2001 con il team di ciclismo professionistico Lampre-Daikin, come medico di squadra al Giro di Svizzera. Dal 2001 al 2004 si consolida la sua collaborazione con la Commissione Medica della Federazione Italiana Sport Invernali come medico di squadra per la Nazionale A maschile e femminile di DH/SG in gare di coppa del mondo. Nel 2003, Freschi perfeziona la sua collaborazione con la Scuola Tecnici Federali della FISI occupandosi dell’aggiornamento per gli aspiranti allenatori federali di sci, e partecipa al corso per ispettori antidoping del CONI. Ricopre anche l’incarico di Medico sociale pallavolo Desio (campionato B2 Nazionale) e diventa poi Medico sociale Volley Melegnano (campionato B2 e B1 Nazionale). La passione per lo sport, e in particolare per lo sci, lo porta a ricoprire un importante incarico a livello nazionale/internazionale: responsabile del settore nazionale maschile e femminile sci alpino della FISI e membro della Commissione medica FISI. Con tale qualifica partecipa alle Olimpiadi Invernali di Torino 2006, come medico della squadra Olimpica femminile di sci alpino. Dal 2011 è il Medico Sociale della Primavera del Milan e dal 2004 collabora come medico gestore di programmi di riabilitazione e di valutazione funzionale col Gruppo Medico Isokinetic a Milano in modo continuativo, con parentesi a Cortina e Rimini.
Non ci sono alimenti che facciano vincere una gara, ma sicuramente c’è uno stile di nutrizione che può farne perdere tante. È importante educare gli atleti a evitare i cibi che possono diminuire la qualità prestativa: i grassi in eccesso, i fritti e l’alcool, ad esempio, sono da bandire. Questo è il pensiero di Marco Freschi, Medico dello sport, il quale, oltre che di riabilitazione, preparazione e fisiologia dell’allenamento, si occupa di nutrizione. Responsabile del settore nazionale maschile e femminile sci alpino della FISI (Federazione Italiana Sport Invernali), Freschi è anche il medico sociale della Primavera del Milan. “Con i ragazzi si fanno incontri specifici – afferma –. Sono tutti tra i 16 e 19 anni e non sanno ancora bene come nutrirsi: è importante dare loro un’educazione alimentare ben precisa, che diventi uno stile di vita”.
Per quanto riguarda gli atleti della squadra Nazionale di sci i punti di riferimento sono: il Professor Herbert Schoenhuber, Presidente della commissione medica della Federazione Italiana Sport Invernali, il dr. Andrea Panzeri, coordinatore dello Sci Alpino, e il dr. Freschi.
Collaborano anche medici esterni dai quali alcuni atleti, soprattutto per convenienza logistica, fanno richiesta di essere seguiti. “Facciamo le analisi del sangue 4 volte all’anno e ho dei colloqui personali con loro – riferisce Freschi – per consigliarli su come alimentarsi meglio e/o su come dimagrire, perché a volte, quando a inizio stagione facciamo l’antropometria, riscontriamo un eccesso di massa grassa”.
Il segreto di una dieta che consenta di stare bene, non appesantisca e che dia energia sta nel dosare il quantitativo di carboidrati, proteine e grassi. Per quanto riguarda i carboidrati, a seconda del tipo di sport, c’è un fabbisogno diverso. “Le discipline di resistenza, lo sci di fondo, il ciclismo, e alcuni sport intermittenti come il calcio richiedono una quantità maggiore di carboidrati, circa il 50 – 55 o anche 60% dell’introito calorico di una giornata – spiega Freschi –. Perché gli zuccheri sono il carburante maggiormente utilizzato durante questo tipo di attività sportiva.
Gli atleti dello sci alpino eseguono allenamenti di forza e gesti tecnici che vanno a rompere le proteine dei muscoli in modo maggiore rispetto ad altri sport; perciò per gli sciatori è necessario un apporto di proteine leggermente maggiore, intorno a 1,6-2 grammi /Kg peso corporeo (a seconda del tipo se l’allenamento è effettuato a secco o sulle piste).
Per i calciatori, invece, l’apporto può essere di 1,2-1,6 gr/Kg (i livelli di assunzione raccomandata – LARN – per la popolazione generale sono di 0,8 gr/Kg peso). Gli zuccheri rimangono comunque importanti per lo sci in quanto si devono affrontare più discese nella stessa giornata e occorre recuperare bene tra una discesa e l’altra”.
Essenziale è poi l’apporto idrico. “Anche se fa freddo, non si ha tanta voglia di bere e sembra di non sudare tanto, c’è una dispersione di liquidi, per cui bisogna ingerire almeno 2,5-3 litri nell’arco della giornata: un bicchiere d’acqua al mattino, il tè a colazione, minestrone o zuppe la sera…”
Sempre più individui sono intolleranti a latticini e derivati, e tanti atleti mi hanno confermato di aver eliminato il latte dalla loro alimentazione. Lei cosa consiglia?
Non esiste un consenso scientifico sulle intolleranze alimentari, ma è pur vero in tanti individui si assiste alla riduzione dell’attività dell’enzima lattasi, deputato alla digestione dello zucchero caratteristico del latte. Il lattosio è disaccaride formato dall’unione di due zuccheri semplici: glucosio e galattosio. Per essere digerito, il lattosio deve necessariamente essere scisso in queste due unità più semplici. Quando vi è una diminuzione dell’attività dell’enzima lattasi si verifica una peggior digestione che richiama acqua nell’intestino con sintomi spiacevoli, per cui è consigliabile eliminare latte e latticini dalla dieta.
Ore 7. Qual è la colazione dei ragazzi dello sci alpino e qual è quella della Primavera del Milan?
Le 2 colazioni si assomigliano. Prevedono ambedue una porzione salata, salumi magri come prosciutto crudo e bresaola, formaggi freschi tipo ricotta, e poi pane nero senza lievito su cui spalmare la marmellata. E anche corn flakes (fiocchi di mais), un cibo costituito da mais cotto con zucchero e vitamine, che possono essere accompagnati da latte o yogurt se non vi sono intolleranze al lattosio.
Quello che cambia tra le 2 discipline è che la prima colazione per gli atleti dello sci è il pasto principale e viene fatto alle 6.30-7 di mattina, prima di uscire sulle piste; poi magari si può mangiare un frutto o una barretta prima della prima manche. Quando la gara è nella seconda manche, se ne ha voglia, è possibile consumare un piatto di pasta, condita con olio o pomodoro e una spruzzata di parmigiano.
Nel calcio invece la colazione si consuma verso le 8.30-9 ed è meno abbondante in quanto poi si pranza circa 3 ore prima del match (alle 12 circa). Il pranzo è molto semplice: tanta verdura, pasta in bianco o col pomodoro, e poi bresaola o prosciutto crudo o una porzione piccola di petto di pollo.
I modelli fondamentali su cui si basano tante diete, che funzionano sia nel dimagrimento che per lo sport, sono quelli della calma ormonale dell’insulina e quelli dell’indice glicemico (GI), basati su un abbinamento di cibi che consenta di mantenerlo basso. “Per la calma dell’insulina è importante dividere l’introito calorico in 3 pasti principali, più 2 spuntini – chiarisce Freschi -. E fare in modo che i cibi ad alto indice glicemico (pasta, riso, pane, patate, ecc.) siano abbinati con tutto ciò che è proteico.
Bisogna cercare di avere una porzione di proteine all’interno dei pasti principali. Negli spuntini invece si consigliano gli zuccheri semplici, come il fruttosio, presenti nei derivati della frutta, quindi nello yogurt alla frutta che è un misto di frutta e proteine, o nelle barrette, che sono un mix di zuccheri e proteine”.
Clementina Speranza
La colazione vincente
Lo sci di fondo è la sua disciplina.
4 medaglie alle Olimpiadi: un oro, 2 argenti e un bronzo. Tre medaglie ai Mondiali: un oro e 2 bronzi. Una coppa del Mondo di specialità. Ha partecipato inoltre a più di 200 gare in Coppa del Mondo, conquistando 42 podi: 8 primi posti, 16 secondi posti e 18 terzi posti. Questi i successi dell’ambizioso e professionale Pietro Piller, nato a Pieve di Cadore il 20 dicembre 1974 e residente da sempre a Sappada.
Piller ha messo gli sci ai piedi all’età di 3 anni, è entrato nella squadra Juniores da giovanissimo, e a 17 anni ha fatto il suo ingresso nel Centro Sportivo dell’Arma dei Carabinieri. Questi gli inizi della sua carriera.
Lo abbiamo incontrato a Torino, in occasione dell’evento F.I.S.I. in tour, mentre faceva colazione. Affascinante e granitico, alto 1,80 per 70 kg di peso, ci svela i segreti della sua dieta.
Cosa mangi a colazione?
Sono abitudinario. In ogni pasto cerco che ci sia la giusta percentuale di carboidrati, proteine e grassi. Pane e bresaola, miele, un succo e un frutto, ecco la mia colazione tipo. E latte mai, sono anni che non ne bevo
Da chi è seguita la tua alimentazione?
Da me stesso. Ho unito i consigli del medico sportivo e i risultati di una ricerca che ho fatto su me stesso. Mangio poco e spesso: questo è il segreto del ‘ben stare’.
Esiste il pasto vincente?
Forse no. Ma ho notato che quando io vinco nella mia colazione ci sono pane e prosciutto, formaggio, marmellata e per finire un buon caffè.
Il tuo piatto preferito?
Gnocchi di zucca, con burro fuso e salvia, o con la ricotta. Ma lontano dalle gare!
Clementina Speranza
L’alimentazione di una atleta dello sci alpino
Tenace e determinata. Per lei lo sci è arte, passione e libertà. È il mezzo che le permette di esprimersi. Sofia Goggia, 19 anni, è una sciatrice alpina della Nazionale italiana, appartenente alle Fiamme Gialle. La sua specialità sono le discipline veloci: discesa libera e supercombinata. “E gigante se sono in forma – afferma Sofia Goggia –. Ho guadagnato il 1° posto nella classifica di supercombinata, il 3° nelle Generali di Coppa Europa e in quello di Super G, sono questi i miei miglior risultati”.
A 3 anni scalpitava nel vedere il fratello andare a sciare, ed è riuscita a convincere i genitori a far provare anche lei. Da lì non si è più fermata, grazie anche ai tecnici che le hanno trasmesso la passione e la competitività necessarie per migliorarsi.
Lo scorso febbraio è stata costretta a chiudere anzitempo una stagione che la vedeva protagonista in Coppa Europa. “Dopo il mio infortunio ho deciso di far controllare la mia alimentazione da Lorenzo Messina, specialista di medicina dello sport, e nutrizionista – racconta Goggia –. Lui mi ha insegnato che la dieta deve diventare uno stile di vita e non può essere legata unicamente ai 4 mesi delle gare. È importante poi cercare di mantenere il peso. Adesso peso 67 Kg e sono alta 1,67.
Nella mia dieta evito il lattosio, i latticini e il latte perché secondo alcuni dietologi l’enzima per digerire il latte si ha solo fino ai 14 anni. La mia colazione prevede il tè, con fette biscottate e marmellata e un po’ di frutta.
Poi per il pranzo e la cena cerco di integrare carboidrati e proteine, in modo da avere una digestione più lunga che fa venir meno il senso di fame. Quindi poca pasta, una bistecca e insalata. Il mio piatto preferito? La ratatuia”.
Clementina Speranza
L’alimentazione per lo ski cross
Ha gli hobby della mountainbike, dell’arrampicata, del calcio, e della musica, ma di mestiere fa l’atleta nella Nazionale italiana di Skicross. È Stefan Thanei. Nasce a Silandro (BZ) nel 1981. Specialista delle discipline veloci, dopo una carriera nello sci alpino con un ottavo posto nella discesa libera di Kitzbuehel del 2009, decide di dedicarsi esclusivamente allo Skicross, d’accordo con la Forestale, gruppo sportivo per cui gareggia. “Lo Skicross è uno sport inserito nelle discipline olimpiche, ma poco conosciuto, anche se penso crescerà. Mi diverte molto”, afferma Thanei. Allenamenti mirati, diversi in parte da quelli dello sci alpino, in una disciplina dove ci si sfida faccia a faccia, uno contro l’altro. Obiettivo? I Mondiali 2013 in Norvegia.
Alto 1,84 per 86 kg di peso, Thanei è testimonial di una ditta altoatesina di integratori ed è seguito da un nutrizionista che controlla la sua alimentazione e vi inserisce, appunto, gli integratori.
Se dovessi consigliare a un giovanissimo atleta come alimentarsi, cosa suggeriresti?
La dieta è molto soggettiva. Ognuno deve conoscere quali sono i cibi adatti a lui. Io ho fatto delle analisi e mi sono sottoposto al test delle intolleranze e ora so quali sono i cibi che mi fanno star male e che devo evitare. L’alimentazione corretta deve poi diventare uno stile di vita: io sono sempre molto attento a ciò che mangio, tutto l’anno.
Prediligi i cibi biologici?
Viaggiando tanto e mangiando spesso fuori è difficile riuscire trovare il biologico.
È cambiata la tua alimentazione quando sei passato dallo sci alpino allo Skicross?
Sì, in effetti si è modificata: adesso ingerisco tanti carboidrati e bevo in abbondanza per mantenere sempre alto il livello di energia. Mangio sempre circa 3 ore prima ma, se ne sento il bisogno, anche nel corso della gara, perché una gara dura un paio d’ore e ci sono più manche.
Il piatto preferito che cucina la tua mamma?
Mia madre Gaby, che gestisce il ristorante nell’albergo di famiglia, St. Nikolaus, incanta gli ospiti con la sua cucina casereccia sudtirolese. Difficile scegliere, mi piace tutto. Ma se proprio devo farlo, rispondo che tra le sue specialità preferisco la selvaggina.
Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 1 Dic, 2014 | Informazioni mediche
E’ stato dimostrato che le malattie cardiovascolari sono più frequenti nelle persone con diabete, rispetto a quelle senza diabete di pari età e sesso. Soprattutto le complicanze più gravi (infarto, ictus, scompenso cardiaco e morte improvvisa) colpiscono più frequentemente chi ha il diabete.
Il 60% – 80% delle persone affette da diabete muoiono a causa di malattie cardiovascolari.
Ecco perché la sicurezza cardiovascolare dei farmaci antidiabetici è oggi uno dei principali temi di attualità e attenzione da parte della comunità scientifica, dei pazienti e delle autorità regolatorie.
Alogliptin e le terapie in combinazione a dosaggio fisso appartengono al gruppo di farmaci DPP-4 inibitori e sono indirizzati al trattamento del diabete 2; i DPP-4 inibitori rallentano l’inattivazione degli ormoni incretinici GLP-1 e GIP. Una maggiore attività delle incretine permette al pancreas di secernere insulina attraverso un meccanismo glucosio dipendente, ottenendo così un miglior controllo glicemico.
Alogliptin è il primo e unico farmaco della classe dei DPP-4 inibitori ad aver dimostrato evidenze di sicurezza cardiovascolare in pazienti con diabete di tipo 2 con sindrome coronarica acuta recente, consente un controllo glicemico costante e le tre diverse formulazioni e i diversi dosaggi disponibili permettono di personalizzare il trattamento. Alogliptin è una terapia orale per il trattamento degli adulti con diabete 2 di età pari o superiore a 18 anni per migliorare il controllo glicemico in combinazione ad altri medicinali ipoglicemizzanti,inclusa insulina, quando questi, unitamente a dieta ed esercizio fisico, non forniscono un adeguato controllo glicemico.
Sul tema della sicurezza cardiovascolare di Alogliptin si è espresso Stefano Genovese, Diabetologo presso l’IRCCS Multimedica di Sesto San Giovanni. “Alogliptin ha dimostrato evidenze di sicurezza cardiovascolare in pazienti con diabete di tipo 2 con recente sindrome coronarica acuta, come dimostrato dallo studio EXAMINE condotto su 5.380 pazienti, che ha valutato la sicurezza cardiovascolare in pazienti ad alto rischio di sviluppare eventi cardiovascolari, causa principale di morbilità e mortalità nella popolazione con diabete di tipo 2. Alogliptin, sul mercato giapponese dal 2010, ha alle spalle molti dati clinici e post-marketing che rafforzano il profilo terapeutico di questo farmaco innovativo”.
l diabete 2 è una malattia progressiva complessa da gestire: la diagnosi di diabete ha un forte impatto emotivo sui pazienti e i loro familiari per molteplici motivi – il rischio di complicanze a lungo termine, le difficili modifiche da portare nel proprio stile di vita, necessarie per raggiungere gli obiettivi glicemici. Questo può portare a un senso di fallimento, di colpa e frustrazione.
L’individuazione di un trattamento che tenga in considerazione le esigenze e le preferenze di ogni paziente è la pietra angolare per gestire con successo il diabete 2. Considerando che ogni paziente reagisce in modo diverso ai farmaci, la disponibilità di molteplici opzioni di trattamento consente a medici e operatori sanitari di adattare l’approccio terapeutico individualizzato.
La gestione del diabete 2 è particolarmente complicata in pazienti con comorbidità e che necessitano di più farmaci, così come in coloro che sono ad aumentato rischio di sviluppare ipoglicemia. I pazienti spesso hanno bisogno di prendere uno o più farmaci per il controllo glicemico. Nonostante la varietà di opzioni di trattamento disponibili, molti pazienti non riescono ancora a raggiungere gli obiettivi glicemici, sperimentano episodi di ipoglicemia, sono in sovrappeso e rimangono a rischio di complicanze a lungo termine, come le malattie cardiovascolari e insufficienza renale.
“La diagnosi del diabete di tipo 2 ha un forte impatto emotivo sui pazienti e i loro familiari perché comporta il cambiamento dello stile di vita, a volte troppo sedentario e l’adesione ad una dieta alimentare varia, ma calibrata per ciò che concerne la quantità degli alimenti da assumere. A volte le difficoltà che la persona incontra in questo percorso possono portare a un senso di fallimento, di colpa e frustrazione – commenta Egidio Archero, presidente FAND (Associazione Italiana Diabetici) –. Oggi vi è la possibilità di individuare anche a livello terapeutico il trattamento più adatto per una gestione efficace della malattia ed evitare le complicanze a lungo termine. L’introduzione di terapie multiple permette di personalizzare il trattamento e di rispondere meglio ai bisogni individuali della persona con diabete tipo 2”.
Il diabete in numeri
– Nel mondo 382 milioni di persone soffrono di diabete e la International Diabetes Federation prevede che entro il 2035 questa cifra raggiungerà i 592 milioni.
– In ogni paese del mondo il diabete di tipo 2 è in aumento. Si stima che circa tre milioni di persone in Italia soffrano di questa malattia.
– Nel 2013 nel mondo si sono verificati 5,1 milioni di decessi dovuti al diabete. Nel 2013 la spesa sanitaria totale relativa al diabete è stata di almeno 548 miliardi USD – l’11% della spesa sanitaria totale per gli adulti.
Cosa è il diabete di tipo 2?
– Il diabete di tipo 2 è la forma più comune di diabete, pari al 85-95% di tutti i casi.
– Questa malattia cronica si sviluppa quando il corpo non riesce a usare correttamente l’insulina prodotta dal pancreas, aumentando i livelli glicemici nel sangue. Il diabete di tipo 2 è una malattia progressiva che può portare a complicanze gravi per la salute. Livelli glicemici alti possono danneggiare i vasi sanguigni, il sistema nervoso, i denti, gli occhi e i reni. Infatti a livello mondiale il diabete è la causa principale di amputazioni, cecità e insufficienza renale. Una complicanza grave del diabete di tipo 2 sono le malattie cardiovascolari (CVD), la causa più comune di decesso in questa popolazione di pazienti.
Qual è la causa del diabete di tipo 2?
L’aumento della prevalenza del diabete nel mondo è associato a una serie di fattori, compreso l’invecchiamento della popolazione. I fattori di rischio più comuni per il diabete di tipo 2 comprendono:
- Predisposizione ereditaria
- Peso corporeo eccessivo
- Cattiva alimentazione
- Stile di vita sedentario
- Età
- Ipertensione
Come viene diagnosticato il diabete di tipo 2?
Il diabete di tipo 2 viene in genere diagnosticato da un operatore sanitario tramite un test che misura il glucosio nel sangue. Spesso il diabete di tipo 2 non dà sintomi. Tuttavia chi ne soffre può manifestare i seguenti disturbi:
- Minzione frequente
- Sete eccessiva
- Aumento della fame
- Perdita di peso
- Stanchezza
- Mancanza di interesse e concentrazione
- Sensazione di formicolio o di torpore a mani o piedi
- Annebbiamento della vista
- Infezioni frequenti
- Lenta guarigione delle ferite
- Vomito e dolore allo stomaco (spesso scambiato per influenza).
La diagnosi ha spesso un impatto emotivo forte sui pazienti e sui loro cari che devono confrontarsi con l’aumentata mortalità, il rischio di complicanze a lungo termine e i difficili cambiamenti dello stile di vita. Questo può portare i pazienti a provare un senso di fallimento, di colpa e di frustrazione mentre lottano per mantenere uno stile di vita adeguato e raggiungere i target glicemici.
Gestire il diabete di tipo 2
A causa della natura della malattia, le persone che soffrono di diabete di tipo 2 devono cambiare il proprio stile di vita in maniera importante e molti di loro dovranno provare nel tempo diverse terapie.
– Gestire il diabete di tipo 2 è particolarmente difficile nei pazienti con comorbilità che necessitano di più di una terapia, come quelli a rischio di ipoglicemia.
– I pazienti spesso hanno bisogno di assumere uno o più trattamenti per riuscire a tenere sotto controllo i livelli glicemici.
Le persone con diabete di tipo 2 hanno bisogno di supporto da parte degli operatori sanitari e dei loro familiari per cambiare lo stile di vita, prendere decisioni terapeutiche, gestire al meglio la malattia e ridurre il rischio di complicanze a lungo termine.
– La gestione dovrebbe includere il controllo della pressione, cambiamenti favorevoli nella dieta e nell’esercizio fisico, il mantenimento di un peso corporeo normale, astensione dal fumo e cura dei piedi. I pazienti con diabete di tipo 2 possono essere curati con terapie orali, ma altri potrebbero aver bisogno di insulina.
– Individuare i trattamenti che prendano in considerazione le necessità e le preferenze di ogni paziente è il punto fondamentale per avere successo nella gestione della malattia. Poiché ogni paziente risponde in maniera diversa ai trattamenti, la disponibilità di diverse opzioni terapeutiche consente agli operatori sanitari di preparare approcci terapeutici mirati.
Focus Italia: emergenza sociale, epidemiologia, costi per la società
Diabete, fenomeno di emergenza sociale sotto molteplici aspetti:
è in aumento, sia come incidenza sia come prevalenza
causa scarsa qualità di vita, peso sulla persona, sulla famiglia e sulla società
causa spesso morte prematura ed è tra le maggiori cause di morte
è la seconda causa di insufficienza renale terminale
è la più comune causa di cecità
è la più comune causa di amputazioni non traumatiche
è la più comune malattia cronica fra i bambini
ha costi sanitari diretti consistenti (10-15% dei costi dell’assistenza sanitaria) con un elevato costo pro capite (3.348 euro l’anno per paziente); la previsione di aumento della prevalenza farà quindi lievitare anche i costi
Quadro epidemiologico
– Il diabete costituisce una delle più rilevanti e costose malattie sociali della nostra epoca, soprattutto per il suo carattere di cronicità, per la tendenza a determinare complicanze nel lungo periodo e per il progressivo spostamento dell’insorgenza verso età giovanili. La diffusione del diabete sta crescendo in ogni regione del mondo ed è previsto che il tasso di prevalenza globale aumenterà dal 6,4% del 2010 al 7,7% nel 2030.
– In Italia vivono almeno tre milioni di persone con diabete, cui si aggiunge una quota di persone, stimabile in circa un milione, che, pur avendo la malattia, non ne sono a conoscenza. Le disuguaglianze sociali agiscono fortemente sul rischio diabete: la prevalenza della malattia è, infatti, più elevata nelle classi sociali più basse e tal effetto è evidente in tutte le classi di età.
– Per quanto riguarda la prevalenza del diabete, i dati ISTAT indicano che, in Italia, nel 2010, risulta diabetico il 4,9% della popolazione (5,2% per le donne e 4,5% per gli uomini)2. Nell’ambito del gruppo di ASL che partecipano al sistema PASSI – Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia – la prevalenza del diabete, nelle persone di età 18-69 anni, nel 2010, è risultata pari al 5%. A Bolzano si registra il valore più basso (2%), mentre in Basilicata quello più alto (8%). Riguardo ai fattori di rischio associati al diabete: tra i diabetici, il 55% ha ricevuto una diagnosi di ipertensione e il 45% di ipercolesterolemia, il 75% è in eccesso ponderale (IMC≥25), il 39% è sedentario e il 22% fumatore.
– Data la correlazione diretta tra obesità/sovrappeso e diabete di tipo 2, devono destare preoccupazione i dati sulla diffusione di tali condizioni tra la popolazione italiana. L’ISTAT, relativamente all’anno 2010, rileva che in Italia, nella popolazione adulta, la quota di sovrappeso è pari al 35,6% (maschi 44,3%; femmine 27,6%), mentre gli obesi sono il 10,3% (maschi 11,1%; femmine 9,6%). Nel Sud e nelle Isole si rileva la quota più elevata di persone obese e in sovrappeso (11,5% e 38,7% rispettivamente).
da ilpuntosalute | 1 Dic, 2014 | Arte e Design
Il vetro, materiale ecologico per eccellenza che ancora oggi trova spazio in numerose applicazioni, ha origini antiche.
Trasparenza, solidità, fragilità e compattezza sono le sue principali qualità. Limpido, pulito, incontaminato, atossico, riciclabile all’infinito, ripara dal caldo e dal freddo. “Il vetro non inquina l’ambiente e non arrugginisce. Non c’è giorno in cui non si possa fare qualcosa con esso, e credo che sia il materiale più importante dell’era moderna”, afferma Vittorio Livi, fondatore di FIAM, azienda che progetta e realizza elementi di arredo in vetro curvato.
Vittorio Livi si appassiona a questo materiale fin da giovanissimo, e decide di renderlo protagonista di ogni suo progetto.
Tutto è cominciato con uno sgabello. “Ho creato i primi forni e i primi oggetti, tra cui uno sgabello, che utilizzavo per controllare i lavori, ottenuto da un’unica lastra di vetro curvato – racconta Livi –. Già negli anni ’60 avevo un’impresa che realizzava i vetri bombati dietro cui porre l’immagine dei santi per conferirle tridimensionalità”.
Dalla sua passione, nel 1973, nasce FIAM, un’azienda diventata famosa per essere riuscita a decontestualizzare il vetro rendendolo protagonista anche nel design. Tra gli elementi d’arredo in vetro curvato, l’icona dell’azienda è la poltrona Ghost, disegnata da Cini Boeri. Sono numerosissimi i grandi nomi del design che, negli anni, hanno collaborato con FIAM. Da Danny Lane, le cui sculture hanno lasciato una traccia indelebile nel percorso Fiam, a Massimo Iosa Ghini, che ha disegnato per FIAM uno dei suoi primi pezzi della corrente “bolidismo”, a Ron Arad, Dante O. Benini e Luca Gonzo. E poi ancora Doriana e Massimiliano Fuksas, Daniel Libeskind, Philippe Starck, per citarne solo alcuni.
Ricerca, sperimentazione, tecnologia e arte sono le linee guida dell’azienda. “Noi facciamo anche opere d’arte. Abbiamo realizzato ‘Le tavole della legge’ di Emilio Isgrò. Un’opera di 3 metri x 2, esposta da Bonito Oliva al museo Nazionale di Arte moderna di Roma”, precisa Livi. La curvatura del vetro si ottiene tra i 650° e 900°. Perché ciò avvenga in modo corretto, però, è necessaria l’esperienza di maestri artigiani capaci di prevedere, quantificare e controllare ogni singolo passaggio. “Un microscopio gigante, da noi ideato, controlla tutte le parti dell’oggetto, e le lenti polariscopiche denunciano qualsiasi tipo di difetto all’interno del prodotto – spiega Livi –. Solo una volta che è tutto perfetto, si incide sul vetro il codice che contraddistingue l’oggetto e indica il professionista che l’ha realizzato”. Dopo le prime fasi di taglio, molatura e fresatura, la lastra è pronta per la curvatura; processo che inizia con il preriscaldamento, fino a raggiungere 650°. Per questo, con il passare degli anni e l’evolversi delle tecniche, il piccolo forno di curvatura a metano, originariamente impiegato nella lavorazione del vetro, venne sostituito con uno più grande a gasolio, e poi con uno a energia elettrica, in modo da garantire un migliore controllo delle temperature e la trasformazione del calore da statico a dinamico.
Oggi si è alla quinta generazione degli impianti di curvatura.
Di pari passo con l’innovazione progettuale, FIAM investe da sempre su quella tecnologica.
Il vetro è il materiale d’eccellenza per il futuro. Non bisogna però dimenticare che il nostro domani è strettamente legato al passato: il vetro può avere infinite vite senza danneggiare l’ambiente e chi ne usufruisce e ne usufruirà. Tutte queste qualità lo rendono un prodotto che ha ancora grandi potenzialità d’utilizzo da scoprire.
“È un materiale che mi è entrato nel sangue”, conclude Livi.
Valentina Maragno e Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 28 Nov, 2014 | No profit
Bionde con occhi azzurri, alcune brune o con i capelli neri, di plastica o di stoffa, e tutte con visi angelici, le bambole, protagoniste dei giochi dell’infanzia che hanno accompagnato le bambine, da oggi stanno insieme su un muro di speranza per quelle ex bambine: le donne.
Nasce così WALL OF DOLLS, un’installazione con protagoniste le bambole che per un giorno si trasformano nel simbolo di una femminilità troppo spesso violata. Ferragamo, Cavalli, Alberta Ferretti, Trussardi, Missoni sono alcuni tra gli stilisti che, aggiungendo creatività, hanno abbigliato le bambole e hanno dato così maggior valore a questo muro che dice “No” all’omertà e all’indifferenza. Un’opera artistica che punta al cuore, nel Centro Culturale di Via De Amicis 2, a Milano: il mondo della Moda contro la Violenza sulle Donne.
Il 21 giugno, data in cui si inaugura a Milano la settimana della moda dedicata all’Uomo, è anche la data di inizio della costruzione di Wall of Dolls, l’iniziativa, infatti, è stata inserita nel Calendario degli Eventi della Camera Nazionale della Moda Italiana e vede il patrocinio del Comune di Milano. La capitale della moda è la metropoli di partenza del progetto, l’installazione proseguirà poi per Parigi e New York, e continuerà il suo viaggio di sensibilizzazione in altre città italiane ed europee.
Wall of Dolls nasce dal carisma della conduttrice e cantante Jo Squillo. “Lavoro nella moda e credo che in questi giorni in cui sfilano le collezioni uomo in passerella si debba assolutamente presentare una cultura diversa – afferma Jo Squillo –. Deve sfilare un uomo che non adotta e non accetta metodi violenti nei confronti delle persone che gli stanno vicino: sorelle, madri, amanti, mogli, fidanzate… La prima causa di morte delle donne non sono i tumori o gli incidenti ma il femminicidio per volontà di uomini che spesso dicono di amare le proprie donne. Pensiamo che la moda, per riflettere una bellezza sempre più autentica, debba contribuire a creare ‘uomini veri’. E la violenza sulle donne è un fenomeno che riguarda soprattutto la cultura maschile”.
I cittadini hanno potuto partecipare all’eventoWall of Dolls portando una bambola, si è creata così una grata che ospita un centinaio di bambole. Artiste, avvocatesse, donne medico, giornaliste, celebrities e Associazioni femminili hanno collaborato alla creazione di un muro pieno di speranza, amore, bellezza, idee e futuro, offrendo un contributo informativo e di immagine a favore della crescita culturale della città di Milano.
L’iniziativa vuole mandare un messaggio forte: un muro di silenzio è un muro da abbattere. Mira a scuotere le coscienze, per non restare indifferenti.
Il disprezzo verso le donne è radicato, e ogni giorno veniamo inondati di notizie e immagini di stupri, violenze, omicidi nei loro confronti:
200 giovani rapite in Nigeria da un gruppo di estremisti islamici,
2 ragazze di 14/15 anni stuprate e impiccate in India, gli ultimi femminicidi in Italia…
NEL MONDO 130 milioni di donne – bambine hanno subito mutilazioni genitali, una donna su 5 è stata vittima di violenza fisica o sessuale.
IN ALCUNI PAESI lo stupro da parte del marito è ancora legale e la brutalità sulle donne è una normale componente culturale.
IN AMERICA una donna ogni 15 secondi viene aggredita, spesso, dal coniuge.
IN EUROPA 62 milioni di donne, una su 3, sono vittime di maltrattamenti.
IN ITALIA 6.743 mila donne hanno subito abusi, e molte non ci sono più.
Il femminicidio è un crimine contro l’umanità.
50 brand di livello internazionale rappresentativi del Made in Italy, con 25 artiste, 20 Associazioni Onlus e diverse scrittrici, tutti insieme nella costruzione di Wall of Dolls, un muro che diventa un’installazione ad alto impatto emotivo. Un’opera artistica che punta al cuore, un’emozione che si traduce in azione concreta. “La bambola è un simbolo meraviglioso, un simbolo che va curato. ‘We are not just dolls’ (noi non siamo solo bambole), dice la nostra maglietta – precisa Jo Squillo–. Si può acquistare su internet e il ricavato andrà in beneficienza. Con la prossima iniziativa inizieremo poi a creare dei progetti”.
Come nasce Wall of Dolls?
“Nella mia anima artistica c’è sempre stata un’attenzione alle donne. Una delle mie prime canzoni è una canzone punk, provocatoria,‘Violentami’, e ho scritto ‘Siamo donne’ e ‘La vita è femmina’– risponde Jo Squillo –. Negli anni ’80 si diceva che se le donne indossavano le minigonne dovevano aspettarsi d’essere violentate. Oggi la brutalità non è cambiata ed è in continua escalation, bisogna fare qualcosa di concreto. Così ho contattato alcune amiche: Eva Cavalli, Alberta Ferretti e la Biagiotti, e loro mi hanno incoraggiataa continuare. Ho coinvolto le amiche delle associazioni Rosaria Iardino (Presidente di Donne in rete Onlus) e Intervita (Onlus che promuove e difende i diritti dei bambini e delle donne in Italia e nel mondo). Con loro abbiamo chiamato associazioni che spesso non hanno visibilità. La volontà è quella di unificare il lavoro comune, incitare a denunciare, e creare una rete di protezione.“Dobbiamo curare questa società malata, dobbiamo partire dai giovani aprendo i loro occhi all’amore, verso il rispetto per il prossimo. Dobbiamo farlo noi donne andando nelle scuole: dobbiamo farlo noi perché siamo forti”, precisa Valentina Pitzalis, sfigurata dal marito, donna coraggio che ha scritto un libro in cui racconta la sua terribile esperienza.
Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 28 Nov, 2014 | No profit
Striscioline in vera pelle lavorate a mano portano incise le parole del Padre Nostro, dell’Ave Maria, i Dieci Comandamenti, una parte della Preghiera Semplice di San Francesco, una frase simbolo di Madre Teresa di Calcutta, l’invocazione all’Angelo di Dio o il volto di Papa Francesco. Si tratta dei colorati e divertenti bracciali AMEN, realizzati con materiali semplici trattati con rigore artigiano.
Questi speciali accessori nascono dalla grande voglia di amore e spiritualità, di fede e pensieri positivi, divenendo anche oggetti scaramantici, portatori di benessere psicologico.
AMEN ha origine dal desiderio di regalare parole di fede per essere vicini alle persone care affinché si sentano protette, amate, mai sole.
Legato alla ricerca contro la Sla e l’Ice Bucket Challenge (l’iniziativa nata con Pete Frates, 29 anni, ex giocatore di baseball del Boston College al quale fu diagnosticata la SLA), il brand di accessori Amen ha iniziato la propria attività tre anni fa con l’adesione alla causa della Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport Onlus. Un impegno puntuale e continuo quello di Amen, coinvolto in tutte le iniziative promosse dagli ex calciatori Gianluca Vialli e Massimo Mauro.
Tornei di golf, concerti ed eventi speciali gli appuntamenti organizzati nell’anno per raccogliere fondi per la sclerosi laterale amiotrofica. Amen affida il suo messaggio di solidarietà e impegno per la ricerca a una linea di gioielli caratterizzata dalla significativa frase di Madre Teresa di Calcutta “Quello che facciamo è soltanto una goccia nell’oceano… ma se non ci fosse quella goccia all’oceano mancherebbe” e a un’altra importante frase dello stesso Gianluca Vialli “Every Journey of a thousand miles starts with a single step” (Un viaggio lungo un migliaio di miglia inizia sempre con un passo).
Una raccolta di fondi è legata alla vendita dei bracciali, in distribuzione in Italia in oltre duecento punti vendita e attraverso la stessa Fondazione. Una goccia, un passo capace di unire i cuori per lavorare insieme a un unico scopo: sconfiggere la sofferenza.
Amen nasce con Giovanni Licastro, imprenditore aretino con alle spalle importanti esperienze nel settore orafo e della distribuzione. Nel 2012, Licastro si trova presso la sede di un fornitore e tra i rotoli scopre un bracciale da uomo, semplice, incompiuto. È un filo di cuoio che porta incisa parte di una preghiera. Ne rimane colpito, lo prende, e con gesto spontaneo lo indossa. Una volta a casa si trova a guardarlo, a studiarlo, a pensare che sì, gli sarebbe piaciuto creare un brand che sapesse portare speranza e parole di fede alle persone. In particolare, avrebbe voluto creare un accessorio maschile portabile con facilità, un compagno di viaggio silente e prezioso per la vita di tutti i giorni. Un bracciale per tutti. Fa produrre per cominciare un campione in bianco, uno in nero e uno in marrone. Vi fa incidere due preghiere, il Padre Nostro e l’Ave Maria, e AMEN è il nome scelto per il senso stesso della parola: verità, certezza.
Le collezioni AMEN abbracciano non solo la fede in senso stretto, ma un concetto più ampio di amore: amore verso il partner, amore verso i figli, gli amici, verso tutte le persone care. Ci sono, infatti, anche i bracciali con le parole “Mamma” o “Ti Amo” in diverse lingue, creativi, dall’innovativa chiusura magnetica in acciaio. Gioielli da portare non solo come simboli di appartenenza, ma anche come accessori di tendenza. Questo è AMEN, brand di preziosi tutto italiano che da anni si prodiga per trasmettere parole di amore e di fede in modo sobrio, informale. La fede entra nell’abbigliamento per diventare compagna di viaggio nella vita di ognuno: di uomini e donne, ragazzi e bambini.
Clementina Speranza