da ilpuntosalute | 30 Nov, 2015 | Sport
Come da tradizione, dicembre dà l’avvio alla stagione sciistica per tutti gli appassionati che vogliono lanciarsi lungo discese ricoperte da un soffice manto di neve. Per sciatori professionisti e amatoriali, l’azienda austriaca HEAD fornisce accessori sicuri e di design dal 1950.
La nuova frontiera del brand è la produzione di sci in GRAPHENE™, un cristallo bidimensionale leggero, resistente e sottile ricavato dalla grafite, che ha valso il premio Nobel per la fisica 2010 ai due fisici Andrej Gejm e Konstantin Novoselov dell’Università di Manchester. Il materiale è più leggero del legno e del metallo, ma più flessibile della plastica, più duro del diamante e 300 volte più robusto dell’acciaio. “Leggerezza, equilibrio, reattività e controllo sono le caratteristiche che un foglio di GRAPHENE™ conferisce agli sci, attualmente non utilizzati dai campioni in gara – afferma Stefano Silvestri, Wintersports Category Manager di Head –. Grazie alla nuova tecnologia contengono una minore percentuale di legno e di fibra di vetro, per aumentare gli strati di titanio che forniscono un’elevata resistenza e reattività”.
Posizionato in aree specifiche delle aste, il GRAPHENE™ dona maggiore controllo ed equilibrio, garantendo la tenuta in ogni situazione e movimento. “In base al modello di sci, al tipo di sciata e alle condizioni atmosferiche, il cristallo bidimensionale permette di regolare: la flessione, il profilo geometrico, la distribuzione del peso del prodotto per ottimizzare l’esperienza sciistica”, spiega Silvestri.
“Negli sci da uomo, il GRAPHENE™ è inserito al centro, riducendone la struttura – spiega il Manager di Head –. Le spatole in coda sono rafforzate, per regalare maggior resistenza meccanica, ripartire le masse in modo differente e ottenere un comportamento più idoneo alle esigenze attuali”.
HEAD ha sfruttato l’innovativo materiale per alleggerire e bilanciare gli sci da donna della nuova collezione LIBRA, Lightweight Intelligent Balanced Rocker. Un Flex più morbido per un miglior scivolamento, una soletta allargata per fornire maggior stabilità e un Intelligence Stabilizer per ridurre le vibrazioni in punta sono gli elementi che caratterizzano l’architettura della linea. Il modello SUPER JOY è ideale per le donne che amano la velocità, la precisione, le piste battute, il carving puro e che hanno attitudine alla competizione, mentre per le amanti della pista e del fuori pista, lo SCI HEAD TOTAL JOY risulta adatto, in quanto il GRAPHENE™ è posizionato al centro delle aste per fornire un controllo elevato. Ecco perché lo slogan è “LIBRA is light done right”, che tradotto significa “leggerezza fatta bene”.
Il cristallo di grafite è presente anche nelle collezioni MONSTER e INSTINCT. “Gli sci Monster sono larghi e hanno bisogno di una maggiore galleggiabilità – precisa Stefano Silvestri –. L’inserimento del GRAPHENE™ nelle spatole in coda garantisce una corretta stabilità statica, dinamica e strutturale per affrontare le piste innevate”.
L’inverno e l’apertura delle piste non sono lontani, e grazie al materiale tecnologico e innovativo, tutti gli sciatori possono affrontare le bianche piste in sicurezza. Il conto alla rovescia per gli amanti della neve è iniziato.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 30 Nov, 2015 | Benessere
Tante sono le donne che vorrebbero avere la chioma dorata di Blake Lively, la frangetta di Zooey Deschanel o i boccoli morbidi di Kate Middleton… capelli luminosi, nutriti e idratati come quelli delle star che sfilano con passo deciso sui red carpet.
Tali risultati sono possibili. A Milano nei saloni GOLD Hair Spa, nome provvisorio in attesa della nuova registrazione, gli hairstylist effettuano trattamenti personalizzati, naturali e danno un taglio a chiome sfibrate e sfaldate: “L’immersione in un bagno di collagene, a base di olio d’oliva e privo di siliconi, va bene per il 90% delle donne. Rappresenta un toccasana per i capelli fini, secchi e sfibrati, per quelli che non hanno molto corpo e tendono a sporcarsi velocemente. Il collagene ridona tono e vitalità alla capigliatura – afferma Lorenzo Zanoni, technician –, crea un film intorno al capello, va a chiudere e riempire le squame aperte, e la pellicola che si forma rende il capello uniforme e più spesso pur mantenendone la leggerezza. Il trattamento ha sia una funzione eutrofica sia una funzione estetica. La differenza con gli altri prodotti che generalmente hanno lo stesso effetto è che questi irrobustiscono il capello, ma lo rendono estremamente più pesante”.
Prima del trattamento, i capelli vengono lavati per eliminare tracce di smog, creme, impacchi dopo shampoo, e sono asciugati per il 90%, lasciando una leggera umidità. “Con un pennello si applica il collagene a partire dalle punte, le parti più sfibrate, e si sfuma poi verso l’attaccatura dei capelli per non appesantirli – riferisce Lorenzo Zanoni –. Per facilitare la penetrazione e la cristallizzazione, il prodotto è lasciato in posa per 20-40 minuti sotto una fonte di calore. La tempistica varia in base a: spessore, lunghezza, quantità e porosità dei capelli”. Successivamente, un abbondante risciacquo e poi un impacco per un’idratazione superficiale: un panno caldo vaporizzato con oli essenziali per l’aromaterapia.
Il collagene non è invasivo e, in genere, ne è consigliato l’utilizzo circa una volta al mese. “Poi dipende da quanto si lavano i capelli, perché questo tipo di trattamento forma come una pellicola e se una persona tende a lavarli tutti i giorni il capello si assottiglia e così si riduce anche l’effetto del trattamento”, precisa Zanoni.
Il trattamento può essere praticato anche tra le proprie mura domestiche senza l’ausilio di un hairstylist. “Alle clienti forniamo i consigli e la boccetta con il prodotto per continuare il trattamento a casa, soprattutto in estate quando il capello subisce un grave danno a causa del sole – afferma Zanoni –. In seguito, è consigliato ripetere l’applicazione del collagene in salone per una miglior cura e dosatura del prodotto”.
Stefano Bazan, titolare del negozio con il socio Marco Santoro, proviene dalla scuola di scuola di Toni & Guy prima e di Aldo Coppola poi, prova più soddisfazione a salvare una chioma che a tagliarla. Salvare, vuol dire innanzitutto aiutare una persona, renderla felice e farle ritrovare la sicurezza perduta nei propri capelli. Perché anche una donna truccata male, può apparire bella se ha bei capelli.
“Tagliare una chioma è un po’ come scolpire, come creare qualcosa di bello – afferma Stefano Bazan –. La passione per il mio lavoro l’ho scoperta per caso, tagliando i capelli a mio nonno, un famoso driver di cavalli, costretto su una sedia a rotelle in seguito a grave incidente stradale. Ho poi iniziato a tagliare i capelli agli amici, e in seguito ho frequentato una scuola per apprendere le tecniche dei tagli maschili e femminili. Con Toni & Guy ho iniziato a lavorare sulle modelle, per gli shooting e per le trasmissioni televisive. Poi le sfilate con Calvin Klein. Dal mondo eccentrico di geometrie, di capelli colorati, di Toni & Guy sono passato alla scuola di Coppola dove si lavora con un’impronta di taglio pulito, più facile da gestire anche a casa. Quindi ho unito le due esperienze: stile inglese con rifinitura morbida italiana”.
Essere aggiornati è fondamentale. “Bisogna seguire le ricerche. È importante anche la formazione, perché avere una base, una tecnica, vuol dire poter trasmettere qualcosa ai giovani – precisa Bazan –. Quindi insegnare come nasce lo shatush, come è cambiato il colpo di sole, come è cambiata la decolorazione negli anni ’90, negli anni 2000, fino a oggi. E bisogna ascoltare le richieste della cliente. La moda va in parallelo al mondo del capello: non a caso, Aldo lavorava a strettissimo contatto con il signor Armani, e sono stati amici per tantissimi anni. Secondo me l’influenza di Armani ha fatto sì che venissero fuori teste attuali anche a distanza di anni, come attuale è lo stile del re della moda”.
Il salone offre alle clienti anche il trattamento all’henné. “In sostituzione al collagene, si possono effettuare dei bagni all’henné per rimpolpare i capelli schiariti. Il trattamento è personalizzato, i riflessi freddi donati dal prodotto si adattano al capello, modificandone esclusivamente la brillantezza e la consistenza senza alterarne il colore”, spiega Stefano Bazan.
Il trattamento è adatto a un capello sottile, medio e schiarito, mentre per una chioma naturale o schiarita dal mare è consigliato il collagene.
“La durata del bagno d’henné è di un mese, che si riduce a circa 15 giorni per le donne che frequentano la piscina, a causa del cloro e della candeggina – specifica Stefano Bazan –. Il trattamento ha lo stesso costo del colore. Molte donne preferiscono alternare ogni due settimane il colore con il trattamento al collagene, per avere sempre il capello monitorato”.
Con i corretti interventi e le giuste attenzioni, essere più belle è possibile e, come riferisce Lorenzo Zanoni: in un salone la donna va coccolata e fatta sentire a suo agio. Molte volte sono le piccole cose a fare la differenza.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 26 Nov, 2015 | Dermocosmesi
Il sole, il vento, la neve, il fumo, l’inquinamento e il freddo sono un mix dannoso per la pelle perché provocano l’invecchiamento cutaneo, un processo involutivo irreversibile caratterizzato da un insieme di alterazioni fisiologiche che provocano la diminuzione dell’idratazione cutanea, la comparsa di irregolarità della trama, la perdita di elasticità, l’ipercheratosi e l’iperpigmentazione. “Non è sufficiente ringiovanire attraverso i trattamenti estetici – riferisce Maria Gabriella Di Russo, chirurgo estetico –. Per restare giovani esternamente è fondamentale esserlo internamente. Per tale motivo è stata studiata una strategia terapeutica sinergica domiciliare IN, assunzione di nutraceutici, unita a una terapia OUT, utilizzo di cosmeceutici”.
La linea SYNCHROLINE® è basata sulla gestione tecnologica delle vitamine e dedicata all’aging cutaneo. I prodotti contengono ingredienti funzionali che agiscono in modo sincronizzato per ottenere la massima efficacia cosmeceutica e nutraceutica. “I nutraceutici hanno proprietà medicamentose che svolgono un’azione curativa dall’interno e procurano benefici a tutto l’organismo – afferma la dottoressa –. Tali sostanze prevengono le malattie croniche, migliorano lo stato di salute, ritardano il processo di invecchiamento e aumentano l’aspettativa di vita”.
LIPOACID combi è un integratore alimentare antiossidante in capsule firmato SYNCHROLINE®. Il prodotto è ricco di Acido Lipoico, Cisteina, Vitamina E, Vitamina C e acidi grassi polinsaturi (omega 3), in grado di contrastare dall’interno lo stress ossidativo causato dai radicali liberi. “L’Acido Lipoico controlla l’attività dei radicali liberi, molecole reattive che producono un danno ossidativo irreversibile alle membrane cellulari fino a intaccare il codice genetico cellulare – specifica il chirurgo estetico –. Inoltre, la molecola recupera la Vitamina C e la Vitamina E rese inattive dopo aver compiuto l’azione antiossidante”. L’Acido Lipoico modula la produzione di melanina, e in combinazione alla Cisteina, stimola la produzione di Glutatione, un efficiente anti-ossidante dell’organismo.
“I cosmeceutici SYNCHROLINE® hanno una validità scientifica approvata – specifica la dottoressa Maria Gabriella Di Russo –. Le creme agiscono esclusivamente sulla zona trattata, in quanto svolgono un’azione curativa locale dall’esterno”.
PerkyPearl® P2 cream è una crema giorno innovativa e appartiene alla nuova skin care category, ottenuta a seguito di una valutazione della psicologia del risveglio. L’obiettivo della ricerca era creare un prodotto in grado di agire sulla sfera personale, enfatizzando autostima e auto soddisfazione. La crema illumina, idrata, rende più uniforme il colorito, diminuisce la profondità delle rughe sottili e risveglia il viso, donando alla cute un effetto Perky & Pearly, vivace e perlato. Nasce così il concetto P2 cream. Il cosmetico è un’ottima base per il make-up, poiché ne esalta vivacità e permanenza per tutto il giorno.
I benefici ottenuti dalla crema sono dovuti agli ingredienti utilizzati. “L’estratto di Persicaria permette di ottenere una radiosità sia ottica che biologica – precisa la dottoressa Di Russo –. Grazie all’estratto naturale di Brighteneen®, le radiazioni solari ultraviolette sono assorbite e rilanciate verso i propri occhi e quelli degli altri in forma di radiazione a maggiore lunghezza, mentre il matrimonio taurina-arginina modula la microcircolazione e stimola la produzione di acido ialuronico”. Un ulteriore acido contenuto nel prodotto è l’Acido Etil Ascorbico, una forma stabilizzata di vitamina C, che esercita una efficace azione antiossidante, ostacolando il processo di invecchiamento della pelle dovuto all’azione dei radicali liberi e la formazione di macchie scure provocate da eccessivi depositi di melanina.
Un derivato naturale del mais, una miscela di olii naturali estratti dalla Euphorbia Cerifera, e l’Acetilglucosamina idratano e forniscono una benefica riserva di acqua alla pelle. Synchrovit Face Cream è una crema 24H antirughe intensiva, compattante, levigante, idratante. Il cosmetico intensifica l’eliminazione delle cellule epidermiche senescenti e stimola la formazione di nuove cellule epidermiche, di acido ialuronico, e di collagene solubile. “L’effetto sincronizzato anti-rughe e anti-ossidante è reso possibile dall’azione simultanea del Retinolo microincapsulato (vit A) e Tocoferolo microincapsulato (vit E) – riferisce il chirurgo estetico –. Se abbinata alla crema giorno, Synchrovit Face Cream va utilizzata solo di notte”.
Le strategie sinergiche IN e OUT consentono di ridurre i fattori di rischio causati dall’ambiente e dall’alimentazione, rafforzare le difese immunitarie e gli antiossidanti, consentendo a ciascun individuo di vivere meglio e in salute.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 26 Nov, 2015 | Informazioni mediche
L’acne è una delle più comuni malattie dermatologiche che affligge sia adulti che adolescenti e, in alcuni casi, anche i bambini. Si tratta di un disordine che interessa le ghiandole pilosebacee. Colpisce principalmente il volto e la parte alta del tronco e si manifesta con lesioni non infiammatorie, come i comedoni chiusi e aperti, anche denominati punti bianchi e punti neri, e lesioni infiammatorie come papule e pustole. Nei casi più gravi, possono comparire anche cisti e noduli.
Sono circa 4 milioni gli adolescenti italiani colpiti dall’acne, ma pochi la affrontano correttamente. Disinformazione e cure fai da te portano spesso i giovani ad andare dal dermatologo come ultima spiaggia. Tra coloro che decidono di trattare la malattia solo il 20% si reca da un dermatologo e un altro 10% consulta il medico di medicina generale o il pediatra, mentre quasi il 70% dei pazienti si affida invece al fai da te, al passaparola, sottovalutando il problema e aggravando così il proprio quadro clinico.
“Da una recente ricerca pubblicata su BioPsychoSocial Med risulterebbe che, a prescindere dall’età in cui si presenta, l’acne ha importanti risvolti psicologici tra cui timidezza (71%), difficoltà nel farsi degli amici (24%) problemi a scuola (21%) e persino difficoltà nel trovare un impiego (7%)”, afferma Corinna Rigoni, dermatologa Presidente dell’Associazione Donne Dermatologhe Italia.
“Il dato più preoccupante emerso dalla ricerca pubblicata su BioPsychoSocial Med è che oltre il 68% degli intervistati non si è mai recato dal medico per un consulto – spiega Antonino Di Pietro, direttore scientifico dell’Istituto Dermoclinico Vita Cutis di Milano -. Il ruolo del dermatologo è fondamentale per una corretta diagnosi e l’impostazione della terapia più adatta e nel supporto al paziente. Per il batterio responsabile dell’insorgenza di alcuni tipi di acne, la resistenza ai due antibiotici maggiormente impiegati per la cura di questa malattia, quali eritromicina e clindamicina, resistenza crociata, raggiunge il 50% dei pazienti in Italia.
Le linee guida dell’American Academy of Dermatology raccomandano, per molte forme di acne, l’associazione di retinoide topico (come l’adapalene) e benzoile berossido (BPO) come terapia di attacco e di mantenimento per il trattamento dell’acne. L’associazione ha dimostrato di avere alti profili di sicurezza ed efficacia nella riduzione delle lesioni in uno studio pubblicato sul Journal of Drugs in Dermatology condotto su 452 pazienti, per 12 mesi applicando il prodotto sulla cute una volta al giorno.
L’associazione di retinoide (come l’adapalene) e benzoile perossido (BPO), rappresenta una valida terapia per le persone affette da acne, poiché agisce direttamente sia sulle lesioni infiammatorie e sia su quelle non infiammatorie, e aiuta a prevenire la formazione delle lesioni, con il vantaggio di non generare fenomeni di antibiotico resistenza.
SÌ e NO dell’acne
Esposizione solare
NO all’eccessiva esposizione solare – numerosi studi fanno ritenere che la luce solare sia in grado di aggravare l’acne. Inoltre il potenziale acnegenico di sostanze applicate sulla cute può essere aumentato dall’azione degli ultravioletti. Tuttavia alcune radiazioni solari hanno una attività antinfiammatoria e sono quindi benefiche per l’acne.
Lo stress
NO allo stress. I periodi di forte stress fanno si che nell’organismo venga attivata la produzione di alcuni ormoni, che risvegliano alcuni recettori presenti sulla superficie delle ghiandole sebacee, che stimolate producono più sebo. Ciò aumenta le possibilità di proliferazione batterica e infiammazione del follicolo.
Smog
NO allo smog. L’inquinamento fa male anche alla pelle, in particolare due elementi: l’ossido di zolfo e il monossido di carbonio riducono l’apporto di ossigeno e soffocano l’epidermide.
Fumo di sigaretta
NO al fumo di sigaretta. L’acne non infiammatoria è spesso legata all’abuso del fumo di sigaretta. IL fumo infatti impedisce una corretta eliminazione delle sostanze di scarto a livello cutaneo che vanno ad ostruire i pori.
Cibo
NO all’eccesso di zuccheri e ai cibi ad alto carico glicemico (es latte scremato), mentre grassi, cioccolato e proteine sarebbero scagionati.
Fai da te
NO al fai da te. Evitare di incidere o spremere i brufoli. L’acne non curata provoca un aumento dell’infiammazione e, nel tempo, causare cicatrici.
Pulizia della pelle
SÌ alla pulizia accurata della pelle. Per prevenire l’acne e velocizzarne la guarigione è essenziale pulire la pelle con detergenti delicati e poco aggressivi, evitare di detergerla eccessivamente per non togliere lo strato lipidico naturale e quindi rendere la cute secca e sensibile.
Cicatrici
SÌ all’intervento tempestivo. Se l’acne viene trascurata la cicatrice è la conseguenza più temuta. Le cicatrici possono essere definite polimorfe, per la presenza contemporanea di lesioni diverse, ora piane, ora depresse, ora rilevate. Studi rivelano che dal 2 al 7% delle persone con acne rimangono con cicatrici a vita.
Sport
SÌ all’attività sportiva. Mettere in movimento il corpo aiuta a regolarizzare la produzione ormonale.
In età adulta
SÌ a uno stile di vita sano. Spesso l’acne in età adulta è la spia di uno stile di vita scorretto e dei troppi impegni quotidiani che fanno si che venga trascurata la salute della pelle.
Trucco
NO all’uso scorretto dei cosmetici. Troppo trucco può peggiorare la situazione. L’ostruzione dei pori da parte di fondotinta o cipria inoltre limita la respirazione cellulare.
Creme idratanti
SÌ è possibile applicare creme idratanti sulla pelle affetta da acne, ma è fondamentale il consiglio di un dermatologo. Alcune sostanze potrebbero invece peggiorarlo.
Barba e rasatura
SÌ a una rasatura, ma attenzione! I brufoli dopo la rasatura sono molto comuni, inoltre le aree interessate dalla barba sono solitamente quelle maggiormente interessate da acne. Bisognerebbe evitare di radere aree infette o infiammate tuttavia, quando è necessario, è bene adottare alcuni accorgimenti. E’ necessario detergere accuratamente la pelle con prodotti appositi per l’acne al fine di assicurare una maggiore disinfezione.
Lo specialista
SÌ al counseling medico eppure il 68% delle persone con acne non ricorre alle cure del dermatologo. Il dermatologo è fondamentale nella scelta della terapia più adatta e nel supporto al paziente.
da ilpuntosalute | 18 Nov, 2015 | Nutrizione
Lui è Carlo Cracco, chef stellato che si muove con sapienza ed eleganza ai fornelli e lei è la rappresentate dell’Italia nel mondo: la pasta. Insieme, durante uno show cooking, per raccontare i progetti e una nuova ricetta.
“Al ristorante bisogna fare attenzione alla pasta da utilizzare. Il formato deve essere pratico: gli spaghetti, seppur amati dagli italiani, non sono facili da arrotolare, noi ci riusciamo, ma sono difficili per gli stranieri. La pasta che cuoce in pentola, poi, va girata piano piano, come se fosse una donna da accarezzare”, raccomanda Cracco.
Come pasta per la sua ricetta lui ha scelto le pacche del pastificio Felicetti. “Ho scelto questa perché non è un pacchero, non è nemmeno un mezzo pacchero, è un 3/4 di pacchero, un formato anche abbastanza bello, perché tante volte il pacchero è difficile da mangiare. Una volta le paste si preparavano in casa, ma è molto complicato. È preferibile utilizzare della pasta buona, e che abbia anche un minimo di ricerca, di qualità che offra garanzie riguardo alla nella provenienza del grano”.
Gli ingredienti per la nuova ricetta, senza olio e senza burro sono: succo di prezzemolo, lingua, caviale di lumaca (si produce vicino Roma, i Greci lo adoravano e lo chiamavano “perle di Afrodite”) e cipolle in forno (vanno appoggiate su un letto di sale per 3-4 ore, si lascia cuocere e si fa sgocciolare per 1 ora; si ottiene così anche il succo di cipolle, un concentrato di cipolla).
Con classe ed eleganza, Cracco si destreggia ai fornelli e racconta che nell’ex Convento dell’Annunciata ha fondato un’Accademia Internazionale di Cucina su impulso dell’Associazione Maestro Martino, di cui è presidente. I protagonisti sono giovani (età media 30 anni). “12 virtuosi chef che già lavorano in ristoranti di alto livello e che, nei weekend, si sono alternati ad Abbiategrasso per realizzare ricette in grado di coniugare radicamento al territorio e innovazione, fermo restando che l’elemento principe rimane il prodotto agroalimentare lombardo. A ognuno di loro veniva dato un ingrediente diverso, tipico della zona del parco del Ticino, o comunque della Lombardia, da interpretare secondo la propria visione. Molto bello vedere le culture che si incontrano: i prodotti lombardi elaborati da ragazzi di diverse regioni. Ho scelto solo i weekend, perché durante la settimana è più difficile portare la gente fuori. Sabato e domenica c’erano quindi degustazioni, scuole di cucina, giornate molto intense dedicate anche a coloro che avevano voglia di scoprire l’ex Convento dell’Annunciata.
L’ex convento dell’Annunciata, un monastero di origini quattrocentesche restaurato nel 2007 e di proprietà del Comune di Abbiategrasso, è stato concesso per un anno in comodato gratuito a Carlo Cracco. “Immaginate la bellezza di un chiostro del ’400 e di una chiesa sconsacrata, con dentro un’officina meccanica, un ospedale e qualcos’altro. Ma è stato recuperato e sono stati recuperati e salvaguardati alcuni dipinti della scuola di Leonardo – racconta Cracco –. L’ex chiesa oggi è la location in cui si svolgono le cene e in cui si suona, perché c’è anche l’Accademia musicale. Poi c’è il chiostro e sopra ci sono le celle dei monaci. Lì abbiamo realizzato una mostra sul tema del cibo con le dodici promesse che hanno posato ai fornelli. A immortalarli: Giovanni Gastel, fotografo di moda e still life, che collabora da trent’anni con le principali riviste di moda”.
L’associazione potrà utilizzare alcuni dei locali dell’ex convento. Negli altri spazi operano l’Accademia musicale dell’Annunciata, una scuola di teatro e una scuola di musica dedicata a ragazzi affetti da autismo.
L’ex monastero, segnato da decenni di degrado (la chiesa era diventata un deposito di autovetture) è stato restaurato sette anni fa, grazie a un accordo di programma fra Regione, Comune di Abbiategrasso e Università degli Studi di Milano. “Ci sono tante strutture abbandonate, soprattutto nella periferia di Milano, e bisognerebbe recuperarle, senza andare costruire ancora, senza intervenire in maniera pesante, per far rivivere bellissimi luoghi”, auspica Cracco.
E per un futuro prossimo? Un ristorante dall’appeal irresistibile, tra moda, cibo e architettura. Insieme a Lapo Elkann. Teatro delle loro future gesta, l’ex stazione di servizio Eni del ’53. “Si trova in piazzale Accursio, che una volta era la via d’entrata di Milano. È un vecchio distributore di benzina con uno stile architettonico molto particolare: si chiama Streamline Moderne ed enfatizza modelli aerodinamici, propone forme curve, lunghe linee orizzontali ed alcuni elementi nautici. La stazione ricorda un’astronave ed è stata realizzata da Mario Bacciocchi su richiesta di Enrico Mattei. Da anni abbandonata, aveva anche una abitazione di servizio. Adesso Lapo ha in mente di utilizzare pure lo spazio al piano superiore, e userà il garage per trasformarlo in un laboratorio-atelier dove personalizzare le automobili, con l’intenzione di allargare il servizio, in futuro, a barche ed elicotteri. E poi c’è una parte molto bella che lui vuole dedicare al cibo”. Un’altra location, con il fascino ormai irrinunciabile del recupero di un’area dismessa, che diventerà un locale trendy.
Adesso per Cracco è il momento di impiattare. E per noi di gustare il mix di contrasti, in religioso silenzio.
Il CEO del pastificio Felicetti, Presidente dell’Associazione dei pastai italiani e del mondo, ha sempre sostenuto che se il filetto arriva bruciato in tavola è colpa del cuoco, se arriva la pasta scotta è colpa del pastaio. “Tempo fa sembrava una cosa assurda chiamare grandi chef a interpretare la pasta: si tratta di un ingrediente apparentemente banale, nel senso che non lo prepara lo chef, non ha il momento creativo come la pasta fresca o la pasta ripiena – riferisce Riccardo Felicetti –. Il momento creativo in realtà arriva dopo. Lo chef sceglie il formato della pasta e aggiunge poi la parte creativa. Da 6/7 anni a questa parte credo ci sia stato un cambiamento radicale nella percezione della pasta sia dal nostro punto di vista, sia da chi la pasta la lavora tutti i giorni in cucina, anche nelle grandi cucine sia italiane che internazionali. Credo che i clienti siano passati dal pensare ‘perché devo andare in un ristorante come quello di Cracco a mangiare la pasta quando posso prepararla io tutti i giorni a casa’, a ‘vado al ristorante di Cracco a mangiare la pasta perché la sua inventiva e i suoi abbinamenti possono stimolarmi a emularlo a casa’. È un modo per avvicinare la grande cucina internazionale alla cucina domestica.
In Italia si producono più o meno 3,5/4 milioni di tonnellate di pasta, dipende dalle stagioni. Gli Stati Uniti producono 2 milioni di tonnellate, e poi via, via ci sono altre nazioni come la Spagna, come la Turchia… la più esotica forse è il Kazakistan. Si produce tanta pasta anche in Giappone, ci sono più di 26 nazioni produttrici di pasta all’interno di I.P.O. International Pasta Organisation”.
Il pastificio Felicetti. La storia del Pastificio è la storia della famiglia Felicetti, che va avanti da più di cent’anni. In quattro generazioni il sogno di “nonno” Valentino si è realizzato e il suo piccolo laboratorio è oggi un’impresa conosciuta in tutto il mondo per la bontà e la qualità dei suoi prodotti.
Dal 1908, sempre nello stesso luogo, nel territorio straordinario delle Dolomiti, ci sono il lavoro e la passione della stessa famiglia, con valori che da allora restano immutati.
Il coraggio e la voglia di fare solo cose ben fatte, l’umiltà di imparare sempre, la fiducia che scaturisce dall’avere una visione e la capacità di condividerla, la saggezza di aprirsi a nuove sfide senza perdere di vista quello che il proprio cuore considera l’obiettivo più importante: creare qualità, senza mai accontentarsi. Sono questi i valori che ancora oggi, giorno dopo giorno, costruiscono il futuro dell’azienda.
Oggi il Pastificio Felicetti occupa una superficie di 5 mila mq e può contare su circa 60 dipendenti e quattro linee di produzione che lavorano a ciclo continuo – due per la pasta corta, una per gli spaghetti e una per le tagliatelle a nido. La produzione giornaliera è di 80 tonnellate, suddivise in un centinaio di formati nei differenti impasti: grano duro, all’uovo, biologico e biologico integrale.
Clementina Speranza e Simone Lucci
da ilpuntosalute | 13 Nov, 2015 | No profit
15 testate femminili italiane da sempre in prima linea a fianco delle donne hanno scelto in libertà i colori e i materiali della propria Patty Toy Madly, perché il risultato esprimesse a pieno lo spirito e l’identità di ogni singola rivista. Realizzate interamente a mano con pellami pregiati e lavorazioni artigianali, minute e spesso irripetibili, le 15 inedite Patty Toy Madly sono oggetti d’arte e di moda. Il 17 novembre si terrà l’asta benefica ‘La Moda Cambia’ e sarà possibile acquistare questi pezzi unici. Si tratta di un appuntamento dedicato alla bellezza del made in Italy e alla solidarietà delle donne per le donne: la base d’asta è 500 euro e tutto il ricavato andrà a finanziare il progetto di microcredito Jamila di Fondazione Pangea Onlus, dedicato alle donne di Kabul.
La Fondazione Pangea Onlus lavora dal 2002 a favore dello sviluppo economico e sociale delle donne realizzando progetti che prevedono corsi di alfabetizzazione, educazione igienico-sanitaria e ai diritti umani, assistenza medica, e microcredito per l’avviamento di attività generatrici di reddito. In oltre dieci anni di attività, Pangea ha consentito a oltre 40 mila donne e alle loro famiglie di migliorare le proprie condizioni attraverso un circolo virtuoso di redistribuzione delle risorse, con effetti positivi importanti che operano un reale cambiamento dal basso. La Fondazione è attualmente attiva a Kabul, in Afghanistan, con il progetto di microcredito Jamila e con Casa Pangea – un centro di accoglienza per i bambini delle famiglie più povere, e in India, a Calcutta, dove si occupa di donne e ragazze disabili. Pangea è impegnata anche in Italia, con un progetto per la prevenzione e la lotta alla violenza di genere, con particolare attenzione a quella domestica, in collaborazione con alcuni centri antiviolenza che realizzano programmi di recupero e reinserimento per le donne vittime di violenza e i loro figli.
Nell’evento che lega Milano e Kabul, La Moda cambia e basta un gesto per cambiare.
Per partecipare all’asta è possibile richiedere l’invito a lamodacambia@braintropy.it fino a esaurimento posti (tutti gli aggiornamenti riguardo a luogo e orario dell’evento si trovano su www.braintropy.it).
Braintropy. La collezione Braintropy bags nasce da un’idea di Salvio Rollo, imprenditore e creativo con una lunga esperienza nella moda. Il viaggio è la dimensione da cui scaturisce l’ispirazione per un progetto che vive di stimoli raccolti nelle strade del mondo. Le parole chiave sono contaminazione e trasformazione.
La spinta è forte, il desiderio di dare un’impronta sempre più precisa altrettanto e, nel 2012, Salvio Rollo fa nascere il progetto Braintropy: una collezione di borse donna e uomo che in ogni singolo modello racconta l’impulso vitale di trasformazione e il valore dell’espressione di ogni personalità.
Con Braintropy, l’accessorio diventa il segno dell’unicità perché a ciascuno si chiede di assemblarlo, di trovare il proprio modo di utilizzarlo in maniera creativa e originale. Patty Toy e Zaby, i modelli iconici che esprimono al meglio questo concept, sono distribuiti oggi in circa 150 punti vendita in tutta Italia. Patty Toy è la borsa da creare mixando in libertà pattine di chiusura e corpi.
Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 10 Nov, 2015 | Moda
Ricicla -> Reinventa -> Rinasci è la filosofia del brand indipendente EKOCYCLE™ creato nel 2012 da The Coca-Cola Company e dal musicista William James Adams, fondatore e produttore dei Black Eyed Peas, meglio conosciuto come will.i.am. Rapper, produttore discografico, stilista, attore e doppiatore statunitense.
“Coca-Cola e will.i.am: due entità distinte e differenti che hanno unito le forze per educare i consumatori all’importanza del riciclo. L’obiettivo del brand è dare una nuova vita a materiali di scarto, attraverso la produzione di veri e propri oggetti di design. Alcune cose le disegna will.i.am in persona: raffigura, abbozza e schizza ciò che gli piace. ‘Whaste is only waste if we waste it’: i rifiuti sono rifiuti solo se li rifiutiamo, è una sua frase”, riferisce Cristina Broch, Corporate and Public Affairs Manager.
EKOCYCLE™ identifica i materiali di scarto, che possono diventare la materia prima per realizzare oggetti glamour e di tendenza. “Giubbotti, magliette e zaini sono ricavati da lattine in alluminio, bottiglie in PET e PlantBottle™ – chiarisce Cristina Broch –. Introdotta nel 2009, PlantBottleTM è una bottiglia di plastica PET completamente riciclabile e non biodegradabile. E’ ricavata da una combinazione di materiali tradizionali e con una percentuale fino al 30% di origine vegetale. Un processo innovativo trasforma l’etanolo ricavato da canna da zucchero in una componente della plastica PET. L’innovazione adottata consente di ridurre le emissioni di anidride carbonica rispetto alle tradizionali bottiglie ricavate interamente dal petrolio e da altri combustibili fossili. In numerose t-shirt, poi, è stampata un’etichetta che specifica il quantitativo di bottiglie in PET utilizzate”.
Obiettivo? Collaborare con i marchi più influenti, spaziando dalla tecnologia alla moda, e ricostruire con il riciclaggio, aiutando i consumatori a comprendere che oggetti oggi considerati “da buttare” domani possono diventare parte integrante di un prodotto utile e di tendenza.
Levi’s, Adidas, MCM, RVCA, e 3D System sono alcune aziende iconiche della moda e della tecnologia con cui il brand ha instaurato una partnership.
“La collaborazione con Levi’s ha permesso di produrre jeans composti per il 29% da materiale riciclato proveniente da 8 bottiglie in PET. Le cuffie Beats by Dr. Dre sono fabbricate per il 31% col materiale riciclato di 3 bottiglie in PET – precisa la Corporate and Public Affairs Manager –. Differenti oggetti a tiratura speciale possono essere acquistati esclusivamente in corner presenti a Londra e in America”.
Ultima arrivata in casa EKOCYCLE™ è la stampante 3D Cube® firmata 3D Systems che utilizza cartucce realizzate, in parte, con 3 bottiglie di plastica PET riciclata post-consumo. “La stampante consente di esprimere l’enorme potenziale di studenti, artisti, inventori e amanti del fai-da-te. Non si tratta solo di produrre un oggetto a casa propria, ma di cambiare il modo di concepire il riciclo”, riferisce Broch.
Dal Brasile all’India, dal Sudafrica alle Filippine, Coca-Cola sostiene oltre 550 mila donne tra produttori, fornitori, distributori, rivenditori, addetti al riciclo e artigiani attraverso il progetto 5by20 che sta per “5 milioni di donne entro il 2020”. Il progetto, nato nel 2010, con un investimento iniziale di 100 milioni di dollari, ha l’obiettivo di assistere economicamente 5 milioni di donne imprenditrici nei Paesi in via di sviluppo. “Inizialmente, il programma ha fornito aiuto e istruzione su moda, design e riciclo alle donne brasiliane e filippine – spiega Cristina Brosch –. Le artigiane utilizzano tappi, etichette delle bottiglie e linguette delle lattine di Coca-Cola per dar vita a borse, accessori decorativi per la casa. Con il riciclo delle bottiglie di vetro realizzano una linea di bigiotteria. Il ricavato ottenuto dalla vendita viene interamente ridonato alle donne per sostenere la loro emancipazione”.
In partnership con la All China Women’s Federation, l’iniziativa si è estesa in Cina per fornire competenze imprenditoriali alle commercianti. In Kenya, il progetto offre alle giovani imprenditrici corsi di formazione sulle abilità imprenditoriali e risorse per avviare nuove imprese, grazie al sostegno di TechnoServe. In Messico, le giovani donne ricevono formazione e corsi di avviamento al loro primo impiego.
Inoltre, i nuovi corsi di istruzione imprenditoriale 5by20 sono il risultato del sodalizio siglato da The Coca-Cola Company e UN Women, l’organizzazione ONU creata per aiutare e sostenere donne e ragazze in Sudafrica, Brasile ed Egitto a conquistare l’autonomia economica.
Adottare un comportamento concreto, differenziando i rifiuti in maniera accurata, e proporre al mercato un numero maggiore di prodotti realizzati con materiale riciclato sono le strategie per creare un nuovo stile di vita basato sulla tutela dell’ambiente e sul riciclo. Vivere in modo sostenibile e avere un atteggiamento responsabile nei confronti della natura può essere cool e di tendenza.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 3 Nov, 2015 | Informazioni mediche
I riflettori sono ora puntati sul nuovo approccio di “genere” nella ricerca, nella prevenzione, nelle terapie: una dimensione medica innovativa che studia come le differenze tra uomini e donne influiscono sulla cura delle malattie, per garantire a tutti il miglior trattamento. Una rivoluzione che investe ogni aspetto della Medicina e della ricerca, un nuovo paradigma che combina i dati genetici con le informazioni sulle malattie per ottenere diagnosi sempre migliori e terapie sempre più personalizzate, appropriate ed efficaci: è la Medicina di precisione. La Medicina di genere, uno dei capitoli più promettenti della Medicina personalizzata e di precisione, studia l’impatto specifico del “genere”, maschile e femminile, sullo sviluppo e l’evoluzione delle malattie, con l’obiettivo di assicurare a tutti, uomini e donne, il miglior trattamento possibile sulla base delle caratteristiche personali. “Il futuro della medicina si va articolando sempre di più attorno all’idea di precisione, con la promessa, che in qualche brillante caso è già realtà, di terapie sempre più mirate che rispondano non più tanto alla definizione generale di una malattia, quanto al suo concreto e singolare dispiegarsi nell’individuo – afferma Umberto Veronesi –. E questa idea di una sempre maggiore precisione e della personalizzazione della cura non può non investire un aspetto fondamentale dell’identità delle persone come quello legato al genere: capire pienamente quali siano le differenze di genere che influenzano maggiormente le malattie e le terapie è una delle grandi sfide della scienza del futuro”.
Le differenze di genere influenzano molti aspetti della vita reale: un esempio è la preparazione fisica alle attività sportive, come testimoniato da Maurizia Cacciatori, già capitano della Nazionale di Pallavolo, modello vincente dell’approccio di genere nello sport.
Maurizia Cacciatori è il simbolo italiano della pallavolo nel mondo. É una delle giocatrici più vincenti di sempre a livello di club, con i suoi 17 trofei vinti in carriera.
É nata a Carrara il 6 aprile 1973, di ruolo alzatrice, alta 178 cm, schiacciava a 298 cm e murava a 274 cm e vanta 228 presenze in Nazionale. Oggi è un’ex pallavolista, opinionista televisiva per Sky Sport per la pallavolo femminile ed è stata chiamata a portare la sua esperienza in merito alla medicina sportiva e al concetto di personalizzazione.
Come interviene il concetto di “personalizzazione” nelle attività di prevenzione che un atleta segue per mantenersi in buona salute e nella preparazione alle performance sportive?
Sulla base della mia esperienza, la medicina sportiva è uno degli ambiti in cui il concetto di personalizzazione è pienamente sviluppato. Infatti in ogni fase delle attività dell’atleta c’è un’attenzione grandissima per tutti gli aspetti specifici e personali legati alla sua salute. Anche solo parlando del semplice certificato di idoneità sportiva per la pratica agonistica, i riscontri ai quali deve sottoporsi l’atleta sono molto approfonditi: esami delle urine, del sangue, della vista, elettrocardiogramma, spirometria. E ogni atleta deve avere obbligatoriamente ottenuto questa certificazione prima di poter iniziare la pratica sportiva. È molto importante sottolineare che questo livello di attenzione per lo stato di salute dello sportivo in passato non c’era e che, al tempo stesso, è cambiata anche la mentalità dell’atleta in questo senso. Un atleta professionista oggi è consapevole che per essere più longevo, per avere una carriera più continua, più sicura e più tranquilla ha necessariamente bisogno del supporto di un medico che lo segua in modo personalizzato.
Ovviamente il tema della personalizzazione nella pratica sportiva assume un’ulteriore importanza quando si considerano le differenze di genere tra atleti uomini e donne. Dal punto di vista dell’alimentazione non ci sono differenze sostanziali, neanche ad alti livelli agonistici: alle Olimpiadi di Sidney, alle quali ho preso parte, nel Villaggio Olimpico, il menu delle squadre di pallavolo maschile e femminile era lo stesso: pasta al pomodoro, olio extravergine, bresaola, pollo alla griglia, etc.
Ma l’approccio personalizzato coinvolge in modo importante la preparazione fisica all’attività sportiva agonistica: è un dato di fatto che una donna non ha la stessa forza, la stessa dinamica, la stessa resistenza fisica di un uomo. Ogni atleta, o ogni team, ha uno staff medico che lo segue per la preparazione atletica che è completamente differente se si tratta di uno sportivo o di una sportiva.
In questo scenario un fattore che può rivelarsi determinante è quello ormonale: in prossimità del ciclo mestruale infatti le prestazioni sportive delle atlete raggiungono standard più elevati. Questo fattore riveste un’importanza tale da venir monitorato anche dagli staff medici dei team sportivi femminili, come è avvenuto alla nostra squadra in occasione di una Coppa del Mondo dove il medico della squadra aveva preparato dei grafici per studiare quanto il periodo in cui avremmo avuto il ciclo si sarebbe avvicinato alle date delle nostre prestazioni.
L’aspetto più importante è che il confronto con questo tipo di approccio abitua l’atleta, in particolare le donne, a conoscere e riconoscere le specificità di genere del proprio organismo.
Tra uomini e donne si può riscontrare molto spesso anche un differente approccio alla malattia, un modo diverso di viverla e di affrontarla, dalla diagnosi alla terapia. Cosa ne pensa?
Mi sembra che la donna abbia più resistenza sia fisica che psicologica nell’affrontare una malattia, a prescindere da quale sia l’entità. Probabilmente da un punto di vista culturale la donna è più portata a farsi “carico” della malattia senza rinunciare agli impegni quotidiani, spesso per un uomo anche solo una leggera forma influenzale viene drammatizzata.
Personalmente nel corso della mia carriera non ho mai avuto grandi infortuni ma, se si parla dei tempi di recupero post-infortunio, notiamo differenze enormi tra gli atleti uomini e donne, perché ovviamente entrano in gioco tantissime dinamiche, anche dal punto di vista semplicemente caratteriale. In definitiva potremmo sintetizzare le differenze di genere tra uomini e donne nello sport citando Julio Velasco, uno dei più grandi allenatori della storia della pallavolo, che avendo allenato entrambe le nazionali italiane, quella maschile e quella femminile, ha sempre detto di essersi confrontato con due pianeti completamente differenti pur trattandosi della stessa disciplina sportiva.
La Medicina di Genere
Cos’è la Medicina di Genere?
La Medicina di Genere è una branca recente delle scienze biomediche che ha l’obiettivo di riconoscere e analizzare le differenze derivanti dal genere di appartenenza sotto molteplici aspetti: a livello anatomico e fisiologico, dal punto di vista biologico, funzionale, psicologico, sociale e culturale e nell’ambito della risposta alle cure farmacologiche.
È stato ormai dimostrato da molteplici studi che le differenze di genere, in primis quelle nella fisiologia umana, in caso d’insorgenza di malattia si riflettono significativamente sulla genesi, la prognosi e la compliance degli individui.
La finalità di questa innovativa disciplina è arrivare a garantire a ciascuno, uomo o donna che sia, il miglior trattamento possibile sulla base delle evidenze scientifiche.
Cosa significa il concetto di ‘genere’
Per ‘differenze di genere’ s’intendono non soltanto i caratteri sessuali degli individui, ma anche e soprattutto un insieme di specificità che scaturiscono sia dalla differente fisiologia e psicologia degli uomini e delle donne sia dai diversi contesti socio-culturali di riferimento.
In altre parole, si è maschi o femmine non solo in base al sesso, ma anche ad altri aspetti della fisiologia dell’organismo e agli specifici ruoli che ricopriamo nella società.
Il background della disciplina: la sindrome di Yentl
L’idea che uomini e donne presentino delle differenze importanti – come, ad esempio, quelle osservabili nell’apparato cardiocircolatorio, per non considerare la variabilità dell’assetto ormonale – e che queste differenze svolgano un ruolo cruciale in medicina, risale alla metà degli anni Ottanta.
Qualche anno dopo la cardiologa Bernardine Healy, allora a capo dell’Istituto Nazionale di Salute Pubblica statunitense, pubblicava un articolo intitolato The Yentl Syndrome, dal nome dell’eroina di un racconto di Isaac B. Singer, costretta a travestirsi da uomo per accedere allo studio del Talmud.
L’articolo commentava i risultati di due studi effettuati su un gruppo di donne affette da coronaropatia, puntando il dito sull’atteggiamento discriminatorio dei medici cardiologi nei confronti delle pazienti che, a differenza dei malati uomini, subivano un numero maggiore di errori diagnostici, ricevevano meno cure ed erano sottoposte a interventi chirurgici non risolutivi. Come Yentl, scriveva Healy, anche le donne sono state costrette a trasformarsi in ‘piccoli uomini’ per rientrare nei canoni della ‘medicina classica’.
Nel 1992, la cardiologa Marianne J. Legato dava avvio alla Partnership for Women’s Health alla Columbia University di New York. La prima sperimentazione riservata alle donne fu avviata più di dieci anni dopo, nel 2002, con l’istituzione nella medesima Università del primo corso di Medicina di Genere, dopo che la disciplina era stata finalmente inserita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nell’Equity Act stilato nel 2000.
In tempi recenti i temi della Medicina di Genere hanno richiamato l’attenzione anche delle Istituzioni europee: nel maggio scorso a Bruxelles, presso la sede del Parlamento Europeo, si è svolto un incontro incentrato sulle strategie per promuovere misure volte a ridurre l’incidenza di patologie cardiovascolari in Europa; nel corso dell’incontro, tra l’altro, è stata messa in evidenza la scarsa presenza di donne (solo il 33%) nei trial clinici che testano farmaci per le patologie cardiovascolari. Da questo incontro è scaturita la proposta di una legge, analoga a quella americana, che renda obbligatoria in Europa un’equa rappresentanza femminile (50%) nei trial per patologie cardiovascolari e ictus, prime causa di mortalità femminile.
I vantaggi della Medicina di Genere
Un approccio di genere alla medicina consente di:
- ridurre il livello di errore nella pratica medica;
- promuovere l’appropriatezza terapeutica;
- migliorare e personalizzare le terapie;
- generare risparmi per il Servizio Sanitario Nazionale.
Le principali differenze di genere nell’ambito delle patologie
Patologie cardiovascolari
Le malattie cardiovascolari (dall’infarto all’aterosclerosi) hanno sempre spaventato più gli uomini che le donne. Ma si tratta di un errore, giacché il 38% delle donne colpite da infarto muore nel giro di un anno, contro il 25% degli uomini. Anche in caso di ictus i 12 mesi successivi sono più a rischio per le donne: i decessi ne colpiscono il 25%, contro il 22% degli uomini.
Infarto
Le donne sembrano meno capaci degli uomini di riconoscere in tempo il principale campanello d’allarme dell’infarto, cioè l’angina pectoris, dal momento che i sintomi si presentano in modo diverso rispetto agli uomini. Nei Manuali di Medicina viene tipicamente descritto come un dolore toracico a livello dello sterno, oppressivo e costrittivo, di breve durata, che può irradiarsi al braccio sinistro. Nelle donne, secondo lo studio Wise (Women Ischemic Syndrome Evaluation) dell’Istituto Nazionale di Salute Pubblica statunitense, i sintomi che appaiono per primi sono un dolore irradiato alle spalle, al dorso, al collo, la mancanza di fiato, nausea persistente, sudori freddi, vomito, spossatezza, ansia e debolezza. Gli operatori non consapevoli di queste differenze non riconoscono questi sintomi o li riconducono a un’influenza o a problemi gastrici. Di conseguenza il ricovero avviene troppo tardi, o magari non viene effettuato in terapia intensiva coronarica, rendendo meno efficaci le terapie. Molte volte, infatti, la donna con infarto è indirizzata al pronto soccorso in area verde e non in area rossa o può essere inviata in gastroenterologia piuttosto che in psichiatria, proprio perché non manifesta dolore. E più la donna è giovane, più i sintomi sono assenti o atipici. C’è una differenza anche nelle arterie colpite: nell’uomo sono coinvolte le grandi arterie, nella donna quelle piccole (il microcircolo) e quindi la coronarografia potrebbe non rilevare anomalie, con la necessità perciò di rivolgersi ad altri mezzi diagnostici. Inoltre, ci sono differenze anche nei fattori di rischio per l’infarto: il diabete è un fattore di rischio quattro volte più grave nella donna, e anche l’ipertensione incide di più. Insomma, le differenze sono tante e si sono scoperte solo negli ultimi anni: infatti tutti i lavori di epidemiologia sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari non hanno considerato donne oppure ne hanno analizzato una percentuale talmente bassa (10-15%) che i risultati statistici non sono significativi. Differenze dal punto di vista terapeutico: la cardioaspirina non è un farmaco efficace nella prevenzione primaria dell’infarto nella donna, mentre lo è nella prevenzione dell’ictus.
Aterosclerosi
Nel sesso femminile l’aterosclerosi ha uno sviluppo diverso. Negli uomini le placche aterosclerotiche cominciano a formarsi a partire già dai 30 anni, nelle donne invece questo in genere accade dopo la menopausa. Durante l’età fertile, infatti, l’organismo femminile è protetto dagli estrogeni, che agiscono sulla dilatazione dei vasi, rendendoli più ampi ed elastici e consentendo così il passaggio del sangue anche in presenza di placche e facilitandone la riparazione in caso di lesioni. Con la menopausa, però, questa protezione ormonale svanisce e l’organismo si trova improvvisamente esposto a tutti i fattori di rischio.
Diabete
La sindrome metabolica ha una prevalenza del 60% nelle donne sopra i 65 anni di età e le donne diabetiche sono in lieve sorpasso rispetto agli uomini (5,2% vs 4,4%). In generale la donna con diabete ha una peggiore qualità e una minore aspettativa di vita.
Dal punto di vista delle complicanze cardiovascolari, la malattia diabetica può essere considerata più pericolosa: il rischio di morte cardiovascolare è più che doppio per le donne rispetto agli uomini. Una cinquantenne diabetica vive in media 8,2 anni in meno rispetto a una coetanea non diabetica, contro i 7,5 anni degli uomini. Fino ai 64 anni non si osservano differenze significative tra uomini e donne per la comorbosità delle patologie cardiovascolari e diabete, mentre, a partire dai 65 anni, la prevalenza è più alta tra le donne e raggiunge tra le ultrasettantacinquenni il 10,1%; lo svantaggio femminile s’incrementa ulteriormente tra gli ultrasettantacinquenni (+27%). Alcune forme di diabete, poi, colpiscono le donne in fasi ‘delicate’ della loro vita come la gravidanza o la menopausa: il 50% delle donne con diabete gestazionale sviluppa, dopo 5-10 anni, diabete di tipo 2.
Patologie polmonari
Tumore del polmone
Agli inizi del secolo scorso il tumore al polmone era una malattia rara nelle donne. Ha cominciato a diffondersi nel sesso femminile a partire dagli Anni ‘60, anche a causa del diffondersi dell’abitudine al fumo. Il cancro del polmone nella donna è aumentato del 600% da metà del Novecento ad oggi (le donne hanno storicamente iniziato più tardi a fumare e oggi le fumatrici stanno aumentando più dei maschi) e i carcinogeni del tabacco sono più nocivi per le femmine, che hanno inoltre meno capacità di riparare il DNA. Se comparati a quelli degli uomini i polmoni delle donne, anche di non fumatrici, appaiono più vulnerabili rispetto alle patologie tumorali. Anche nel caso del tumore al polmone, così come avviene per quello al seno, gli ormoni (in particolare gli estrogeni) giocano un ruolo importante. Nelle donne ancora fertili la malattia è più aggressiva e, al contrario di quanto avviene nel caso del tumore alla mammella, il numero di gravidanze gioca un fattore negativo: le donne che hanno avuto più figli sembrano sviluppare, infatti, maggiori probabilità di sviluppare la malattia. Si sono osservate anche alcune associazioni col papilloma virus e un rapporto negativo con gli estrogeni (che riducono il cancro del colon ma aumentano quello del polmone). Dall’analisi del database Surveillance, Epidemiology and End Results, che custodisce le storie cliniche di oltre 31.000 pazienti americane con tumore al polmone, risulta che le donne affette da neoplasie polmonari in terapia presentano infine maggiori effetti collaterali.
Asma
La prevalenza di questa malattia ha un doppio andamento: prima della pubertà, gli uomini sono colpiti due volte più delle donne. Dopo lo sviluppo sessuale, questa differenza scompare, anzi tra le donne adulte l’asma è più frequente che negli uomini. Il ‘sorpasso’ è dovuto agli ormoni: gli estrogeni, infatti, regolano il rilascio di diverse molecole proinfiammatorie (citochine) coinvolte nello scatenarsi della reazione asmatica. Anche la menopausa è un periodo a rischio: quando le ovaie cominciano a cessare le loro funzioni, si verifica un aumento spontaneo della produzione di citochine, con un conseguente peggioramento o addirittura una prima comparsa della malattia.
Bronco-Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO)
Oggi, la BPCO colpisce più gli uomini che le donne, ma queste ultime muoiono di più a causa di questa patologia. Nei prossimi dieci anni, peraltro, avverrà il sorpasso del sesso femminile anche nel numero di casi. La colpa è del fumo e della sua sempre maggiore diffusione nella popolazione femminile. Le fumatrici hanno una maggiore probabilità di sviluppare la forma grave della malattia: a parità di sigarette, nelle donne la BPCO si manifesta prima, con sintomi peggiori e conseguenze più nefaste. Inoltre, a parità di esposizione al fumo, le donne con BPCO hanno un rischio più elevato di danno polmonare, un maggiore grado di dispnea (cioè di mancanza di fiato) e uno stato di salute peggiore rispetto agli uomini. Nonostante queste evidenze, nelle donne la malattia è sottovalutata: quando si presentano dal medico, le pazienti hanno meno probabilità di ottenere una diagnosi tempestiva (e quindi una cura appropriata), anche perché la spirometria, l’esame che serve a valutare la funzionalità respiratoria, viene prescritta più facilmente a un uomo che a una donna.
Patologie neurodegenerative
Malattia di Parkinson
La Malattia di Parkinson è da 1,4 a 2 volte più frequente negli uomini che nelle donne. Uno studio condotto nel 2003 dal Kaiser Permanente di Oakland, in California, mostra un tasso globale per i maschi del 91% superiore a quello femminile: 19 casi ogni 100.000 uomini, contro 9,9 casi ogni 100.000 donne. Pur essendo meno colpite, le donne lamentano in generale una maggiore disabilità e una qualità di vita peggiore. Una volta comparsa, la malattia ha un decorso simile nei due sessi e non ci sono grandi differenze per quanto riguarda la sua durata (10,1 anni in media per gli uomini, 10,3 anni per le donne). La maggiore diffusione nel sesso maschile è probabilmente dovuta a fattori genetici (è stato evidenziato un legame tra la malattia e una mutazione di alcuni geni presenti sul cromosoma X, di cui gli uomini hanno una copia sola), ormonali (a proteggere le donne sarebbero anche gli estrogeni) e ambientali (gli uomini sono maggiormente esposti all’azione di sostanze tossiche).
da ilpuntosalute | 3 Nov, 2015 | Benessere, Nutrizione
La zucca intagliata con occhi fiammeggianti non rappresenta esclusivamente il simbolo della spaventosa notte di Halloween, l’ortaggio risulta anche un valido alleato per prepararsi all’inverno grazie alle sue proprietà curative, terapeutiche e benefiche.
Ricca di Betacarotene, Vitamina B, Vitamina E, fibre e aminoacidi, la polpa della zucca è adatta per i trattamenti cosmetici.
Il vegetale è un ingrediente di bellezza che ridona un aspetto rilassato e luminoso ai visi più stanchi, grazie alle sue proprietà sedative, emollienti e lenitive esercitate sulla cute. Una tazza di polpa di zucca finemente tritata, mescolata a mezza tazza di zucchero di canna e a un pizzico di cannella, è un ottimo gel esfoliante da applicare sul volto e da risciacquare con acqua tiepida
In cucina, la zucca è un vero e proprio toccasana da includere in una dieta corretta, grazie alla scarsa quantità di calorie e per le sue proprietà antiossidanti, diuretiche e antinfiammatorie. La polpa ottenuta svuotando le zucche può essere conservata facilmente per lunghi periodi in freezer, all’interno di comodi sacchetti monoporzione e cucinata all’occorrenza, senza il bisogno di scongelarla.
Per una marmellata dal sapore autunnale, la polpa di zucca è perfetta. La confettura si ottiene con dadini di zucca, privati dei semi, trasferiti in una pentola con qualche cucchiaio di zucchero e lasciati macerare per almeno 12 ore. Successivamente, al composto si uniscono cannella, noce moscata, mezzo bicchiere di liquore all’amaretto, il succo di mezzo limone e la scorza dell’agrume grattugiata. La marmellata va cotta per 1 ora a fuoco moderato e riposta in vasetti accuratamente sterilizzati.
pumpkin risotto
Per creare uno snack irresistibile, i croccanti e golosi semi possono essere tostati in forno a 180°. Tritati finemente insieme a noci e verza, con l’aggiunta di olio d’oliva, parmigiano, pepe e un pizzico di zenzero, i semi si trasformano in un pesto gustoso e delizioso per accompagnare pasta lunga come spaghetti e bavette.
Il colore vivace e la sua forma unica, consentono al vegetale di trasformarsi in un originale elemento d’arredo, donando alla casa uno stile tipicamente autunnale.
L’ortaggio risulta anche un ottimo contenitore. Una zucca abbastanza grande e tonda può essere svuotata e utilizzata come zuppiera durante un pranzo in famiglia, oppure decorata con fiori di stagione, foglie, pungitopo e trasformarla in un elegante e colorato centrotavola.
Dai semi alla buccia, senza dimenticare la polpa, la zucca è un efficace soluzione per mantenere il corpo in salute, per preservare la bellezza della pelle e per arredare le abitazioni. Della zucca non si butta via niente.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 30 Ott, 2015 | Moda
Cotone, lino, seta per le camicie uomo e donna del brand Bagutta che nel 2015 ha compiuto 40 anni. Per celebrare il compleanno e i successi, l’azienda ha scelto di rendere omaggio al suo passato con una limited edition d’eccellenza: una camicia bianca in due modelli, uomo e donna. Grazie alla partnership con il Gruppo Albini, la camicia prodotta in edizione limitata è realizzata nel pregiato Super Popeline 200, un tessuto ottenuto da un filato sottilissimo ed esclusivo in cotone egiziano Giza 45, della collezione haute de gamme David & John Anderson. Lavorato con titolo 200/2 e in doppio ritorto, con un processo artigianale lento e accurato, il Giza 45 esprime l’inimitabile raffinatezza di un cotone unico al mondo. Si tratta di una varietà coltivata in una piccola area del Delta del Nilo, così rara da rappresentare appena lo 0,4% sul totale della produzione annua egiziana. Il filato è talmente fine che ne servono ben 75 km per realizzare una camicia.
Il tessuto che ne nasce, luminoso e compatto, dalla mano straordinariamente setosa e leggera, regala un’esperienza sensoriale intensa e l’emozione di indossare un capolavoro dove uomo e natura hanno dato il meglio di sé.
I dettagli sartoriali della camicia ne valorizzano il prestigio: per il collo l’adesivo è lo stesso utilizzato dai sarti, così da risultare composto ma leggero, adatto per un uso più urbano. I bottoni sono in madreperla, mentre sulla schiena un piegone centrale conferisce un fit moderno.
Bagutta rilegge un classico, la camicia bianca, alla luce di una nuova ricerca sui materiali e i dettagli, per farne un’icona dell’eleganza contemporanea. “Per Bagutta la camicia bianca è il mito delle origini, un fattore identitario profondo – evidenzia Antonio Gavazzeni, AD di Bagutta –. La limited edition per i 40 anni del brand vuole rappresentare il più alto punto d’arrivo di una lunga tradizione, sintesi di valori radicati nel nostro dna imprenditoriale: qualità, innovazione, servizio. Un pezzo da collezione e un gioiello per il guardaroba”.
Popeline e Pin Point (un tessuto misto fatto di popeline e di Oxford, con fili di ordito colorati, realizzato con fibre di cotone extra-lunghe) tutto l’anno, e lino, garze e mussole in estate sono i tessuti più richiesti.
Per le camicie vengono utilizzati i migliori cotoni egiziani che, per la maggior parte, provengono da tessiture italiane: Albini, Canclini, Monti…
Il “Su Misura” proposto da Bagutta. Si possono scegliere collo, polsino, tessuto, cifratura, ampiezza e lunghezza della manica, e poi, dopo quattrocentottanta ore e ventottomilaottocento minuti (cioè venti giorni lavorativi), si avrà un capo su misura, anche se non prettamente sartoriale.
In sartoria si prendono al centimetro tutte le misure necessarie per la produzione della camicia, il “Su Misura” Bagutta si basa invece su un prototipo di camicia che viene modificato a seconda delle esigenze del cliente, il quale potrà finalmente richiedere una camicia taglia 40 in cui la circonferenza del collo corrisponda a una 38.
Il servizio, inoltre, offre la possibilità di selezionare i tessuti e di realizzare modelli che variano nel collo (6 le opzioni: italiano, francese, botton-down, ecc.), nel polso (5 tipi, tra cui: smussato, arrotondato, doppio bottone), nella lunghezza e nell’ampiezza della manica e del torace. E il cliente ha la facoltà di scelta anche per quanto riguarda tasca, carré e iniziali.
Asole, impunture, giro manica rifiniti a mano e tessuti esclusivi per un altro servizio, Bagutta Sartoria Milano, particolarmente incentrato sulla qualità delle materie prime e su una lavorazione artigianale che ha luogo interamente in Italia.
A Milano, due le boutique: una in via Fiori Chiari 7, nel cuore di Brera, e l’altra in via San Pietro all’Orto 26, a pochi passi da Via Montenapoleone. Bagutta è un brand appartenente al gruppo CIT S.p.a (Confezioni Italiane Tessili). “L’impresa di famiglia, Cit nata nel 1939, decide nel 1975 di puntare sulla camiceria uomo e donna come core business, grazie all’incontro tra mio padre Pino e Giorgio Armani – racconta Antonio Gavazzeni –. Nasce così Bagutta, oggi gestita da me e da mio cugino Andrea, terza generazione della famiglia e nipoti del maestro Gianandrea Gavazzeni, celebre direttore d’orchestra. Continuiamo ancora oggi a collaborare con Giorgio Armani producendo per la sua azienda quasi tutte le camicie delle sue collezioni”.
“B di camicia”, e nessuna incoerenza quando la B è quella di Bagutta, sinonimo di alta qualità.
Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 28 Ott, 2015 | Sport
La Kombat™ FISI è la nuova tuta da gara degli Azzurri. Blu navy, con il tricolore stampato a fondo gamba, accompagnerà sulle piste anche Giulia per la stagione 2015/2016.
Lei è Giulia Stürz, ha 22 anni e vive in Trentino, precisamente in Val di Fiemme, luogo in cui vi è una forte tradizione per lo sci nordico, che ha ospitato le 3 le edizioni dei campionati mondiali di sci di fondo.
Giulia inizia a gareggiare sin da piccola, quando non aveva ancora 6 anni, l’età che consentiva di partecipare alle competizioni. “Ma non mi piaceva correre sugli sci — afferma –, ero invece la bambina più felice del mondo quando mia mamma mi portava nelle piste di fondo, lì mi divertivo. Lo testimonia anche una foto esposta in casa che mi ritrae mentre piango per l’odio sfrenato per lo sci di discesa”.
Giulia Stürz capisce da subito qual è la sua strada. “Le prime soddisfazioni, l’ambiente sano e i nuovi amici nell’ambito dello sport… è stato un approccio naturale alla fatica. Arrivano le prime vittorie e i primi podi alle gare del paesello, è così che noi le chiamiamo”.
Poi l’ingresso in FISI (Nazionale Italiana Sport Invernali), dove Giulia Stürz, titubante agli esordi, nel 2007 vince la sua prima gara “sprint”. “Ricordo bene quella gara perché mi ha premiata un grande campione italiano nella mia disciplina, Pietro Piller Cotter, che è oggi il mio allenatore. Ho acquisito sicurezza e, quando ho avuto la consapevolezza del mio potenziale, ho iniziato a impegnarmi sempre di più, fino a far parte oggi della Nazionale Under 25”. Da quella gara in poi Giulia Sturz ha continuato a collezionare medaglie: un bronzo nel campionato Mondiale Under 23 lo scorso anno in Val di Fiemme, e due bronzi quest’anno ai Mondiali Under 23 disputati in Kazakistan. “Nell’ultima gara vinta avevo accanto mio padre e gli ho dedicato la vittoria. Mi viene la pelle d’oca solo a pensarci. Se i miei genitori non mi avessero trasmesso la passione e non mi avessero sostenuta, non avrei ottenuto questi risultati”. Dopo una vittoria, tagliato il traguardo, le capita spesso di pensare alla famiglia che la incoraggia e con cui ha un legame molto forte.
Insegnamenti: Pietro Piller Cottrer è da due anni il suo allenatore. “Se affronti un problema nel modo più sereno è facile superarlo. Un problema non è permanente. Niente è impossibile. Essere sereni sempre e trovare il lato positivo delle cose”, questi sono gli insegnamenti di Pietro Piller Cottrer che l’accompagnano nella vita quotidiana e nello sport.
Pietro Piller Cottrer, classe 1974, soprannominato CaterPiller da quando nel 1997 vince la 50 Km di Holmenkollen-Oslo, è il più giovane e il primo italiano ad aggiudicarsi questa gara, davanti al norvegese Bjorn Daehlie, il più vittorioso nella storia dello sci di fondo. “Pietro ha annunciato il suo ritiro in una conferenza in Trentino, dove si svolgevano i Mondiali Fiemme 2013. La decisione di ritirarsi l’ha presa dopo l’incidente alla Marcialonga che gli ha impedito di partecipare ai Mondiali”, riferisce Giulia.
Si è ritirato dopo una ventina d’anni passati sugli sci da fondo, a tutte le latitudini e dopo una collezione di successi: 36 podi in Coppa del Mondo, un oro olimpico e uno mondiale, e una Coppa del Mondo di distanza.
Allenamenti: “Alterniamo le settimane di scarico a quelle di carico. Incentriamo la nostra preparazione sull’allenamento a secco per la prima parte (da maggio a settembre). In questi mesi ci alleniamo in palestra e usiamo la forza e lo skirol.
Da settembre a ottobre iniziamo a mettere gli sci ai piedi e ci rechiamo nei ghiacciai o nei tunnel. In Germania ad esempio ce n’è uno di 2 km.”
Alimentazione: L’alimentazione è molto importante e Giulia la cura con attenzione. “Sono un po’ dormigliona e se posso dormo fino alle 9,; quando siamo in raduno, invece, la sveglia è alle 7. La colazione è fondamentale nella vita dell’atleta, è importante per il recupero della fatica muscolare ed è il pasto che preferisco perché è il più fantasioso. Inizio con una carica di carboidrati. Adoro i fiocchi d’avena con il latte o con l’acqua, accompagnati con bresaola e gallette. Aggiungo la frutta secca, noci e mandorle, e una tazza di the verde. Poi posso cucinare i pancake o i muffin. Per variare, utilizzo talvolta il latte di soia, e sono sempre alla ricerca di ricette particolari, anche quelle vegane. Preferisco i cibi naturali e non amo esagerare con gli integratori e con i sostituti degli alimenti veri”. Sebbene viva con i genitori, che fanno gli albergatori, è lei la regina della cucina, e la pasta è il suo piatto preferito. “Adoro le linguine al farro della Felicetti, che è anche mio sponsor da un anno, un marchio di pasta che nella dispensa di casa mia c’è sempre stato. Cucino le linguine al pomodoro, ai frutti di mare, con un buon olio d’oliva…”
Clementina Speranza
da ilpuntosalute | 23 Ott, 2015 | Vino
Una piccola area collinare che comprende 19 comuni in provincia di Brescia è la terra d’elezione delle più famose bollicine italiane: la Franciacorta. Si distende tra filari di vigne che avvolgono morbidamente le colline, vecchi borghi antiche cascine, ville patrizie e castelli medievali delle famiglie patrizie bresciane.
La zona è delimitata a oriente dalle colline rocciose e moreniche, a occidente dalla sponda sinistra del fiume Oglio, a nord dalle rive del lago d’Iseo e dalle ultime propaggini delle Alpi Retiche e a sud dalla fascia pianeggiante e dall’autostrada che unisce Brescia a Bergamo.
La struttura geologica del terreno è calcarea e il clima temperato, anche per influsso del lago, questo la rende specialmente adatta alla coltura della vite, che infatti fu praticata fin dall’antichità da Etruschi, Galli, Cenomani e Romani.
La Franciacorta come zona principe della spumantistica nasce intorno agli anni ’60. Uno dei pionieri fu l’enologo Franco Ziliani della Guido Berlucchi. L’istituzione del consorzio di tutela nasce nel 1990, docg nel 1995. Nel 2008 è stato pubblicato il nuovo disciplinare, innovativo rispetto al 1995.
Secondo il disciplinare, questo spumante deve maturare più di 24 mesi, di cui 18 mesi in bottiglia. Deve essere prodotto con uve Chardonnay e Pinot nero ed è consentito anche l’uso del Pinot Bianco, fino a un massimo del 50% dell’uvaggio.
La vendemmia deve essere leggermente anticipata rispetto a quella dei vini fermi, per conservare nell’uva il corredo acido indispensabile a uno spumante di qualità. La raccolta delle uve è eseguita a mano in cassette di piccola capacità. Il raccolto viene tenuto diviso per vigneto e sottoposto a soffice spremitura e vinificato separatamente. I vini ottenuti contribuiranno alla creazione della Cuvée, una mescolanza di vini base Franciacorta, anche di differenti annate.
Si procede a una fermentazione in bianco a bassa temperatura (18/20) previa aggiunta di lieviti selezionati per un periodo massimo di 25 giorni.
Il processo di spumantizzazione o presa di spuma del vino base o del mosto vino consiste nell’attivare una seconda fermentazione in bottiglia.
Gli zuccheri, naturali o aggiunti, vengono metabolizzati dai lieviti selezionati, con formazione di una certa quantità di alcool e sviluppo di anidride carbonica.
Il gas, che non può disperdersi si scioglie nel vino legandosi a composti proteici e genera la spuma o perlage.
Formazione della Cuvée: si ottiene dalla miscela di vini in proporzioni stabilite dall’enologo per conferire al prodotto caratteristiche qualitative costanti.
Nella formazione della Cuvée è consentita l’aggiunta di vini di annate precedenti in percentuale massima del 30%, a esclusione di vini base destinati alla produzione di spumanti millesimati.
Il vino base viene posto in una bottiglia di vetro pesante che deve resistere alla pressione.
Affinché si possa verificare la rifermentazione, è necessario addizionare la liqueur de Tirage.
Tirage: aggiunta di uno sciroppo di zuccheri e lieviti attivi e piccole dosi di sostanze minerali e chiarificanti utili alla successiva eliminazione delle fecce, al vino messo in bottiglia, allo scopo di attivare una lenta rifermentazione naturale che sviluppa anidride carbonica con incremento di pressione fino a 5/6 ATM.
I lieviti del tipo Saccharomyces, devono essere resistenti alle basse temperature dei locali in cui viene realizzata la fermentazione (11/13) e alla pressione che essi stessi producono (5/6 bar).
Quindi le bottiglie vengono chiuse con un tappo provvisorio a corona (bouchon de tirage), con un cilindretto di polietilene detto bidule, destinato a facilitare la raccolta del sedimento finale, vengono poste orizzontalmente in cataste fermate da lunghi listelli di legno, in locali bui e freschi.
Le bottiglie rimangono accatastate per tempi di maturazione diversi a seconda della tipologia di Franciacorta.
Presa di spuma
Nelle cataste, nel giro di qualche mese si svolge la rifermentazione, questa fase deve terminare entro 120 giorni e all’interno delle bottiglie la pressione deve essere almeno 5 bar, misurata a 20 gr. A questo punto il vino è già spumante.
Maturazione sulle fecce
Quando i lieviti esauriscono lo zucchero, entrano in quiescenza e precipitano sulla parete della bottiglia, avviene la cosiddetta autolisi del lievito, dovuta alla morte e alla successiva rottura delle cellule del lievito stesso.
In questo modo si liberano nel vino molte sostanze aromatiche che a loro volta sono in grado di operare trasformazioni che conferiscono complessità e finezza allo spumante.
Al fine della qualità del prodotto finale è determinante il tempo di permanenza sulle fecce.
Periodicamente le bottiglie vengono rimosse (sbancamento delle cataste) e scosse per evitare che le fecce si incrostino sulle pareti e per favorire il contatto delle sostanze liberate per autolisi con tutta la massa liquida.
Remuage sur Pupitres.
Al termine della maturazione sui lieviti è necessario eliminare il sedimento naturale che si è depositato nelle bottiglie.
Questo si ottiene con il remuage e successivamente con il degorgement.
Le bottiglie vengono poste nelle pupitres, cavalletti in legno inclinati, caratterizzati da fori sagomati.
Dall’iniziale posizione orizzontale le bottiglie vengono ruotate a mano ogni giorno di 1/8 o di ¼ di giro, variandone gradualmente l’inclinazione fino a portarle quasi in verticale al termine di circa 30 giorni. Dopo questo periodo il sedimento si trova contro il tappo nella bidule, pronto x esere eliminato.
L’operazione del remuage può anche essere fatto con le famose Gyropallettes.
Sboccatura: dopo che le spoglie dei lieviti si sono depositate nei colli delle bottiglie tramite il remuage, cioè a dire la roteazione e l’inclinazione di queste, avviene l’eliminazione delle stesse attraverso la ghiacciatura del collo della bottiglia e l’espulsione della bidule che li ingloba.
Il collo della bottiglia viene immerso in un liquido refrigerante a -25; parte del vino congela inglobando il sedimento, il freddo attenua la pressione, sufficiente però a eliminare il sedimento quando si toglie il tappo a corona
Lo spumante comincia a invecchiare da questo momento
Liqueur d’expedition
Il livello del vino nella bottiglia viene ripristinato con l’aggiunta di solo vino o dello sciroppo di dosaggio (vino base Franciacorta anche di annate, con aggiunta di zucchero, sovente con un goccio d’acquavite). Ricetta tenuta segreta dai produttori, poiche’ responsabile del gusto del prodotto e della maison
La Liqueur, in base alla grammatura di zucchero, determina la tipologia di gusto e la personalità del Franciacorta.
A questo punto le bottiglie possono essere tappate.
Prima della commercializzazione viene applicato il contrassegno di stato rilasciato dal Ministero delle Politiche Agricole.
Franciacorta. Le etichette recano solo questa dizione, un unico termine definisce il territorio, il metodo di produzione (doppia rifermentazione in bottiglia) e il vino.
Tempi di produzione
7 mesi dalla vendemmia – tiraggio per i Franciacorta non millesimati
18 mesi (minimo) di rifermentazione in bottiglia a contatto con i lieviti prima di poter passare alla sboccatura.
24 mesi x i saten e i Rosé NV
30 mesi x i millesimati
60 mesi per i Riserva (67 mesi dalla vendemmia)
Brut
Perlage finissimo e persistente, colore giallo paglierino intenso con riflessi verdi,
bouquet con nota della rifermentazione in bottiglia, sfumato ma deciso profumo di lievito, crosta di pane, arricchito da delicate note di agrume e di frutta secca (mandorla, nocciola e fichi secchi) e speziato.
Al gusto è sapido e fresco, fine, armonico.
Gradazione minima 11,5%
Pressione in bottiglia tra le 5 e 6 Atm.
Saten
Marchio registrato dal consorzio nel 1995.
È un Blanc des Blancs, con il Pinot Bianco (massimo 50%).
Pressione in bottiglia tra le 4 2 4,5 Atm, comunque minore di 5 Atm, che ne determina la peculiare morbidezza gustativa.
Lp si trova solo nella versione Brut.
Frutta matura, fiori bianchi, note tostate e frutta secca.
Rosé
Chardonnay, Pinot Bianco e Pinot Nero (minimo 25%)
Le uve bianche e rosse sono vinificate separatamente.
Può anche essere prodotto con PN vinificato rosé, oppure nascere dal suo assemblaggio con Chardonnay e/o PB.
Può essere dosato in tutte le tipologie di gusto.
Le uve del PN vengono fatte fermentare a contatto con le bucce per il tempo necessario a conferire al vino la tonalità di rosato desiderata.
Millesimato
È ottenuto da vini base di un’unica annata per almeno l’85%.
Ci vogliono 37 mesi dalla vendemmia per immetterlo sul mercato, 30 dei quali trascorsi in bottiglia a contatto dei lieviti per dare intensi profumi e aromi delicati e fini.
I vintage hanno una personalità sensoriale e gustativa che rispecchia le caratteristiche climatiche dell’annata e le espressioni qualitative delle uve di quella specifica vendemmia.
Franciacorta Riserva
Vintage, che può anche essere un Saten o un Rosé, che ha riposato 60 mesi sui lieviti, immesso quindi sul mercato dopo 67 mesi.
Tipologia: Pas Dosé, extra Brut, Brut, extra Dry, sec e Demi sec.
Conservazione:
Le bottiglie vanno tenute coricate affinché il tappo rimanga umido ed espanso e garantisca la tenuta, al buio al fresco a temperatura costante fra i 10 e 15 gradi.
Manlio Giustiniani
Sommelier FIS e Wine Consultant
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da ilpuntosalute | 21 Ott, 2015 | Nutrizione
Puro è il nuovo tartufo senza zuccheri aggiunti e gluten free proposto da La Perla, azienda cioccolatiera di Torino. Le due varianti: Puro Nero e Puro Latte, caratterizzati dall’intenso profumo delle miscele di cacao unito al gusto delle Nocciole del Piemonte, hanno conquistato i palati dei gourmand più esigenti. Il packaging vellutato di Puro, con incarto declinato in oro per il Nero e in argento per il Latte, rispecchia l’anima dei tartufi.
Tartufo bianco, tartufo pralinato, tartufo fondente con caffè e nocciole, tartufo fondente con granella di cacao, mini tartufini fondenti, alla stracciatella e al pistacchio sono altre gustose specialità dell’azienda.
La Perla nasce a Torino nel quartiere Borgo Rossini dall’esperienza di Sergio Arzilli, pasticcere di tradizione familiare con la passione per il cacao e per il lavoro artigianale. Dal 1992, Arzilli dedica una speciale linea di prodotti alla sua città adottiva. Le creazioni rispecchiano i gusti degli appassionati del cioccolato e sottolineano i profumi degli ingredienti tipici piemontesi con cui sono realizzate le delizie. La Perla Nera è il primo tartufo pralinato prodotto dell’azienda torinese.
Le prelibatezze piemontesi sono state protagoniste di diversi eventi. Durante il cocktail party presso Palazzo Trussardi, in occasione del Salone del Mobile 2015, Trussardi con Grazia Casa hanno presentato la nuova collezione, offrendo una degustazione di cioccolatini di La Perla creati con un packaging elegante e personalizzato. Inoltre, per l’inaugurazione delle iniziative Fuorisalone 2015 promossa da Interni Magazine, La Perla ha deliziato i palati dei giornalisti e degli ospiti con tartufi e praline.
Gli ingredienti, la ricerca delle ricette, la cura delle confezioni, l’attenzione ai dettagli e la continua innovazione sia nelle formulazioni che nel packaging permettono alla fabbrica di proporre dolci nuovi, sfiziosi e attenti ai gusti della clientela italiana ed estera.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 20 Ott, 2015 | Bio
Quale sarà la sorte degli edifici di Expo Milano 2015 al temine dell’esposizione? Alla conclusione di Expo, il padiglione Monaco verrà smontato e riutilizzato come sede della Croce Rossa locale vicino a Ouagadougou, capitale del Burchina Faso. Lo scopo principale del centro sarà fornire una formazione di primo soccorso a livello nazionale e in tutta la regione dell’Africa occidentale. Sarà un centro collegato direttamente con l’aeroporto più importante di quella zona dell’Africa. Il complesso di 6 ettari comprenderà alloggi, campi sportivi, un centro di formazione e di soccorso nautico, e un campo fotovoltaico. “Il tetto del padiglione non svolgerà più la funzione di giardino – spiega Nicole Chiodelli, communication officer –. Sul tetto o in un campo vicino saranno installati dei pannelli solari per alimentare l’intera struttura”. L’85% delle funzioni del padiglione verrà mantenuto e l’edificio soddisferà gli standard HQE (Alta Qualità Ambientale).
La struttura del Padiglione di Monaco è progettato dall’architetto italiano Enrico Pollini ed è frutto di un’approfondita riflessione sulle tematiche dell’ecologia, del riciclo e del riutilizzo. Le mura del pavillon sono create con 19 containers. I moduli di trasporto più utilizzati al mondo hanno il compito di diffondere il concetto di scambio e commercio e rappresentano un concreto esempio di recupero creativo. Il tetto è interamente in legno e richiama la forma di una tenda, ovvero il primo riparo in tutti quei Paesi a cui Monaco offre il proprio aiuto. La struttura è realizzata in modo tale da raccogliere l’acqua piovana e alimentare piante e colture. Ibisco, begonie, gerbere, lavanda e le colture mediterranee disegnano i contorni dei 5 continenti e le diverse specie di piante provenienti da ogni continente rappresentano l’universalità che caratterizza Expo Milano 2015. Sul tetto è realizzato un giardino verticale composto da Sfagno, un muschio in grado di assorbire tre volte di più una certa quantità di acqua, creando un isolamento naturale contro vento e calore.
L’interno del Padiglione di Monaco, invece, è progettata dallo studio tedesco Facts and Fiction e coniuga l’aspetto tipico di un magazzino a quello di un ambiente marittimo, infatti, sono riprodotti effetti sonori che ricordano il frangersi delle onde per sottolineare il forte legame tra Monaco e il mare. Le pareti interne dei containers mantengono i loro colori originali e il pavimento grigio e “spartano” è tipico del mondo dei trasporti e identificativo degli hangar.
L’area espositiva è concepita come uno spazio free-flow: i visitatori possono scegliere diversi ingressi e attraversare la zona in modi differenti, muovendosi liberamente attraverso le stazioni interattive. L’area prevede dieci distinte tappe realizzate interamente con casse da spedizione in legno che simboleggiano le iniziative e le azioni che saranno pronte per essere “spedite” in tutto il mondo.
Le tematiche affrontate riguardano la salvaguardia dell’ambiente, l’ecologia, il riciclo, la pesca sostenibile e la deforestazione.
“Lo stato ha sfruttato le innovazioni tecnologiche per realizzare il primo vivaio urbano di ostriche – dichiara Nicole Chiodelli –. Il macchinario consente la produzione di fitoplancton di cui si nutrono le ostriche. Tale tecnologia è una soluzione innovativa per fornire alla popolazione ostriche di altissima qualità”.
Il Principato è attento alla gestione sostenibile delle foreste e alla lotta contro la deforestazione. “Le foreste pluviali sono fondamentali per la sopravvivenza del pianeta – afferma Chiodelli –. Monaco supporta il progetto Wood Forever Pact, il quale prevede la produzione di yacht con legnami provenienti solo da foreste gestite in maniera sostenibile”.
Monaco, inoltre, incentiva la pesca sostenibile attraverso il progetto Mr. Goodfish, una lista che indica quali pesci che si possono pescare in ciascun periodo dell’anno per rispettare la stagionalità di riproduzione delle specie marine. “Lo stato combatte la pesca a strascico e industriale – spiega Chiodelli –. Tali modalità di pesca consentono di ricavare molto più pesce di quanto ce ne sia effettivamente bisogno. Il menù del ristorante (Fairmont Monte Carlo) annesso al padiglione è stato modificato già 4 volte dall’apertura di Expo, per rispettare il Mr. Goodfish e quindi la stagionalità di riproduzione dei pesci”.
Un altro progetto del Principato riguarda la salvaguardia delle aree marine protette nel mediterraneo, fondamentali per preservare le specie, gli habitat, la pesca sostenibile e di conseguenza il turismo, cioè in generale la green economy. Una delle aree marine protette è a Monaco.
In un grande contenitore cilindrico trasparente sono contenute delle meduse. “Quelle nell’espositore non sono urticanti, ma esistono meduse molto pericolose, alcune hanno tentacoli che raggiungono i 60 metri di lunghezza e hanno un diametro di 30 metri. Le meduse costituiscono un problema per l’ambiente marino perché sopravvivono sia in habitat puliti, sia in acque inquinate – precisa la communication officer –, con la presenza di meduse viene meno il turismo e se si continuiamo a pescare quelli i loro predatori ne avremo sempre di più. È un problema che va fermato”.
Anche l’inquinamento dei mari e degli oceani è dannoso per la fauna marina. “L’acidificazione delle acque cambia la composizione del fitoplancton di cui si nutrono i pesci, provocandone la morte – specifica Nicole Chiodelli –. Per fronteggiare la problematica, Monaco si impegna a ridurre le emissioni di CO2”.
Un’altra stazione si riferisce agli obiettivi di sviluppo del millennio. “Nel 2000, le Nazioni Unite avevano fissato 8 obiettivi universali che dovevano essere raggiunti nel 2015, a firmare Monaco e altri 188 Paesi – afferma Chiodelli –. Migliorare la salute delle donne in gravidanza, introdurre l’istruzione primaria universale, sradicare la povertà e la fame, combattere HIV, l’AIDS, la malaria e altre malattie, sono gli obiettivi chiave. Attraverso dei cubi stimoliamo il visitatore a riflettere su quanto è stato fatto in questi 15 anni”.
Il Principato ha avviato programmi di cooperazione in Madagascar, Burkina Faso e Mongolia. “L’Associazione Agronomi e Veterinari sensibilizza la popolazione nomade locale della Mongolia all’allevamento di yak per uscire dall’economia di sussistenza – riferisce la communication officer –. In Burchina Faso, le popolazioni bruciano la legna nelle abitazioni per cucinare, così respirano moltissima polvere che fa malissimo alla salute. Attraverso un progetto, il Principato di Monaco sostiene la produzione di forni che vengono anche commercializzati, mentre in Madagascar è stata attivata una lotta contro la mal nutrizione, in particolar modo delle donne in gravidanza”.
Dopo la sala espositiva, è possibile entrare nell’area ristorante. A livello architettonico, la zona richiama l’elemento della scatola di legno, in modo tale da mantenere un effetto di continuità. Qui, l’atmosfera è differente. Piante aromatiche, ceste di frutta e verdura fresca decorano i centrotavola, un chiaro rimando ai prodotti coltivati nell’orto presente sul tetto. La gestione dell’area è affidata alla società monegasca Fairmont Monte Carlo, che ha selezionato come chef Philippe Joannès.
Ecosotenibilità, ecologia, riciclo, riutilizzo sono i temi fondamentali del Principato del buon esempio.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 14 Ott, 2015 | Informazioni mediche
Il Lesotho incontra l’Italia. Il Lesotho è un paese dell’Africa meridionale, con circa due milioni di abitanti a forte maggioranza cattolica e un’alta percentuale di persone infette dal virus dell’HIV.
Domenica 20 settembre 2015 a Roma presso l’Istituto Clinico Cardiologico sono stati ricevuti da una delegazione scientifica Italiana e dalla MedTAG Ltd., il Ministro della Salute del Regno del Lesotho (S.E. Molotsi Monyamane) e la sua delegazione. L’Istituto Clinico Cardiologico è sede del “Training Hospital of the Future” della MedTAG, leader mondiale nello sviluppo di tecnologie di simulazione e nell’erogazione di servizi di formazione medica.
Durante la visita al centro Training Hospital of the Future, la delegazione del Lesotho ha partecipato a una serie di dimostrazioni delle attività di formazione attraverso simulazione in selezionate aree terapeutiche e ha potuto effettuare alcune esercitazioni di procedure mediche sugli umanoidi della MedTAG Ltd.
Obiettivi della visita? Mostrare alla delegazione del Lesotho una panoramica delle attività del centro di simulazione medica Training Hospital of the Future: le attività di ricerca e sviluppo, i sistemi di simulazione MedTAG, la metodologia formativa i relativi vantaggi con particolare attenzione alle malattie infettive. E discutere sull’opportunità di progettazione, realizzazione e gestione di un centro avanzato di simulazione Training Hospital of the Future in Lesotho, con particolare attenzione a programmi educativi e formativi sulle malattie infettive.
Il Ministro della Salute del Regno del Lesotho desidera quindi realizzare un centro di formazione medica attraverso simulazione utilizzando il concept, le tecnologie e le metodologie di formazione rivoluzionarie del progetto Training Hospital of the Future di MedTAG. Il centro sarà focalizzato nella formazione in alcune delle aree tra le più critiche del paese, tenuto presente che il Regno del Lesotho rappresenta il terzo paese con la più alta incidenza di HIV.
Il centro si avvarrà delle consulenza scientifica di importanti opinion leader tra cui i seguenti professori:
– Dott. Angelo M.M. Di Giannantonio, Presidente e Amministratore Delegato Istituto Clinico Cardiologico (ICC), Roma
– Dott. Gianluca Oricchio, Direttore Cardiochirurgia, Istituto Clinico Cardiologico (ICC), Roma
– Dott. Giovanni Di Perri, Direttore della Clinica di Malattie Infettive, Professore ordinario, Università degli Studi di Torino
– Dott. Francesco Castelli, Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive, Professore ordinario e titolare della Cattedra UNESCO 2014-2018 (Training and Empowering Human Resources For Health Development in Resource-limited Countries), Università degli Studi di Brescia.
da ilpuntosalute | 13 Ott, 2015 | No profit
Quando la città si muove è lo slogan della 4^ edizione di Aids Running in Music, la corsa non competitiva per la prevenzione di HIV e AIDS che animerà il centro di Monza il 17 e il 18 ottobre 2015. Iniziativa sponsorizzata tra i tanti da Diadora, Radio Deejay e JMB (J. Medical Books edizioni srl), e promossa dalla sezione lombarda di ANLAIDS, da sempre impegnata a sostenere i progetti di ricerca su Hiv e Aids. ANLAIDS opera da più di 25 anni, attraverso corsi di formazione, l’aggiornamento del personale socio sanitario e l’erogazione di borse di studio e premi.
Le passate edizioni di Aids Running in Music hanno fornito un importante contributo per sostenere il lavoro dei ricercatori della Clinica di Malattie Infettive dell’Ospedale San Gerardo e dell’Università degli Studi Milano Bicocca. Grazie ai fondi raccolti, sono stati attivati cinque nuovi ambulatori specialistici per il supporto clinico ai pazienti che hanno contratto l’infezione, e nell’ultimo anno è stato lanciato il bando per tre borse di studio e tre contratti di ricerca.
“Oggi se ne parla sempre meno, ma l’Aids continua a colpire in silenzio – riferisce il Professor Andrea Gori, Direttore dell’Unità Operativa Malattie infettive dell’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza –. Il numero delle nuove diagnosi si è mantenuto costante, con un aumento del numero di persone affette da HIV che convivono con la malattia, mantenendo una buona qualità di vita grazie ai farmaci”. In Lombardia, il tasso d’incidenza annuale delle nuove diagnosi di HIV segnalate nel 2013 è dello 0,20% ogni 100 residenti. Il dato, fornito dal secondo Workshop di Economia e Farmaci per l’Hiv (WEF-HIV 2015), colloca la Lombardia fra le più colpite dal virus, con circa 20 mila pazienti affetti dall’infezione, seguite dal Lazio, dall’Emilia Romagna e dalla Liguria.
“In Italia, il 50% dei casi di Hiv e Aids vengono diagnosticati in modo tardivo – afferma il Professor Gori –. È fondamentale avviare interventi di prevenzione mirati e andare oltre le campagne pubblicitarie di offerta generica dei test”. Quest’anno, il progetto si impegna, anche, alla prevenzione dall’infezione da Epatite C causata dal virus HCV che attacca il fegato, causando danni strutturali e funzionali anche molto gravi. “Per tale motivo, durante l’evento Aids Running in Music sarà possibile effettuare test gratuiti per l’HIV e per l’HCV – dichiara Andrea Gori –. Esami svolti presso i nostri gazebo in Piazza Trento e Trieste”.
Grazie alla partnership con Radio Deejay, nel Villaggio allestito in Piazza Trento e Trieste si respirerà un’atmosfera di festa con alcuni degli speaker molto apprezzati dell’emittente, come Diego Passoni e La Pina.
Lo sport sarà un elemento fondamentale di Aids Running In Music, che coinvolgerà i partecipanti alla corsa in un percorso di circa 6 chilometri per raggiungere tutti insieme il traguardo ideale delle “zero infezioni” e della vittoria nella lotta contro l’Aids.
Come iscriversi
L’iscrizione è aperta a tutti e potrà essere effettuata sia presso i Punti di Raccolta dedicati, aperti dal 1° al 16 ottobre 2015, sia on-line, con pagamento tramite bonifico bancario o carta di credito fino al 10 ottobre 2015. Subito dopo il pagamento, ogni partecipante riceverà via email il codice di iscrizione che dovrà esibire allo stand per il ritiro del pettorale il giorno della gara. Nel pomeriggio di sabato 17 e la mattina di domenica 18 ottobre sarà, inoltre, possibile iscriversi presso la segreteria organizzativa di Aids Running in Music, in Piazza Trento e Trieste, a Monza.
Tutte le informazioni sui Punti di Raccolta e le diverse modalità di iscrizione alla corsa sono disponibili on-line: http://www.aidsrunninginmusic.com/programma/partecipa.html
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 12 Ott, 2015 | Benessere
Il profumo del rossetto e della lacca, l’aroma dei distillati che si respira nelle enoteche, l’odore salino del mare durante il tramonto, la fragranza di un bouquet di fiori sono alcune evocative e inedite profumazioni della linea Home Fragrance firmata Angelo Caroli. “Anni di ricerca e di studio hanno consentito di individuare la formula per creare fragranze attente alla salute e non testate sugli animali, che presto saranno commercializzate – riferisce Deborah Facchino, look designer –. Si tratta di profumazioni dedicate al living che si possono indossare perché sono vere Eau de Toilette”.
Sono racchiuse in una bottiglia cubica, trasparente, dal design semplice, pulito e lineare che si adatta a ogni ambiente. “Le Home Fragrance si possono utilizzate in casa, ma anche in luoghi più vasti: hotel, spa, boutique, gioiellerie – afferma Facchino –. Sono aromi molto persistenti: uno spruzzo vaporizzato in aria dura circa 3/4 ore. L’erogazione dei bastoncini, invece, è molto intensa all’inizio e diminuisce dopo un paio d’ore”.
L’azienda asseconda le esigenze degli acquirenti. “I laboratori offriranno anche la possibilità di realizzare differenti e personalizzate profumazioni per l’ambiente e per la persona – specifica la look maker –. Tutto ciò per soddisfare i gusti della clientela”.
Sette profumi e un olio emozionale compongono, invece, la linea Emozioni, fragranze unisex, ricercate e originali adatte al corpo e ai capelli. Liquirizia Nera, Tuberosa Nera, Amore Nero, Innamorata, Sette Agrumi, Magnifico Patchouli e Viola sono i nomi dei profumi artigianali proposti dal brand. “Le materie prime sono naturali: fiori e resine lavorati a mano, che garantisco una persistenza fedele tutto il giorno – riferisce Deborah Facchino –. Le profumazioni possono essere indossate su corpo e capelli, e mixate tra loro, grazie a questa particolarità, ognuno può diventare un alchimista e creare nuovi aromi”.
L’olio emozionale è un mix di numerose essenze differenti, capitanate dal geranio e dalla citronella. “La profumazione è stata studiata e pensata per i clienti che non amano le fragranze che procurano pizzicore in gola e mal di testa – chiarisce Deborah Facchino –. Questo olio non deve essere vaporizzato e si indossa sui punti caldi del corpo e sui capelli”. L’olio emozionale è molto concentrato e quando si scalda abbraccia il ph personale, emanando sempre un bouquet differente. “Una volta massaggiato l’olio, rimangono tutte le essenze e si perdono gli odori di citronella e geranio – specifica Facchino –. Le due fragranze restano poi, volutamente poco gradite alle zanzare”.
L’olio emozionale si può applicare tra i capelli come hair fragrance, una goccia è sufficiente per dare l’effetto profumato. La fragranza è adatta a tutta la famiglia, inclusi gli animali domestici.
Accurata selezione di materie prime, attenzione alla salute e artigianalità consento al brand di realizzare profumi ricercati, evocativi e come affermava l’esperto britannico Michael Edwards: una fragranza è emozione liquida.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 9 Ott, 2015 | Nutrizione
Le proprietà benefiche dell’ortofutta sono dovute all’abbondante presenza di sostanze protettive: i polifenoli e i flavonoidi che conferiscono ai vegetali colori vivaci e invitanti. Rosso, verde, bianco, giallo/arancio e blu/viola sono le cinque colorazioni di frutta e verdura. Ogni colore corrisponde a sostanze specifiche ad azione protettiva, per cui variando i tipi di frutta e verdura si coprono i differenti fabbisogni dell’organismo. Gli alleati del benessere si nascondono, infatti, nel gusto e nel colore di frutta e verdura, rigorosamente di stagione.
L’uva è il simbolo indiscusso della tradizione contadina e abitualmente associata alla produzione di vini DOC. Il frutto è estremamente digeribile, contribuisce a ridurre il livello di colesterolo e a eliminare l’acido urico, con una conseguente azione disintossicante e antifiammatoria. Per un break energetico, rimineralizzante e disintossicante, un buon bicchiere di succo d’uva è un toccasana.
Le pere sono un’ottima fonte di vitamina C, potassio, fibre e antiossidanti. Grazie al fruttosio e al glucosio, il frutto aumenta il senso di sazietà con un apporto calorico ridotto ed è particolarmente indicato per tenere sotto controllo la pressione sanguigna. Inoltre, le pere sono ricche di acqua, favoriscono la diuresi e perfette dopo un periodo caratterizzato da un’alimentazione sregolata.
La mela è ricca di magnesio, zinco, vitamina C, e acido malico. L’alimento, che ha ispirato la saggezza popolare, possiede proprietà depurative perfette per ridare il giusto sprint all’organismo. Favorisce, inoltre, le funzioni digestive e contribuisce ad abbassare i livelli di colesterolo. Se mangiato con la buccia nella varietà delicious, è ottimo per stimolare la diuresi. Le mele possono essere frullate o grattugiate per la felicità dei bimbi, mentre per chi ama le insalate, è sufficiente abbinarla a rucola, valeriana o carote e condirla con olio extravergine d’oliva.
Antiossidanti, acido folico e sali minerali sono il mix vincente contenuto nel rosso vivace e sanguigno della barbabietola. L’alimento è ideale per una dieta detox, favorisce l’eliminazione dei grassi e contribuisce al corretto funzionamento di fegato e cistifellea. Per un veloce pranzo in ufficio può essere gustata in insalata o grattugiata, condita con olio e limone. Nelle sere autunnali con le prime piogge in arrivo è perfetta stufata con olio extravergine e qualche spicchio d’aglio.
Dal sapore particolare e tendente all’amarognolo, la catalogna cresce anche spontaneamente. Il vegetale è un vero toccasana grazie all’elevato contenuto di fosforo, calcio e vitamina A, e stimola la digestione e la diuresi. Con un potere calorico piuttosto limitato, è l’alimento perfetto per rimettersi in forma. La catalogna è ottima in insalata, saltata in padella con un filo d’olio, e come base per gustose torte salate.
Una corretta attività fisica e frutta, verdura dai colori sgargianti e vitaminici aiutano a ritrovare la forma adeguata per affrontare le giornate con il sorriso e il buonumore.
Simone Lucci
da ilpuntosalute | 1 Ott, 2015 | Vino
“La nostra attenzione al biologico è maniacale, tanto che tutta l’azienda è a conduzione biologica. Siamo una piccola realtà e facciamo tutto in casa: dalla coltura della vite fino all’etichettatura. I vigneti sono di proprietà e abbiamo così il controllo completo sulla catena produttiva”, afferma con orgoglio il giovane vigneron Joska Biondelli.
Siamo nella cantina Biondelli, a Bornato di Cazzago San Martino, nella parte della Franciacorta a Sud del Lago d’Iseo, dove i terreni sono certificati come biologici. I vigneti sono 5, e ognuno ha un proprio nome. Si estendono per 10 ettari coltivati a guyot, dei quali le bottiglie sono degli ambasciatori: Franciacorta Brut, Franciacorta Satèn e il Biondelli Brut Millesimato “Première Dame”.
“Non utilizziamo alcun additivo chimico, nessun trattamento che permei la pianta – precisa Biondelli –. Usiamo solo rame e zolfo. L’ultimo trattamento viene effettuato l’ultima settimana di luglio, e per un mese e mezzo, poi, l’uva non viene più trattata e le piogge la lavano. La raccolta viene fatta a mano come da Disciplinare. Le cassette, da 15 -16 kg al massimo, sono molto piccole ed è facile controllare che non ci finiscano dentro foglie o detriti, gli operatori, gli stessi da tanti anni, conoscono bene sia i vigneti sia il lavoro.
Secondo il metodo classico, in Franciacorta, così come in Champagne, pigiamo l’uva intera, non diraspiamo, quindi non rechiamo danno agli acini prima della pressatura. Le presse, poi, sono estremamente delicate e riescono a schiacciare gli acini senza rovinare il gambo. Nella cassetta prima e nella pressa poi non arriva nessuna traccia di sostanze chimiche e di prodotti non naturali. Alla produzione di uva biologica segue la vinificazione biologica. I lieviti che impieghiamo sono tutti biologici, non adoperiamo carbone, né filtri, né pvpp, cioè quello stabilizzante che previene o corregge gli inconvenienti dovuti ai processi ossidativi possibili nel corso della vinificazione e, soprattutto, della conservazione dei vini”.
Seconda fermentazione: sinfonia molecolare, presa di spuma, magia dell’effervescenza. Generalmente qualche giorno prima del tiraggio i produttori aggiungono in bottiglia lo zucchero che servirà come nutrimento ai lieviti per innescare la seconda fermentazione. La soluzione di vino, zucchero e lieviti viene messa in bottiglie, chiusa con una bidule e un tappo a corona in acciaio Inox. “Invece dello zucchero o del saccarosio noi utilizziamo il mosto refrigerato della vendemmia precedente: un procedimento laborioso, rischioso e costoso – spiega Biondelli –. Tutto ciò ci consente di affermare che il 99,9% del contenuto in bottiglia viene dal nostro vigneto in maniera naturale.
La sublimazione della genuinità dei nostri prodotti la troviamo nel Millesimato Première Dame, un vino nature, a cui non vengono addizionati né zucchero, né liqueur, né solfiti aggiunti. Raccomando, infatti, di bere la bottiglia entro 6 mesi, un anno dall’acquisto”. Questo Millesimato consente di conoscere un’annata scevra da assemblaggi (ndr: anche se il disciplinare permette di usare l’85% del vino della stessa annata per i Millesimati, Joska ne utilizza una percentuale del 100%).
Su Brut e Satin, invece, ci sono soltanto 15 ml per litro di solfiti aggiunti.
Nelle etichette create da Joska insieme al padre Carlottavio è presente lo stemma dei Biondelli. Le origini della famiglia si ritrovano, infatti, nel patriziato cittadino di Piacenza, ai tempi del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Durante il secondo conflitto mondiale Giuseppe Biondelli, Ambasciatore d’Italia, incrocia poi la Franciacorta. “La nonna Clemi veniva dalla famiglia dei Conti Maggi di Gradella, una famiglia bresciana da circa mille anni – racconta il giovane imprenditore con tono pacato e tanto aplomb –. La nonna Clementina si sposa con il nonno, Giuseppe Biondelli, un pesarese che aveva girato il mondo perché faceva il diplomatico. Lei non voleva andar via da Brescia, e così il nonno comprò la casa in campagna che lei non aveva più perché era rimasta al fratello.
La villa e il terreno agricolo, a Bornato, sono le stesse proprietà di cui mi occupo io oggi. Si può proprio dire che siamo arrivati in Franciacorta per amore e grazie alla nonna Clementina. Oggi continuiamo a coltivare la terra con passione tenendo vivo il ricordo dei miei nonni, tanto che uno dei miei prossimi vini sarà dedicato a uno di loro, conclude Joska Biondelli.
Clementina Speranza
La Franciacorta
Con la locuzione “curtes francae” venivano designate le comunità di monaci benedettini che nell’Alto Medioevo avevano sede nella zona collinare nei pressi del Lago d’Iseo. Questi luoghi godevano di franchigie, cioè dell’esenzione dal pagamento dei dazi legati al commercio, perché i monaci, con la loro opera, avevano apportato notevoli migliorie ai terreni mediante bonifiche e avevano istruito gli abitanti circa le varie tecniche di coltivazione. Le origini del nome Franciacorta, inoltre, affondano le radici nel 1277, quando il toponimo “Franzacurta” viene riportato per la prima volta negli annali del Comune di Brescia per indicare quella specifica zona situata tra i fiumi Oglio e Mella, a sud del Lago d’Iseo.
Nel 1570 Gerolamo Conforti, un medico bresciano, redige il “Libellus de vino mordaci”, uno dei primi testi al mondo a descrivere il processo di vinificazione dei vini a fermentazione naturale in bottiglia e dove viene riportato quanto fosse esteso il consumo di vini briosi e spumeggianti, che Conforti definiva “mordaci”.
Nel 1967 viene sancita la DOC Franciacorta, divenuta poi DOCG nel 1995, con due importanti primati: è stata infatti la prima volta che un vino prodotto esclusivamente con il metodo della rifermentazione in bottiglia (Metodo Classico) ha ottenuto la DOCG ed è anche l’unica denominazione in Europa (insieme a Champagne e Cava). Questa tipologia può fregiarsi di riportare in etichetta il solo termine “Franciacorta”, come onnicomprensivo di area territoriale, metodo di produzione e vino.
Nel 2008 il Disciplinare è stato sottoposto a una revisione.
Il 5 Marzo 1990 venne fondato il “Consorzio per la Tutela del Franciacorta”, che ha sede a Erbusco.
Nel 1992, per scelta e impulso dei produttori della Franciacorta, fu iniziato lo studio di zonazione da parte dell’Università di Milano sotto la guida del Prof. Attilio Scienza, e sono state rilevate 6 “unità vocazionali”, cioè tipologie di terroir che determinano specifici comportamenti vegeto-produttivi e che influenzano in maniera peculiare il profilo sensoriale dei vini.
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da ilpuntosalute | 1 Ott, 2015 | Moda
Entrare in pista e respirare da vicino il rombo dei motori sulla griglia di partenza, sentire la “grattata” della saponetta sull’asfalto durante una piega e il sospiro di sollievo quando la curva finisce: sono le sensazioni che descrivono la nuova linea di accessori firmata Dainese by Regenesi. Regenesi e Dainese danno nuova vita alle tute dei piloti di MotoGP con una linea di accessori “rigenerati”. Regenesi, azienda 100% Made in Italy, realizza oggetti e accessori moda con materiali di post-consumo trasformando i rifiuti in bellezza e Dainese, fabbrica che produce abbigliamento protettivo per il motociclismo e gli sport dinamici, hanno realizzato una collezione dal design estremo.
Portachiavi, portafoglio, portacarte di credito, astuccio per smartphone e ipad sono gli articoli che uniscono sostenibilità, motori e approccio rigenerativo dei materiali. Gli accessori sono ottenuti dal riciclo delle tute in pelle usate dai piloti in gara durante i campionati ufficiali o nei test. Si tratta di oggetti utili ottenuti da uno scarto e da quelle tute che, una volta tolte vengono analizzate per capirne eventuali migliorie in termini di protezioni e sicurezza. Per la creazione degli accessori sono utilizzate anche le zone di pelle più rovinate o parzialmente strappate. Tale strategia fornisce agli acquirenti articoli unici e in grado di regalare maggiori emozioni, proprio come afferma Maria Silvia Pazzi, CEO di Regenesi.
Com’è nato il progetto e dall’idea di chi?
In passato sono stata consulente aziendale, ho insegnato Organizzazione Aziendale e Marketing alla Facoltà di Economia dell’Università di Bologna e ho sempre avuto anche una grande passione per l’architettura e il design, così quando mi sono trovata a Napoli nel 2008 durante lo scandalo dei rifiuti, ho avuto l’idea. Regenesi è nata nel 2008 da una mia idea (sorride, ndr). L’obiettivo è stato ed è quello di investire al 100% nella trasformazione innovativa e sostenibile di materiali di post-consumo, scegliendo di scommettere su una produzione “responsabile” di accessori moda, oggetti per la casa, gioielli e prodotti nati dalle collaborazioni con altri brand, il tutto lasciando spazio alla creatività dei designer che reinventano, da rifiuti e scarti industriali, prodotti unici, sempre caratterizzati dall’impronta dell’Italian Style.
Come nasce l’idea di riutilizzare abbigliamento protettivo per il motociclismo per realizzare accessori?
Le tute dei piloti sono la loro seconda pelle di protezione, ma sono diventate anche vere e proprie icone dello sport. Una volta graffiate, rovinate e strisciate sono da sostituire e quindi restano inutilizzate. Da qui l’idea di RIGENERARE questo importante abbigliamento realizzando accessori esclusivi che si propongono in pezzi unici, non replicabili, perché realizzati con uniche porzioni di tuta.
Sono realizzati con la pelle proveniente dalle tute usate dai piloti in gara durante i campionati ufficiali o nei test e utilizzano soltanto materiale riciclato e riciclabile trattato con metodi di trasformazione e rigenerazione sostenibili e particolarmente innovativi.
Dove sono prodotti gli accessori?
Gli accessori sono realizzati in diversi siti e la produzione, sempre unicamente Made in Italy, è molto diversificata grazie all’appoggio di differenti laboratori, imprese e designer italiani e internazionali.
Come avviene la produzione degli articoli?
Rispettando la materia originale. Gli accessori infatti sono progettati rispettando e mantenendo il più possibile anche le zone di pelle più rovinate o parzialmente strappate delle tute, in grado di regalare più emozioni. Si tratta di un procedimento di recupero e di un attento studio delle potenzialità del materiale in relazione al progetto che il designer sceglie di realizzare. I prodotti sono garantiti da Regenesi come green non soltanto per l’uso di materiale riciclato, ma anche per progettazione e produzione sostenibili.
In quali punti vendita sono acquistabili i prodotti?
Anche il nostro canale di vendita punta alla sostenibilità, basandosi esclusivamente sul nostro shop on-line www.regenesi.com. Vendiamo in tutto il mondo, borse, gioielli, e oggetti di design, tutto rigenerato e riciclabile dopo l’uso. Ma non solo. Puntiamo anche alla funzionalità dei nostri prodotti, elemento da non sottovalutare nella realizzazione di oggetti di design.
La collaborazione tra Dainese e Regenesi continua nei prossimi mesi con lo sviluppo di nuovi prodotti: una linea di cinture uomo/bambino e una collezione di portafogli dal taglio più classico. Accessori di design, made in Italy e sostenibili.
Simone Lucci