Il tempo è un bene prezioso ed è diventato l’immagine nella campagna “Non bruciare il tempo, mettilo a fuoco – Uno scatto contro il linfoma”, che ha coinvolto 60 Centri ematologici italiani e ha così raccolto oltre 250 pensieri di pazienti, famigliari, medici che vivono da vicino l’esperienza di un tumore del sangue. Gli scatti realizzati dall’Istituto Italiano di Fotografia sono stati esposti nella Galleria Alberto Sordi di Roma e le più belle frasi, e foto amatoriali, abbelliranno le sale dei Centri ematologici partecipanti

Otto pensieri sul valore del tempo, su tutto quello che un tumore del sangue può sottrarre alla propria quotidianità. Otto pensieri trasformati in 8 scatti d’autore contro il linfoma.

Che cosa fare con tre ore di tempo in più? A Genova c’è Carlo, che vorrebbe prendere del pesce fresco al mercato Orientale e preparare una cena alla moglie. Intanto qualche chilometro più a Sud, a Taranto, Elisabetta si dedicherebbe volentieri alla sua passione più dolce, la cake design. C’è Giuseppe che ad Avezzano (L’Aquila) passerebbe ogni secondo insieme a suo figlio, mentre ad Arezzo Paolo vorrebbe solo sedersi a tavola con i suoi nipotini. C’è poi Francesco di Santa Venerina (Catania), che ringrazia in rima i medici, ripromettendosi di non sprecare più il tempo guadagnato, mentre a Vimodrone (Milano) Gianandrea vuole “semplicemente vivere” e non lasciarsi sfuggire la possibilità di ricevere e donare un’emozione. Infine, a Messina, Andrea vorrebbe impedire al tempo di “fare tardi troppo presto” e Rebecca a Roma regalerebbe il tempo in più a chi di tempo ne ha avuto troppo poco.

Il legame tra i tumori del sangue e il tempo è molto stretto. Ogni anno i linfomi colpiscono più di 16 mila persone solo in Italia – Giovanni Pizzolo, Professore di Ematologia, Università di Verona, Vicepresidente della Società Italiana di Ematologia -. Sono tumori del sangue che coinvolgono principalmente i tessuti linfatici, in particolare i linfonodi, e sottraggono anni di vita di qualità ai pazienti, soprattutto a quelli più fragili come gli anziani. I linfomi costringono infatti le persone a trascorrere ore in ospedale per le terapie, ore che di fatto sono rubate ad altre attività più utili o semplicemente più piacevoli. Proprio perché il progresso terapeutico ha permesso, grazie all’impiego dei cosiddetti farmaci intelligenti che colpiscono selettivamente le cellule malate, di raggiungere punte di guarigione dell’80%, credo sia un dovere ricorrere, quando possibile, alle nuove somministrazioni più veloci e meno invasive. È un passaggio necessario per garantire la qualità di vita dei pazienti e anche per decongestionare le strutture ospedaliere, permettendo così di trattare un numero maggiore di pazienti e di abbattere le liste d’attesa”.

Ma cos’è il linfoma? È un tipo di tumore che si può sviluppare quando si verifica un errore nella produzione dei linfociti, un tipo di globuli bianchi che svolge un ruolo molto importante nel sistema immunitario. Si sviluppa così una cellula anomala, che diventa tumorale a causa di una velocissima e infinita replicazione. Queste cellule perdono la capacità di andare incontro a “morte programmata” (apoptosi), così possono accumularsi nei linfonodi, dando origine a tumori e provocando l’ingrossamento dei linfonodi.

Come i linfociti normali, anche quelli maligni possono svilupparsi in diverse parti del corpo, ad esempio sangue, linfonodi, milza, midollo osseo, o altri organi.

Esistono due tipi di tumore del sistema linfatico:

linfoma di Hodgkin (o Morbo di Hodgkin, dal nome del medico che per primo lo individuò nel 1832), caratterizzato dalla presenza di un particolare tipo di cellule tumorali, le cosiddette cellule di Reed Sternberg, non rilevabili nelle altre forme di linfoma;

linfoma non-Hodgkin (LNH), un gruppo di tumori (se ne contano oltre 30) che colpiscono il sistema linfatico.

 

I FATTORI DI RISCHIO

I fattori di rischio sono conosciuti solo in parte. Tra quelli non modificabili ci sono l’età e il sesso: il linfoma è infatti più comune tra gli adulti, in particolare dopo i 65 anni, e gli uomini sono in genere più a rischio delle donne.

Il rischio di linfoma aumenta anche con l’esposizione a radiazioni (ad esempio per trattamenti medici precedenti) o a certe sostanze chimiche come erbicidi e insetticidi e in tutti i casi in cui il sistema immunitario non funziona al meglio (ad esempio infezione da HIV, AIDS, malattie autoimmuni, terapie con farmaci antirigetto dopo un trapianto).

Non è possibile prevenire l’insorgenza dei linfomi, se non evitando l’esposizione ai pochi fattori di rischio noti (HIV, sostanze chimiche, radiazioni) e in generale ai fattori di rischio comuni a diversi i tipi di cancro (come per esempio obesità e sovrappeso).

 

 

I SINTOMI

La sintomatologia dei linfomi è molto variabile: a volte sono asintomatici, a volte compaiono con sintomi molto generici, come febbre, sudorazione intensa (soprattutto notturna), dimagrimento, spossatezza e prurito persistente in tutto il corpo.

Molto spesso il linfoma si presenta con un ingrossamento dei linfonodi in diverse sedi (collo, inguine etc.), ma nella maggior parte dei casi tale ingrandimento deriva da un’infezione comune e non è legato alla presenza di un linfoma.

Non esistono test per diagnosticare precocemente il linfoma non-Hodgkin e la biopsia sul linfonodo è l’unico metodo che consente una diagnosi accurata del linfoma. Il linfonodo deve essere prelevato per intero per consentire l’analisi di tutta la struttura ghiandolare e per definire nel modo più preciso il tipo istologico (istotipo) del linfoma ovvero la “carta d’identità del tumore”. Dal tipo di linfoma deriva l’aggressività clinica della malattia e, di conseguenza, la terapia.

Nei casi in cui i linfonodi sono presenti esclusivamente in una sede profonda, come l’addome e il torace, per formulare una diagnosi è necessario un intervento chirurgico in sede addominale (laparotomia o laparoscopia) o toracica (toracotomia o broncoscopia o mediastinoscopia).

Una volta individuato il tipo di linfoma è opportuno conoscerne la sua diffusione. Può essere infatti colpita una singola sede linfonodale oppure più sedi. Mediante una serie di accertamenti diagnostici di laboratorio (esami del sangue), radiologici (TAC, PET, ecografia, esami radiologici tradizionali) e, ove necessario, endoscopici è possibile definire la diffusione della malattia e classificarla in stadi.

 

IL TRATTAMENTO

La scelta del trattamento più adatto per il linfoma dipende da diversi fattori come, ad esempio, lo stadio e il tipo di malattia, l’età del paziente e le sue condizioni di salute generali. Generalmente la terapia è multidisciplinare, si avvale della collaborazione di diversi specialisti e può prevedere l’utilizzo di diversi trattamenti in combinazione.

Le principali linee d’azione, che possono essere seguite singolarmente o in combinazione l’una con l’altra, sono quattro.

Watch and Wait (“Osserva e Aspetta”) – In questa fase del linfoma, in assenza di sintomatologia sistemica e di malattia in fase di progressione, non s’interviene con i farmaci. Durante tale periodo, i pazienti si sottopongono a regolari visite mediche specialistiche e ad accertamenti periodici (esami del sangue o radiologici). Vengono inoltre informati su quali sintomi debbano essere immediatamente comunicati al medico in quanto richiedono l’inizio di un approccio terapeutico. L’approccio “Watch and Wait” si applica solo a particolari tipi di linfoma indolente.

Radioterapia – Consiste nell’uso di raggi X ad alta energia nell’area dove sono localizzate le cellule tumorali allo scopo di distruggerle e ridurre le dimensioni del tumore. Attualmente viene impiegata solo in associazione alla chemioterapia, come terapia di consolidamento.

Chemioterapia – I farmaci chemioterapici distruggono le cellule tumorali, anche quelle normali, interferendo nella loro attività di replicazione. La somministrazione può essere per via endovenosa oppure orale. Alcuni farmaci chemioterapici sono utilizzati singolarmente, ma solitamente viene adottata un’associazione di più farmaci.

Anticorpi monoclonali – In questi ultimi anni sono stati messi a punto nuovi schemi terapeutici particolarmente efficaci, che consistono nell’associazione della chemioterapia con un anticorpo monoclonale che è in grado di “sensibilizzare” le cellule tumorali all’azione della chemioterapia, aumentandone l’effetto. Questi anticorpi monoclonali sono proteine frutto dell’ingegneria genetica che riconoscono e si legano a un target specifico detto “antigene”, una proteina sulla superficie della cellula di linfoma. Dopo essersi legato al bersaglio è in grado di uccidere la cellula tumorale reclutando il sistema immunitario dell’individuo stesso. Gli anticorpi monoclonali vengono usati come “proiettili intelligenti” per colpire le cellule tumorali, senza distruggere quelle sane dell’organismo (a differenza della chemioterapia). Grazie alla ricerca scientifica oggi gli anticorpi monoclonali sono disponibili anche in formulazione sottocutanea, come nel caso di Rituximab, e ciò richiede, a parità di efficacia, un tempo di somministrazione di pochi minuti.