Sulle pendici del Monte Orfano sorge maestoso, il Castello Bonomi, un originale edificio in stile Liberty progettato alla fine dell’800 dall’architetto Antonio Tagliaferri, che dà il nome a una realtà aziendale dinamica: i vigneti di CastelloBonomi appartenenti alla famiglia Paladin.
I 24 ettari di vigneto, sviluppati a gradoni, recintati e circondati da un parco secolare, rappresentano l’eccellenza di questi luoghi densi di piccoli borghi e palazzi carichi di storia.
Siamo in Franciacorta dove, da anni, la famiglia Paladin è impegnata a ottenere un’alta qualità del vino, nel rispetto dell’ambiente, della salute dei consumatori e dell’etica sociale. “Nel 2000 con il supporto dell’azienda, con i consulenti agronomi dello studio Sata, con l’enologo Stefano Saderi che si occupa dei vigneti di Veneto e Toscana, tutti coordinati dal professore Leonardo Valenti dell’Università Statale di Milano, abbiamo iniziato un percorso a livello sperimentale legato alla sostenibilità della viticultura che coinvolge diversi aspetti produttivi e ambientali. Insieme vorremmo mettere a punto un nostro protocollo di sostenibilità e poi certificarlo”, racconta Luigi Bersini, Chef de Cave della Castello Bonomi.
Con il progetto Ita.Ca®, Castello Bonomi e altre 50 aziende in tutta Italia si impegnano a creare un calcolatore che valuta le emissioni carboniche e stima il saldo di anidride carbonica (CO2) dell’azienda.
“Produrre o sfruttare energia da fonti rinnovabili, utilizzare lampadine a basso consumo, diminuire il peso del vetro della bottiglia da 920g a 880g sono le strategie messe in atto per ridurre del 10/20% la produzione di CO2”, spiega lo Chef de Cave.
Un altro obiettivo è la conversione al biologico. “L’azienda Bononi svolge, infatti, una Viticoltura Ragionata. Il nostro Gruppo si propone di ridurre del 50% la quantità di anidride solforosa prevista dalla legge per tutti i nostri vini principali – precisa Bersini –. Noi poniamo una grande attenzione all’ambiente anche durante le fasi produttive. Le macchine effettuano una pressatura molto leggera che consente di estrarre meno del 60% di mosto previsto dal disciplinare”. Un altro aspetto della viticultura ragionata riguarda il consumo dell’acqua. “Secondo la nostra idea – spiega Bersini – la pianta si deve adattare all’ambiente in cui vive, e deve avere poca esigenza d’acqua. Nel 2000, 2001 e per diversi anni fino al 2007, insieme all’Università, abbiamo fatto alcune prove di irrigazione. È emerso che i vitigni hanno una forte adattabilità al cambiamento climatico e se li abituiamo al così detto “stress controllato”, cioè man mano che andiamo avanti irrighiamo sempre meno, arrivano a resistere, senza problemi, anche a un’annata caldissima come quella del 2015. Ovviamente, i vigneti vecchi hanno radici più profonde e riescono a estrarre più sostanze, più sali minerali. Se è necessario facciamo irrigazioni di soccorso solo sui vigneti giovani. Bisogna considerare, tra l’altro, che l’acqua non accresce la qualità”.
A Castello Bonomi c’è anche una “capannina metereologica” che registra temperature e millimetri di pioggia. “Così è possibile conoscere la temperatura, quanti millimetri di pioggia sono caduti, per quanto tempo la foglia è rimasta bagnata, se la bagnatura è stata notturna o diurna. È importante avere questi dati perché fino a un certo numero di ore non c’è pericolo di malattia e, qualora vi siano rischi, si può prevedere tempestivamente il tipo di patologia o fungo che potrebbe attaccare la pianta. Nel tempo siamo riusciti, così, a risparmiare 4/5 trattamenti all’anno”.
In cantina non sono utilizzati il caseinato di potassio e le proteine animali che provocano l’insorgere di allergie. “Possiamo consideraci, anche, vegani e facciamo solo chiarifiche e decantazione statica – afferma Bersini –. E poi utilizziamo lieviti non indigeni, ma selezionati. Quando termina la fermentazione, il lievito assorbe le tossine, per poi essere rimesso in sospensione ciclicamente, in base alle fasi, alla degustazione e all’esigenza. Quando lo si estrae, il lievito che in origine è di colore bianco/giallino risulta marrone perché ha assorbito molte delle sostanze che generalmente si eliminano con un caseinato o con l’albumina. I nostri vini, poi, si stabilizzano in bottiglia”.
Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco sono i vitigni della Franciacorta. “Le viti sono trattate con la quantità di rame annua prevista dal disciplinare e allevate senza consumo di acqua perché, come ho già detto, la pianta si deve adattare all’ambiente in cui vive – puntualizza Luigi Bersini –. Dal 2001 al 2007, abbiamo svolto delle prove di irrigazione, notando che i vigneti possiedono una forte adattabilità al cambiamento climatico e resistono senza acqua anche a temperature elevate. Inoltre, da 15 anni, siamo passati da una concimazione mista chimico/organica, a una concimazione totalmente organica senza nessun impoverimento del terreno”.
I vitigni sono anche monitorati da sensori presenti su trattori che forniscono le mappe di vigore. “Una zona vigorosa è ricca di piante con numerosi tralci e frutti ed è più soggetta ad attacchi di malattie funginee – spiega lo Chef de Cave –. L’obiettivo delle rilevazioni è, quindi, quello di ridurre il vigore in questi terreni e aumentarlo nelle zone meno produttive, in modo da uniformare la crescita delle uve”.
Tali interventi consentono la produzione di vini equilibrati, longevi, minerali, di carattere, con aromi complessi e una eccellente persistenza olfattiva e gustativa. Attualmente, l’azienda produce 150 mila bottiglie, quasi esclusivamente di Franciacorta, nelle varie tipologie.
“Abbiamo scelto di lavorare solo con Chardonnay e Pinot nero, e per alcuni Franciacorta arriviamo addirittura al Pinot nero 100%, con enormi soddisfazioni e riconoscimenti – riferisce Luigi Bersini –. Lucrezia Etichetta Nera 2004 ne è un esempio: un blanc de noir premiato come miglior vino spumante agli Oscar del vino 2014 di Bibenda (Fondazione Italiana Sommelier) e nello stesso anno i 5 grappoli della Guida Bibenda che riceve anche nel 2017 con il Lucrezia Etichetta Nera 2006”.
Clementina Speranza e Simone Lucci