I virus dell’Epatite rappresentano una delle principali cause delle infezioni acute e croniche del fegato, costituendo un grave rischio per la salute globale. Nonostante l’estrema diffusione, ancora oggi la maggior parte delle persone affette non ne è a conoscenza, esponendosi così al rischio di incorrere in gravi malattie del fegato (come la cirrosi o forme tumorali), oltre a diventare, inconsapevolmente, artefici della sua diffusione.
L’OMS stima che 180 milioni di persone, circa il 2% della popolazione mondiale, siano cronicamente infettate con il virus dell’Epatite C e a rischio di sviluppare cirrosi epatica e/o cancro del fegato. Inoltre, ogni anno, 3-4 milioni di individui vengono infettati dal virus e tra le 300 e le 500 mila persone muoiono a causa di malattie epatiche correlate all’infezione.
In Europa il numero delle persone infette da HCV si aggira fra i 7,3 e gli 8,8 milioni. L’ultimo Rapporto dei Centri Europei per il Controllo delle malattie (Ecdc) – luglio 2014 – ha evidenziato un allarmante incremento dell’Epatite C in Europa, con un numero di casi doppio rispetto alla B.
L’Italia è il Paese europeo con la maggiore prevalenza di HCV. Gli esperti stimano che è infetto quasi il 3% della popolazione, circa 1,6 – 1,7 milioni di persone (la metà dei quali non sa di esserlo), di cui 330 mila hanno sviluppato una cirrosi epatica.
Ma cos’è precisamente l’epatite C? L’Epatite C è un’infiammazione del fegato causata da un virus della famiglia Flaviviridae appartenente al genere hepacavirus (HCV) che attacca l’organo, attraverso l’attivazione del sistema immunitario dell’ospite, provocando danni strutturali e funzionali anche molto gravi. L’infezione causa la morte delle cellule epatiche (necrosi epatica), che vengono sostituite da un nuovo tessuto cicatriziale che, a lungo andare, occupa tutta o quasi la componente sana del fegato, da cui deriva una grave compromissione delle sue attività, evolvendo come ultimo stadio alla cirrosi epatica.
La fase acuta dell’infezione del virus dell’Epatite C decorre quasi sempre in modo asintomatico, tanto che la patologia è definita un silent killer. L’infezione da HCV cronicizza nel 70-85% dei soggetti. Ciò significa che anche un’incidenza relativamente modesta dell’infezione contribuisce ad alimentare efficientemente il numero dei portatori cronici del virus.
Il virus HCV possiede un’estrema variabilità genomica che ha portato alla distinzione di 6 diversi genotipi entro i quali si identificano molteplici sottotipi.
ll virus dell’Epatite C è “a trasmissione ematica”, il che significa che le persone vengono infettate attraverso il contatto diretto con sangue infetto.
I principali fattori di rischio sono: trasfusioni di sangue ed emoderivati infetti, precedente o attuale uso di droghe per via endovenosa, rapporti sessuali a rischio, trattamenti estetici come piercing e tatuaggi eseguiti con strumenti non adeguatamente sterilizzati, contagio perinatale (in circa il 5% dei bambini nati da madri HCV-RNA positive), co-infezione epatiti croniche/HIV.
Attualmente la diagnosi di epatite C si basa sull’impiego di due esami del sangue: la ricerca degli anticorpi specifici contro l’HCV e l’individuazione delle particelle virali HCV-RNA (test qualitativo HCV-RNA sensibile dal 10° al 14° giorno dopo l’infezione). È inoltre possibile valutare in modo indiretto lo stato di infiammazione del fegato determinando i livelli delle transaminasi epatiche.
Il parametro essenziale, per definire lo stadio e la conseguente evoluzione della malattia, è rappresentato dalla entità di fibrosi e pertanto solo la biopsia e il successivo esame istologico permettono una stadiazione esatta della malattia e del danno epatico. L’unico svantaggio è che le biopsie epatiche possono essere eseguite in modo limitato (a parte casi particolari ogni 3-4 anni). Una volta accertata la presenza del virus e del danno epatico si possono eseguire ulteriori indagini volte ad individuare il genotipo dell’HCV e la carica virale grazie all’HCV-RNA quantitativo, benché essi sono poco utilizzabili in quanto né i livelli di viremia, né il genotipo virale hanno dimostrato convincenti correlazioni con l’evoluzione delle patologie.
Tuttavia gli esami del sangue condotti di routine non includono il test per l’HCV, pertanto la verifica sierologica deve essere richiesta esplicitamente dal medico curante. Per questo motivo la maggior parte delle persone affette da Epatite C asintomatica non sanno di avere la malattia.
Si è discusso di tutto questo a Roma al convegno “HCView, una finestra sulle politiche per l’epatite C” patrocinato dal Ministero della Salute.
Oggi esiste la possibilità concreta di eradicare il virus grazie alla disponibilità di una nuova classe di farmaci, gli antivirali diretti (DAA). “Stiamo assistendo a una rivoluzione epocale nell’area epatite C che si deve all’introduzione di farmaci antivirali innovativi in grado di migliorare il controllo dell’epatite C e di incrementare i tassi di cura dei pazienti passando dal 50% al 90% di guarigioni, cui si aggiunge un profilo di tollerabilita ottimale non confrontabile con le terapie precedenti grazie anche all’assenza dell’interferone nel regime terapeutico, responsabile dei pesanti effetti collaterali – dichiara Antonio Gasbarrini, Professore ordinario di Gastroenterologia, Università Cattolica del Sacro Cuore Roma -. In prospettiva, sarà possibile ridisegnare i contorni della gestione di questa grave malattia, però ad oggi assistiamo ancora a ritardi nell’implementazione di quegli strumenti programmatici che strutturano l’accesso alle terapie e garantiscono al paziente la corretta gestione. Si tratta di un discorso ampio che va dalle le risorse per accogliere i nuovi trattamenti, fino all’inserimento nei prontuari regionali e alla formazione del personale sanitario, nonché al vaglio di Linee Guida Nazionali”.