Lui è Carlo Cracco, chef stellato che si muove con sapienza ed eleganza ai fornelli e lei è la rappresentate dell’Italia nel mondo: la pasta. Insieme, durante uno show cooking, per raccontare i progetti e una nuova ricetta.
“Al ristorante bisogna fare attenzione alla pasta da utilizzare. Il formato deve essere pratico: gli spaghetti, seppur amati dagli italiani, non sono facili da arrotolare, noi ci riusciamo, ma sono difficili per gli stranieri. La pasta che cuoce in pentola, poi, va girata piano piano, come se fosse una donna da accarezzare”, raccomanda Cracco.
Come pasta per la sua ricetta lui ha scelto le pacche del pastificio Felicetti. “Ho scelto questa perché non è un pacchero, non è nemmeno un mezzo pacchero, è un 3/4 di pacchero, un formato anche abbastanza bello, perché tante volte il pacchero è difficile da mangiare. Una volta le paste si preparavano in casa, ma è molto complicato. È preferibile utilizzare della pasta buona, e che abbia anche un minimo di ricerca, di qualità che offra garanzie riguardo alla nella provenienza del grano”.
Gli ingredienti per la nuova ricetta, senza olio e senza burro sono: succo di prezzemolo, lingua, caviale di lumaca (si produce vicino Roma, i Greci lo adoravano e lo chiamavano “perle di Afrodite”) e cipolle in forno (vanno appoggiate su un letto di sale per 3-4 ore, si lascia cuocere e si fa sgocciolare per 1 ora; si ottiene così anche il succo di cipolle, un concentrato di cipolla).
Con classe ed eleganza, Cracco si destreggia ai fornelli e racconta che nell’ex Convento dell’Annunciata ha fondato un’Accademia Internazionale di Cucina su impulso dell’Associazione Maestro Martino, di cui è presidente. I protagonisti sono giovani (età media 30 anni). “12 virtuosi chef che già lavorano in ristoranti di alto livello e che, nei weekend, si sono alternati ad Abbiategrasso per realizzare ricette in grado di coniugare radicamento al territorio e innovazione, fermo restando che l’elemento principe rimane il prodotto agroalimentare lombardo. A ognuno di loro veniva dato un ingrediente diverso, tipico della zona del parco del Ticino, o comunque della Lombardia, da interpretare secondo la propria visione. Molto bello vedere le culture che si incontrano: i prodotti lombardi elaborati da ragazzi di diverse regioni. Ho scelto solo i weekend, perché durante la settimana è più difficile portare la gente fuori. Sabato e domenica c’erano quindi degustazioni, scuole di cucina, giornate molto intense dedicate anche a coloro che avevano voglia di scoprire l’ex Convento dell’Annunciata.
L’ex convento dell’Annunciata, un monastero di origini quattrocentesche restaurato nel 2007 e di proprietà del Comune di Abbiategrasso, è stato concesso per un anno in comodato gratuito a Carlo Cracco. “Immaginate la bellezza di un chiostro del ’400 e di una chiesa sconsacrata, con dentro un’officina meccanica, un ospedale e qualcos’altro. Ma è stato recuperato e sono stati recuperati e salvaguardati alcuni dipinti della scuola di Leonardo – racconta Cracco –. L’ex chiesa oggi è la location in cui si svolgono le cene e in cui si suona, perché c’è anche l’Accademia musicale. Poi c’è il chiostro e sopra ci sono le celle dei monaci. Lì abbiamo realizzato una mostra sul tema del cibo con le dodici promesse che hanno posato ai fornelli. A immortalarli: Giovanni Gastel, fotografo di moda e still life, che collabora da trent’anni con le principali riviste di moda”.
L’associazione potrà utilizzare alcuni dei locali dell’ex convento. Negli altri spazi operano l’Accademia musicale dell’Annunciata, una scuola di teatro e una scuola di musica dedicata a ragazzi affetti da autismo.
L’ex monastero, segnato da decenni di degrado (la chiesa era diventata un deposito di autovetture) è stato restaurato sette anni fa, grazie a un accordo di programma fra Regione, Comune di Abbiategrasso e Università degli Studi di Milano. “Ci sono tante strutture abbandonate, soprattutto nella periferia di Milano, e bisognerebbe recuperarle, senza andare costruire ancora, senza intervenire in maniera pesante, per far rivivere bellissimi luoghi”, auspica Cracco.
E per un futuro prossimo? Un ristorante dall’appeal irresistibile, tra moda, cibo e architettura. Insieme a Lapo Elkann. Teatro delle loro future gesta, l’ex stazione di servizio Eni del ’53. “Si trova in piazzale Accursio, che una volta era la via d’entrata di Milano. È un vecchio distributore di benzina con uno stile architettonico molto particolare: si chiama Streamline Moderne ed enfatizza modelli aerodinamici, propone forme curve, lunghe linee orizzontali ed alcuni elementi nautici. La stazione ricorda un’astronave ed è stata realizzata da Mario Bacciocchi su richiesta di Enrico Mattei. Da anni abbandonata, aveva anche una abitazione di servizio. Adesso Lapo ha in mente di utilizzare pure lo spazio al piano superiore, e userà il garage per trasformarlo in un laboratorio-atelier dove personalizzare le automobili, con l’intenzione di allargare il servizio, in futuro, a barche ed elicotteri. E poi c’è una parte molto bella che lui vuole dedicare al cibo”. Un’altra location, con il fascino ormai irrinunciabile del recupero di un’area dismessa, che diventerà un locale trendy.
Adesso per Cracco è il momento di impiattare. E per noi di gustare il mix di contrasti, in religioso silenzio.
Il CEO del pastificio Felicetti, Presidente dell’Associazione dei pastai italiani e del mondo, ha sempre sostenuto che se il filetto arriva bruciato in tavola è colpa del cuoco, se arriva la pasta scotta è colpa del pastaio. “Tempo fa sembrava una cosa assurda chiamare grandi chef a interpretare la pasta: si tratta di un ingrediente apparentemente banale, nel senso che non lo prepara lo chef, non ha il momento creativo come la pasta fresca o la pasta ripiena – riferisce Riccardo Felicetti –. Il momento creativo in realtà arriva dopo. Lo chef sceglie il formato della pasta e aggiunge poi la parte creativa. Da 6/7 anni a questa parte credo ci sia stato un cambiamento radicale nella percezione della pasta sia dal nostro punto di vista, sia da chi la pasta la lavora tutti i giorni in cucina, anche nelle grandi cucine sia italiane che internazionali. Credo che i clienti siano passati dal pensare ‘perché devo andare in un ristorante come quello di Cracco a mangiare la pasta quando posso prepararla io tutti i giorni a casa’, a ‘vado al ristorante di Cracco a mangiare la pasta perché la sua inventiva e i suoi abbinamenti possono stimolarmi a emularlo a casa’. È un modo per avvicinare la grande cucina internazionale alla cucina domestica.
In Italia si producono più o meno 3,5/4 milioni di tonnellate di pasta, dipende dalle stagioni. Gli Stati Uniti producono 2 milioni di tonnellate, e poi via, via ci sono altre nazioni come la Spagna, come la Turchia… la più esotica forse è il Kazakistan. Si produce tanta pasta anche in Giappone, ci sono più di 26 nazioni produttrici di pasta all’interno di I.P.O. International Pasta Organisation”.
Il pastificio Felicetti. La storia del Pastificio è la storia della famiglia Felicetti, che va avanti da più di cent’anni. In quattro generazioni il sogno di “nonno” Valentino si è realizzato e il suo piccolo laboratorio è oggi un’impresa conosciuta in tutto il mondo per la bontà e la qualità dei suoi prodotti.
Dal 1908, sempre nello stesso luogo, nel territorio straordinario delle Dolomiti, ci sono il lavoro e la passione della stessa famiglia, con valori che da allora restano immutati.
Il coraggio e la voglia di fare solo cose ben fatte, l’umiltà di imparare sempre, la fiducia che scaturisce dall’avere una visione e la capacità di condividerla, la saggezza di aprirsi a nuove sfide senza perdere di vista quello che il proprio cuore considera l’obiettivo più importante: creare qualità, senza mai accontentarsi. Sono questi i valori che ancora oggi, giorno dopo giorno, costruiscono il futuro dell’azienda.
Oggi il Pastificio Felicetti occupa una superficie di 5 mila mq e può contare su circa 60 dipendenti e quattro linee di produzione che lavorano a ciclo continuo – due per la pasta corta, una per gli spaghetti e una per le tagliatelle a nido. La produzione giornaliera è di 80 tonnellate, suddivise in un centinaio di formati nei differenti impasti: grano duro, all’uovo, biologico e biologico integrale.
Clementina Speranza e Simone Lucci